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Ma quale gioco responsabile, lo Stato vuole che gli italiani si giochino online ben 100 miliardi

È atteso il decreto attuativo della delega fiscale sul gioco d’azzardo, anni dopo il riordino fallito nel 2014-15. Intanto il gambling ha visto l'esplosione del gioco online, che porta nelle casse delle Stato solo l'1% del giocato. Una riforma a parità di gettito, quindi, si può fare solo in un modo: spingendo più italiani a giocare, a discapito della loro salute. Un dialogo con Maurizio Fiasco

di Sara De Carli

Era atteso per venerdì 3 novembre in Consiglio dei ministri il decreto attuativo della nuova delega fiscale che riguarda il settore del gioco d’azzardo. La Legge delega per la riforma fiscale (Legge n. 111 2023) è stata pubblicata in GU ad agosto: il decreto specifico ha l’obiettivo di riordinare, finalmente, la materia del gioco d’azzardo. La legge delega arriva a nove anni dal tentativo fatto nel 2014, con un’altra legge delega poi arenatasi nel 2015. Venerdì questo decreto atteso dal Consiglio dei ministri non è uscito, ma il tema è urgente. 

Basti pensare che dal 2014 ad oggi il gioco d’azzardo ha avuto un boom: da 88 miliardi complessivamente giocati nel 2014 ai circa 111 giocati nel 2021 fino ai 136 miliardi del 2022. In più – secondo elemento – se nel 2014 il gioco online era una nicchia, oggi fa la parte del leone, con un volume di giocato che viene per due terzi dall’online e per un terzo dal gioco fisico sul territorio. Terzo elemento: nonostante la crescita importantissima del giocato, per effetto del basso margine di entrate che lo Stato ha sul gioco online (appena l’1% contro il 19-20% su quanto viene giocato nel gioco fisico), le entrate per lo Stato sono oggi le stesse del 2014.

E poiché il riordino della materia prevista dalla legge delega è vincolato esplicitamente all’invarianza erariale, la strada per il futuro è una sola: a parole promuovere il gioco responsabile, nei fatti spingere ancora più italiani a giocare d’azzardo. 

Come se non bastasse, nel mondo dell’online, il tema del gambling è contiguo a quello del gaming, ossia dei videogiochi interattivi su cloud che comportano un conto gioco e una spesa: se il primo riguarda una grande fetta di italiani ma non tutti, nel secondo invece tutti i nostri figli in qualche modo ci sono dentro. Le due cose sono ovviamente diverse, ma hanno dei punti di contatto (anche fisici) tale per cui è un’assurdità non parlare di gaming online nel momento in cui si ordina il gambling online: eppure il decreto fa questa scelta e sul gaming tace. 

Qui facciamo un punto con Maurizio Fiasco, sociologo, consulente della Consulta nazionale antiusura e dal 2016 componente dell’Osservatorio del ministero della Salute per il contrasto della diffusione del gioco d’azzardo e il fenomeno della dipendenza grave, riconfermato da poco per la terza volta dal ministro Orazio Schillaci.

Cosa ci si aspetta dal decreto in arrivo?

Intanto è interessante notare le priorità: il decreto affronta solo la parte del gioco online. La seconda cosa è che l’elaborazione del testo è demandata al Ministero dell’Economia e della Finanza: non c’è corresponsabilità nel disegno dell’impianto né del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali né del ministero della Salute. Il gioco online è questione molto sensibile e urgente, anche in rapporto all’obiettivo vincolante della invarianza del gettito fiscale previsto dalla legge delega, una quadratura del cerchio che non può riuscire. Con l’esplosione del gioco online rispetto al gioco fisico sui territori, l’invarianza del gettito fiscale è un’utopia, a meno che si pensi di far arrivare l’online a livelli stratosferici e parallelamente di aumentare il gioco sul territorio. Insomma, possiamo anche scrivere di tutela dei minori e dei fragili e di gioco responsabile: ma se l’obiettivo è garantire l’invarianza del gettito fiscale, la verità è che l’obiettivo dello Stato è che gli italiani giochino ancora di più.

Ci spiega meglio?

Nei giochi d’azzardo online il margine medio per lo Stato è dell’1%: significa che su 70 miliardi di euro giocati (i dati sono quelli del 2021, gli ultimi disponibili) nelle casse dello Stato entrano 700 milioni di euro, mentre 1.400 milioni vanno ai concessionari. Nel gioco sul territorio fisico, nonostante abbia una filiera più lunga, il rapporto è rovesciato e il margine per lo Stato sfiora in media il 19-20%  del volume giocato: si va dal 52% del Superenalotto al 6% delle Vlt. I volumi di gioco sono all’incirca di 70 miliardi giocati online e 40 miliardi giocati sul territorio, comunque in un rapporto di due terzi e un terzo. Con una differenza anche in termini di frequenza delle giocate: online, mediamente ci vogliono 25 giocate per perdere 100 euro, mentre nel gioco sul territorio, sempre in media, bastano 4,5 turni. La differenza è data dal fatto che nel gioco fisico il fattore tempo è solo parzialmente gestito, mentre nell’online è interamente gestito dall’algoritmo. Lo stato dell’arte è questo. È evidente quindi la contraddizione dell’obiettivo di mantenere invariato il gettito, a fronte della crescita esponenziale dell’online. In questo gioco a perdere – invece – bisognerebbe portare un po’ di razionalità.

