Sahel

Niger: perché isolarlo non è la soluzione

Nel Sahel si susseguono le guerre, come in Sudan, ed i colpi di stato. Dopo le giunte militari/dittature in Guinea, Mali, Burkina Faso, Ciad ed Eritrea, mercoledì scorso è stato rovesciato il presidente eletto democraticamente e, anche se la situazione rimane tranquilla, la tensione a Niamey sale e pochi riescono a comprendere cosa potrà succedere. VITA ha intervistato per capire Sandro De Luca, direttore del CISP, ong presente da 15 anni nel paese africano, e il giornalista nigerino Razak Idrissa

di Paolo Manzo

La città vecchia. Agadez, Niger

Il Sahel è nel caos e ieri padre Alex Zanotelli ha giustamente invitato i giornali a rompere il silenzio su quanto sta accadendo in quella parte di mondo, anche per meglio comprendere la crescente migrazione dall’Africa. «Non vi chiedo atti eroici, ma solo di tentare di far passare ogni giorno qualche notizia per aiutare il popolo italiano a capire i drammi che tanti popoli africani stanno vivendo». Inaccettabile «il silenzio sulla grave situazione della zona saheliana dal Ciad al Mali dove i potenti gruppi jihadisti potrebbero costituirsi in un nuovo Califfato dell’Africa nera».

Agadez, la città vecchia Credit: Laura Salvinelli/Cisp

Difficile prendere sottogamba l’appello del padre comboniano: il Sahel ha superato il Medio Oriente e l’Asia meridionale diventando l’epicentro globale della violenza jihadista e oggi rappresenta il 43% dei 6.701 morti nel 2022 (nel 2007 era appena all’1%) secondo i dati del Global Terrorism Index, lo studio annuale dell’Iep, l’Istituto per l’Economia e la pace.

Con il golpe di mercoledì scorso in Niger, sono sei i paesi che si estendono per più di 5500 chilometri rappresentando la striscia di governi militari più estesa del pianeta. Dalla Guinea al Sudan si tratta di paesi controllati da giunte militari o in guerra. L’ultimo leader democraticamente eletto a cadere è stato Mohamed Bazoum del Niger, scomparso mercoledì quando le sue guardie lo hanno arrestato nel palazzo presidenziale della capitale, Niamey mentre il suo ex capo della sicurezza, Omar Tchiani, si è autoproclamato leader del paese.

Il giorno dopo il golpe, Bazoum ha scritto (o fatto scrivere) su X (ex Twitter): «I risultati duramente conquistati saranno salvaguardati e tutti i nigerini che amano la democrazia e la libertà se ne occuperanno». Più un desiderata visto che la situazione nella capitale Niamey continua calma, a parte qualche manifestazione anti francese e pro Russia.

Per capire meglio cosa stia accadendo in uno dei paesi più poveri del mondo, VITA ha intervistato Sandro De Luca, il direttore del Cisp, ong presente da oltre 15 anni in Niger. «È un paese dove abbiamo molti locali ed alcuni espatriati, anche se non in questo momento. Il nostro rappresentante paese è un collega nigerino con noi da tanti anni e la nostra è una presenza diversificata sul terreno», spiega De Luca. 

Com’è la situazione al momento?

Non ci sono state grandi manifestazioni di piazza a Niamey e il resto del Paese, da quello che ci dicono, è calmo. Sembra una lotta di potere tra fazioni all’interno delle forze armate. Secondo me non è corretto attribuire questa come altre situazioni solo agli attori esterni, anche se è ovvio vi siano dinamiche di influenza. Non riconoscere la realtà di questi paesi e delle dinamiche politiche interne è un errore. 

Cosa bisognerebbe fare da parte nostra, delle associazioni e delle ong per cercare di stabilizzare e di portare a un livello di vita accettabile queste popolazioni?

Sarebbe facile dire «abbiamo la soluzione» ma si tratta di processi politici storici. Questi paesi per certi versi devono sperimentarli come tutti. Con questa premessa quanto sta accadendo oggi in Niger conferma un’idea.

Quale?

