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Ma quale istinto! Madre fa rima con arte

Risposte universali, inscritte nel nostro cervello di mammiferi, sono funzionali alla cura del piccolo ma devono trovare completa realizzazione. Biologia, scienze cognitive e studi cross-culturali aiutano a capirne i meccanismi, per intervenire in caso di bisogno. La parola all’esperta

di Nicla Panciera

Si fa sempre presto a parlare di istinto naturale. Lungi dal poter esser considerato un automatismo, l’esser mamma e l’esser genitori è piuttosto un’arte complicata e dinamica, dal momento che deve adeguarsi a quella realtà in rapido mutamento che è lo sviluppo del piccolo. Siamo comunque ben equipaggiati per diventare madri e padri, tanto che possediamo delle «conoscenze di base universali, che sono indipendenti da educazione, cultura e differenze individuali, la cui funzione è quella di garantire il legame tra la madre e il piccolo e la prosecuzione della specie» ci spiega Paola Venuti, ordinaria di psicologia dell’Università degli Studi di Trento, dove si occupa di neurosviluppo normale e patologico, con particolare attenzione alle relazioni precoci con le figure parentali, ai ruoli parentali e ai modelli culturali. La psicologa ci elenca tali universali neurofisiologici, comportamentali e cognitivi.

I primi sono ascrivibili al nostro essere mammiferi e includono, spiega, «la sincronizzazione del battito e la predisposizione della madre a rispondere a segnali specifici, come il pianto e il sorriso del bambino e a certe caratteristiche peculiari delle facce». Non dimentichiamo che i cuccioli sono stimoli emotivi salienti dall’alto valore biologico, che suscitano un forte senso di cura promuovono un approccio empatico. D’altra parte, anche il piccolo ha le sue predisposizioni: «Stimoli come il pianto e il sorriso, richiamando l’attenzione della madre, facilitano il contatto oculare di un neonato capace di mettere a fuoco proprio distanze dell’ordine dei centimetri, tale la distanza tra seno e volto. Così, le predisposizioni di neonato e di neomadre si uniscono per facilitare l’instaurarsi di una relazione biunivoca».

Ci sono conoscenze di base universali, che sono indipendenti da educazione, cultura e differenze individuali, la cui funzione è quella di garantire il legame tra la madre e il piccolo e la prosecuzione della specie.

Paola Venuti, ordinaria di psicologia dell’Università degli Studi di Trento

Nel libro, di cui Venuti è coautrice, Basi biologiche della funzione genitoriale (Raffaello Cortina), si spiega come grazie alla neurobiologia, alle neuroscienze, alla psicologia e agli studi cross-culturali «stiamo iniziano a capire come funziona il cervello di ognuno di noi quando è esposto a stimoli infantili che lo sollecitano rispetto all’esercizio della funzione genitoriale». E che, per quanto le ricerche si siano in passato concentrate sulla madre, le prime evidenze mostrano che avere dei figli cambia femmine e maschi, dal livello di alcuni ormoni fino al nostro cervello che grazie alla plasticità può modificarsi alquanto e riallocare le proprie risorse cognitive. Nelle femmine ciò accade già con la gestazione, nei maschi un po’ dopo, con l’esperienza. Inoltre, aggiunge Venuti, «i padri apprendono tutto questo con enorme facilità».

«Al termine della finestra temporale di pochi giorni dopo il parto, in cui la madre è fisiologicamente predisposta interamente alla cura del piccolo, subentrano poi tutta una serie di altri fattori» spiega Venuti. «Infatti, gli aspetti biologici e culturali nello sviluppo di un bambino sono interconnessi e inscindibili fin da prima della sua nascita». Infine, oggi è sempre più chiara l’importanza del comportamento del bambino nello scatenare le risposte dell’adulto. In altre parole, se un tempo si guardava solo al ruolo della madre, ora si sa che tante alterazioni negli scambi relazionali possono essere poco attivati dal bambino, con conseguenze negative sulla sincronizzazione, su quel botta e risposta tra i due che consolida la relazione». Ciò conta perché la relazione è quanto consente la messa in atto degli altri universali, quelli cognitivi: «La relazione è la base della cognizione, il rapporto con l’adulto che lo accudisce attiva la funzionalità nel cervello in via di sviluppo del neonato. La base genetica e la stimolazione che riceve dall’ambiente, soprattutto relazionale».

E quando le mamme sono due? «Il piccolo svilupperà la relazione con la figura, o le due figure, che allattano. Quello che conta per lo sviluppo delle sinapsi del piccolo è la continuità e la stabilità della stimolazione che riceve» risponde Venuti, il cui team è impegnato proprio in un importante progetto di ricerca sulle famiglie monogenitoriali, di cui si indagheranno gli stili di attaccamento, ma anche i correlati neurali della genitorialità. In conclusione, «comprendere appieno questi meccanismi significa disporre di conoscenze per fare le scelte migliori ma anche per intervenire e, ove possibile, prevenire comportamenti disfunzionali e patologici che avranno conseguenze sugli adulti di domani».

(Image by prostooleh on Freepik)


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