Maurizio Fiasco – Foto di Barbara Rigon

Perché sollevava anche una criticità rispetto alla vicinanza di gambling e gaming? 

Oggi esiste una galassia di soggetti non abilitati al gioco d’azzardo che però lo distribuiscono: da un lato i punti vendita ricariche-PVR, dove si ricarica il conto di gioco, dall’altro i punti di intermediazione per la distribuzione delle skin. Questa dell’intermediazione è una galassia totalmente sfuggita al controllo e infatti il decreto stabilisce oneri e requisiti per svolgere questa attività di intermediazione, fa divieto di utilizzare più canali per distribuire il gioco… insomma cerca finalmente di mettere ordine. Questo mondo delle skin e dei PVR però rappresenta un incrocio con un altro filone di business – non oggetto di questo decreto -che è quello del videogaming a distanza, ossia dei videogiochi interattivi su cloud che comportano spesa. In questi giochi online il denaro non è lo scopo, è vero, ma tuttavia c’è l’acquisto di crediti di gioco o di elementi estetici funzionali al gioco. Tutto questo mondo del gaming – che non prevede esclusione dei minori – passa anch’esso da skin e PVR. Di fatto quindi PVR e skin sono un punto di incrocio tra il gambling e il nuovo gaming. 

Qual è la differenza tra gambling e gaming?

Nel gambling il denaro e la monetizzazione sono lo scopo, nel gaming il denaro è il mezzo per poter giocare, confidando sì sulla propria abilità ma anche su un margine di fortuna. Infatti il giocatore non acquista un numero di punti corrispondenti a quelli che potranno essere utilizzati nel gioco, ma un “pacco” dentro cui ci possono essere pochi o tanti punti, tanti elementi funzionali oppure no… Questo perché? Perché i neuroscienziati hanno scoperto che combinando la gratificazione che arriva dal caso con quella che deriva dalla conferma delle proprie abilità, la fidelizzazione del videogiocatore – io la chiamo dipendenza – è più robusta e più estesa. E stiamo parlando di ragazzini…

E il decreto che finalmente regolamenta il gioco d’azzardo online, non parla dei videogiochi online: è questo il problema?

Esatto. È vero che sono due cose diverse, ma nel momento in cui queste due cose si incrociano nella rete di skin e PVR, la logica vuole che se metto mano alla regolamentazione della rete skin e PVR si preveda l’estensione delle medesime regole anche al gaming. È una cosa che hanno già fatto in Nuova Zelanda e che stanno tentando di fare in Belgio, Olanda, Gran Bretagna. Ci sono diverse cause intentate, la più celebre è quella che a fine 2022 ha visto la condanna a oltre 500 milioni di dollari di multa della società che produce Fortnite. È un tema nel tema, ma nel momento in cui si regolamenta una cosa, non si può ignorare l’altra.  

L’articolo 15 della delega fiscale prevede in maniera esplicita che tra i principi guida del riordino ci sia la tutela dei soggetti maggiormente vulnerabili e la prevenzione dei fenomeni di disturbi da gioco d’azzardo.

Nel decreto si parla di autoesclusione, di verifiche sul tempo di gioco, dell’araba fenice del gioco responsabile, di monitoraggio dei livelli di rischio, di accantonamento di somme da parte del concessionario per campagne informative. Ma sono titoli: se entriamo dentro le misure, le cose sono diverse. Intanto come dicevo prima va premesso che il margine per lo Stato – e l’ho mostrato lavorando sui file dell’Iss – deriva per l’80% dal gioco dalla minoranza patologica. Diciamolo chiaramente, il gioco responsabile non dà rendimento, il core business dell’azzardo è dato dai giocatori problematici: il gioco responsabile è antieconomico per i concessionari, almeno evitiamo le ipocrisie. 

Cosa occorrerebbe fare, a suo giudizio? Ovvero, cosa dovrebbe esserci in questo decreto tanto atteso?

La prima cosa è che il tempo per autoescludersi dalle piattaforme online deve essere almeno pari a quello necessario per iscriversi: oggi invece la registrazione è istantanea, mentre se voglio smettere di giocare e voglio disiscrivermi dalla piattaforma, la procedura è lunga e farraginosa e comunque poi non mi esclude dal ricevere sollecitazioni a rientrare da parte del marketing. Questa è la cosa basilare. Secondo, nell’arco della giornata ci devono essere delle ore in cui tutto il sistema del gioco di spegne, anche online. Terzo, se vogliamo parlare di gioco responsabile, è necessario ridurre la frequenza delle giocate: oggi io posso giocare istantaneamente, mentre serve prevedere almeno 20-30 secondi tra una giocata e l’altra. Questo tema dell’istantaneità del gioco è importante e ci riporta a un corollario del gioco d’azzardo online che sono le scommesse, salite alla cronaca in questi giorni. 