Che bisogna stare attenti a non sopravvalutare l’importanza della cooperazione centrata sulla sicurezza tra gli stati, ma metterci nei panni delle opinioni pubbliche locali. Dobbiamo ragionare sempre su quello che facciamo, su come viene letto e interpretato e come influenza la vita delle persone. Se i nostri interventi guardano solo all’interlocuzione con le istituzioni formali, finiscono per non comprendere le speranze e i bisogni della popolazione locale che in tanti casi è insoddisfatta dall’operato dei governi.

Quali sono i rischi? 

L’insicurezza generalizzata, visto che il Niger sta al centro di dinamiche di insorgenza jihadista estremamente complesse da gestire. Una parte delle comunità nigerine soffre la vicinanza con il Mali da un lato, con il nord della Nigeria dall’altro, (dove opera maggiormente Boko Haram, ndr). Paradossalmente le aree in Niger oggi relativamente più tranquille sono proprio quelle che, invece, negli anni 80 erano state coinvolte nell’instabilità maggiore, quindi più a nord. La sicurezza è un tema di scontro centrale, tant’è vero che, come per altro è successo anche in Mali e per certi versi in Burkina Faso, una delle giustificazioni dell’intervento militare è stata l’accusa di incapacità di fare i conti con il fenomeno jihadista rivolta ai governi in carica. Poi che questa sia la soluzione resta tutto da vedere. Non bisogna però dimenticare che l’insicurezza e il conflitto si nutrono della povertà e del senso di marginalità sociale di comunità e gruppi che si sentono esclusi e vulnerabili.

Crediti foto: CISP
Crediti foto: CISP
Crediti foto: CISP
Il Cisp ha assegnato a ogni famiglia beneficiaria un terreno di 200 mq per almeno 7 anni, e costruito 157 case in terra senza legno. L’80% dei beneficiari sono sfollati interni, il 20% vulnerabili della comunità ospitante.
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Da Niamey VITA ha anche intervistato il giornalista Razak Idrissa, per comprendere meglio cosa sta accadendo in queste ore in Niger.

Secondo lei, quali sono state le cause principali di questo colpo di Stato?

Soprattutto la situazione della sicurezza, che si è deteriorata negli ultimi anni. Omar Tchiani, il presidente del Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria (i golpisti, ndr) ha detto che hanno cercato di far capire al presidente deposto che la gestione della sicurezza non era quella giusta e non produceva risultati soddisfacenti. In particolare, ha ricordato i numerosi attacchi mortali nei ranghi dell’esercito nel corso degli anni, non solo con Bazoum ma anche durante la presidenza del suo predecessore, Issoufou Mahamadou. Inoltre, ha deplorato l’approccio verso i paesi vicini, come il Mali e il Burkina Faso, affermando che non c’era stata una reale volontà di collaborazione con questi due paesi che sono i principali focolai di terrorismo della regione. In seguito ha citato tra le cause anche la scarsa governance economica e politica. 

Come inquadra il nuovo presidente de facto Omar Tchiani? 

Fino a mercoledì scorso era il Capo di Stato Maggiore della Guardia Presidenziale. Non è molto conosciuto agli occhi del grande pubblico. 

Qual è stato il ruolo dell’ex presidente (2011-2021) Mahamadou Issoufou che aveva messo a capo della guardia Tchiani? 

Quando Bazoum ha preso il potere voleva sostituire il generale Tchiani e sembra che sia stato Issoufou a chiedere che rimanesse in carica. Sembrerebbe anche che Tchiani abbia intrapreso l’azione per prendere in ostaggio Bazoum perché questi voleva sostituirlo come capo della guardia presidenziale. Ma non abbiamo abbastanza riscontri oggettivi per confermare queste due informazioni.

Come evolverà la situazione e cosa può fare la comunità internazionale per aiutare il Niger?

L’Unione Europea oltre a condannare sta valutando di imporre sanzioni. In altre parole tagliare o sospendere gli aiuti al bilancio del Niger. Non sappiamo se si concretizzerà o se resteremo a livello di condanne di principio ma sarà complicato. Sinora il Niger era stato presentato dalla comunità internazionale come un modello di stabilità in questa zona ad alto tasso di violenza. Non sappiamo davvero dove ci porteranno eventuali sanzioni.


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