Welfare

Manzione: Nel 2015 da 300 a 700 i Comuni che fanno accoglienza

Intervista a tutto tondo al sottosegretario al ministero dell'Interno con delega all'Immigrazione: "Siamo alla fine di un anno in chiaroscuro: positivi i primi corridoi umanitari italiani ma ingenerosa la procedura d'infrazione Ue per le identificazioni", sottolinea Manzione. "Troppo pochi i ricollocamenti, e va capito al più presto come garantire il diritto individuale alla richiesta d'asilo negli hotspot". Sul fronte degli arrivi in Italia, diminuiti quest'anno del 13%, "quattro domande su dieci vengono accolte. Dopo il raddoppio delle commissioni, a breve un'accelerazione dei tempi di valutazione anche dei ricorsi"

di Daniele Biella

Immigrazione, ecco i dati reali. C’è un segno più nel 2015: il coraggio può vincere la diffidenza, perché l’Italia che accoglie chi scappa da guerre, persecuzioni ma anche fame e siccità fa passi avanti – più del doppio in 12 mesi i Comuni che hanno aperto all'accoglienza – e dimostra con i fatti che l’intolleranza non ha ragion d’essere. Ma c’è anche un segno meno: se a livello europeo si stenta a trovare una decisione comune e le persone in viaggio muoiono in mare a un ritmo insostenibile – 3700 vittime, di cui 750 bambini – le regole sull’identificazione imposte negli hotspots da Bruxelles, che di recente ha ammonito l’Italia accusandola di “leggerezza” in tal senso, portano a situazioni tanto kafkiane quanto disumane, denunciate da associazioni e avvocati, di migranti lasciati per le strade italiane con un foglio di via e senza avere avuto la possibilità concreta di richiedere asilo. Per fare chiarezza e capire a fondo lo stato di salute dell’azione governativa italiana sulle migrazioni abbiamo raggiunto Domenico Manzione, magistrato e attuale sottosegretario all’Interno con delega all’immigrazione.

Sottosegretario Manzione, l’anno 2015 si chiude con la notizia dell’apertura del primo corridoio umanitario di rifugiati verso l’Italia, ma anche con la procedura di infrazione che la Ue ha rivolto al governo italiano. Che anno è stato?
Un anno in chiaroscuro. Non mancano, tra mille difficoltà, le note positive: il Piano nazionale di distribuzione dei richiedenti asilo sta andando avanti, la prospettiva del corridoio umanitario è sicuramente un’ottima strada anche se per ora è principalmente italiana e non europea come sarebbe auspicabile, mentre la diminuzione del flusso di migranti sbarcati in Italia ha permesso di lavorare in una minore emergenza. In negativo, invece, abbiamo un’Unione europea che continua a non trovare accordi significativi se non quello sui ricollocamenti, che però vanno avanti molto lentamente, basti pensare che dall’Italia a oggi ne sono stati effettuati solo 184 dei 40mila previsti in due anni (87 in Finlandia, 39 in Svezia, 19 in Francia, 12 in Spagna, 11 in Germania, 10 in Portogallo e 6 in Belgio. Con gli 80 della Grecia si arriva a 266 ricollocati su 160mila totali, ndr). Questo perché sono poche le richieste di ricollocamento dai Paesi coinvolti nel piano europeo, e addirittura c’è qualche nazione come la Svezia che negli ultimi mesi ha cambiato approccio riducendo la propria disponibilità e quindi complicando le cose. Infine, è arrivata la procedura d’infrazione europea.

È un cartellino giallo inaspettato?
Di sicuro è ingeneroso per gli sforzi che abbiamo messo in campo, in particolare di fronte a un piano operativo che nel tempo ha portato all’attuale 80 per cento di persone identificate ma che parte dal fatto che è un settore dai nervi scoperti, data la lentezza dei ricollocamenti e la difficoltà di avere davanti a sé un fenomeno la cui umanità interroga tutti. Basta vedere quello che accade oggi sulla rotta balcanica per capire quanto il nostro lavoro sia stato importante: noi comunque presenteremo i dati e le spiegazioni con cui si discuterà in merito, siamo abbastanza fiduciosi che la procedura di infrazione possa rientrare.