In che modo?

Oggi le scommesse sportive non hanno nulla a che vedere con lo scommettere che una squadra vinca o perda, con l’epopea dello sport come emulazione di un combattimento. L’evento sportivo – e non solo il calcio – è sincopato. Viene frazionato in tanti micro eventi: si scommette sul primo calcio d’angolo, sulla punizione, su chi sarà il primo ad infortunarsi, sulla conclusione di un’azione. Si scommette in diretta, istantaneamente. Questo frazionamento dell’evento serve a moltiplicare le possibilità di scommessa ed è reso possibile dal fatto che online si scommette in una frazione di secondo, pochi secondi dopo che sullo smartphone è arrivato l’alert con la quotazione della scommessa. 


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Il tutto – sottolineava – con margini fiscali costantemente in calo. Quindi chi ce lo fa fare?

Questa è la domanda scontata che si pongono le persone di buon senso, ma non chi vive di sponsorizzazioni. C’è una palese contraddizione tra mantenere il gettito erariale e il gioco online: nel 2024 per uguagliare i ricavi dall’online gli italiani dovrebbero giocare non 70 miliardi di euro, ma 100 miliardi. Capisce che c’è un limite fisico. Oltre alla particolarità, che non si può più nascondere, di capire perché noi italiani giochiamo la metà di quel che si gioca in Germania pur avendo 30 milioni di abitanti in meno. Non c’è un’altra soluzione, per mantenere parità di gettito bisogna aumentare la tassazione del gioco online.

E di questo invece non si parla nel decreto?

Io non la vedo. Può essere che veda male. Si parla di maggiori oneri per i punti di distribuzione, per creare un albo per i punti vendita di ricariche: 50 euro l’anno per essere abilitati a offrire gioco d’azzardo. 

Come giudica quindi il decreto, per le anticipazioni che sono circolate? 

Lo boccio, va cambiato in parecchi punti. Non serve fare strilli generali, bisogna cambiare la regolamentazione stabilendo innanzitutto qual è il baricentro. Se il baricentro sono la salute, la condizione sociale di una parte importante della popolazione e gli effetti del gioco sull’economia, di questo schema logico nel decreto non c’è traccia. Qui lo schema logico è rovesciato, alla ricerca in un obiettivo impossibile che è la conservazione del gettito fiscale: impossibile appunto se non a scapito della salute. Oggi ci sono 4,5/5 milioni di persone fisiche che hanno un conto di gioco, i conti di gioco sono 21-22 milioni perché ogni giocatore ne ha più di uno: cosa vogliamo fare, portare a 10 milioni la popolazione che gioca online? Le misure che impattano sul comportamento del giocatore sono quelle drastiche che ho detto prima, cominciando dal fatto che se voglio smettere, devo poter uscire immediatamente dalla piattaforma. Un’altra cosa che andrà cambiata, e di cui non si parla, è l’erogazione delle vincite. 

Perché rendere disponibile immediatamente la vincita sarebbe un disincentivo al gioco?

Oggi la vincita di importo modesto – per esempio mille euro – viene rilasciata immediatamente nel conto di gioco: il ritorno è immediato, così lo posso subito rigiocare. Per le vincite importanti invece, per esempio 50mila euro, il ritorno avviene dopo diversi giorni. Dinanzi a una cifra importante, se questa fosse disponibile immediatamente, uno penserebbe a cosa farci: pagare una parte dei debiti, saldare qualche mese di affitto arretrato… Il trucco qual è? Che in attesa dell’erogazione, io posso utilizzare quella cifra sulla piattaforma di gioco: in questo modo ci si abitua a considerare il denaro vinto come carburante per giocare. L’unico uso per cui i soldi della vincita sono disponibili, per i primi giorni, è quello di giocarli. Alla fine al momento dell’incasso quasi sempre te li sei giocati. In un decreto così, andrebbe previsto il pagamento immediato della vincita, sempre.

E l’Osservatorio del ministero della Salute per il contrasto della diffusione del gioco d’azzardo e il fenomeno della dipendenza grave, in tutto questo che dice?

L’Osservatorio – che di fatto insieme all’Iss è l’unico organismo che affronta nel merito la questione – non è stato coinvolto. Il precedente osservatorio è scaduto nel dicembre 2022 e per inciso solo a quel punto l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha mandati i dati aggiornati, che secondo la legge del 2019 è tenuta a trasmettere. Le procedure per ricostituirlo si sono completate a giugno, poi ci sono state le nomine, ma siamo a novembre e l’Osservatorio non è stato convocato neanche per insediarsi: diciamo che abbiamo 5 mesi di ritardo in un momento importante perché un passaggio del decreto in Osservatorio, per una valutazione, sarebbe stato opportuno. Ricordo che i decreti legislativi faranno solo un passaggio nelle commissioni parlamentari competenti per acquisire il loro parere, non ci sarà dibattito in Parlamento. Su questo decreto in arrivo, non abbiamo avuto la possibilità di dire nulla.

Foto di Erik Mclean su Unsplash


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