Per quanto riguarda la prima accoglienza, l’associazionismo ha raccolto centinaia di testimonianze di persone a cui non verrebbe garantito il diritto di chiedere asilo – verrebbe detto a voce, ma non sancito sulle carte da firmare – al momento del loro arrivo nell’hotspot, il luogo voluto dall’Ue per l’identificazione dei migranti in vista del ricollocamento o del respingimento, in particolare quello di Lampedusa. Queste persone, provenienti anche da paesi non sicuri come Mali, Gambia ed Eritrea, vengono poi lasciate nelle stazioni siciliane con un foglio di via per lasciare il paese entro sette giorni, inverosimilmente in aereo da Fiumicino, di fatto prospettando la loro successiva irregolarità sul territorio italiano. Perché accade ciò e come uscirne?
La normativa italiana sancisce il diritto di ogni migrante a ricevere tutte le informazioni legislative in merito, compreso il diritto di chiedere asilo. Detto questo, sono cosciente che qualche situazione non nitida si possa creare, e in questo senso reputo che sia l’Unione europea che debba chiarirsi le idee al più presto. Ovvero: come dovrebbe essere fatta questa distinzione di massima tra profughi e migranti economici? Sulla base di quali elementi si deve parlare di “paesi sicuri” in cui effettuare i respingimenti senza approfondire la storia individuale di ognuno, inibendone di fatto il diritto? Servirebbero commissioni specifiche in tale direzione, e mi auguro che l’Europa non si sottragga a questo compito. In conclusione, il problema esiste e va risolto, per agire al meglio nei due hotspot ora attivi in Italia, sull’isola di Lampedusa e a Trapani.

Come accennava, siamo di fronte a una diminuzione degli arrivi in Italia nel 2015, 145mila contro i 170mila dell’anno precedente, ben il 13% in meno. Diminuendo l’emergenza arrivi, seppure consistenti, avete potuto lavorare di più sulla seconda accoglienza, anche alla luce delle difficoltà del recente passato, sia riguardo ai posti nel circuito Sprar sia alla luce di alcuni scandali legati al business dell’accoglienza?

Quest’anno la distribuzione sul territorio nazionale dei richiedenti asilo ha raggiunto una maggiore equità, con una maggiore apertura di Regioni che in passato avevano avuto più resistenze. Il dato più importante, estremamente positivo e indicativo di come stia migliorando la fiducia e l’azione istituzionale, è il passaggio da poco più di 300 ad almeno 700 dei Comuni che si sono inseriti nel circuito Sprar, Sistema di protezione di richiedenti asilo e rifugiati. Un segnale importante di presa in carico al quale abbiamo corrisposto una diminuzione del contributo economico dell’ente locale in merito, abbassata al cinque per cento, e la possibilità di avere la prelazione per i progetti legati all’integrazione del fondo Fami, Fondo asilo migrazione e integrazione, in vigore per il prossimi sette anni. Un ulteriore passo in avanti è la recente pubblicazione di un bando che porta da 20mila a 30mila i posti Sprar disponibili, nell’ottica di assorbirne altri in futuro per avvicinarsi il più possibile al numero che sarebbe necessario, ossia 100mila secondo i dati attuali. Si lavora quindi per rendere sempre più efficace da una parte e trasparente dall’altra il processo di accoglienza.

L’Italia rimane un Paese che i profughi non preferiscono, dato che il percorso di esame della richiesta di asilo, tra dinieghi e ricorsi, può durare fino a tre anni. Singole realtà territoriali parlano anche di richieste respinte in percentuali molto alte, attorno all’80-90 per cento? Quali sono i dati aggiornati?
Il dato che cita del 80-90 per cento potrebbe essere legato a qualche specifica commissione ma di certo non è indicativo a livello complessivo, dato che le cifre relative al 2015 parlano di un 42 per cento di accoglimenti delle richieste, divise per singole categorie o aliquote di diritto. Nello specifico: su 66mila richieste esaminate – delle 76mila presentate – ne sono state accolte in prima istanza quasi 28mila, la maggior parte delle quali come protezione umanitaria e sussidiaria, mentre 3400 sono stati riconosciuti rifugiati e quindi titolari di diritto d’asilo, il 5 per cento del totale dei richiedenti. Con i successivi ricorsi – legati sia ai dinieghi sia alle specifiche forme di protezione – il dato aggregato è sicuramente in aumento, superando almeno la metà delle richieste complessive. Sono dati da leggere con attenzione, perché a conti fatti rivelano una forte accelerazione nell’esaminare le singole domande, anche a fronte del fatto che nel 2015 sono state appunto 76mila, il 30 per cento in più dell’anno precedente. Le commissioni sono oggi 43, raddoppiate rispetto al 2014, e abbiamo margine legislativo per arrivare a 50. Infine, grazie a un’intesa con il ministero della Giustizia, dovrebbe cambiare a breve la procedura sia davanti alla Commissione che davanti al Giudice competente in caso di ricorso ai dinieghi, con un netto guadagno in termini di agilità e tempistica.

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