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Non autosufficienza, i tre punti spariti dalla riforma

Il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto legislativo per attuare la legge delega per la riforma dell'assistenza agli anziani non autosufficienti. In via sperimentale, 25mila over80 avranno 1.380 euro al posto degli attuali 530. Nei fatti però la delega viene riscritta, eliminando alcuni punti-cardine

di Sara De Carli

Doveva arrivare entro il 31 gennaio 2024 ed effettivamente è arrivato. Parliamo del decreto legislativo che desse attuazione alla legge delega 33/2023, in materia di politiche per l’invecchiamento attivo, la promozione dell’autonomia, la prevenzione della fragilità, l’assistenza e la cura delle persone anziane anche non autosufficienti. Il Consiglio dei ministri lo ha approvato oggi. La viceministra del Lavoro e delle Politiche sociali Maria Teresa Bellucci l’aveva promesso alle associazioni del Comitato Editoriale di VITA a metà novembre ed è stata di parola. Non sono arrivati però dei decreti attuativi, bensì un unico schema di decreto legislativo che dovrà passare dal Parlamento, che tiene dentro di nuovo tutto, che per molti versi riscrive la legge delega apportandovi anche modifiche di non poco conto e che rimanda a sua volta ad un’infinità di successivi atti per la sua messa in pratica. Basterà all’Unione europea? Ma soprattutto, basterà agli anziani non autosufficienti e alle loro famiglie?

Le risorse

Quanto alle risorse, ci sono «oltre un miliardo di euro» dice il Governo. La misura di punta è la sperimentazione della nuova prestazione universale, che si farà nel biennio 2025/2026 e che consiste, come ha anticipato ieri al Question Time la presidente del Consiglio, «nell’aumento di circa il 200 per cento dell’importo dell’assegno di accompagnamento». Che di risorse aggiuntive non dovessimo aspettarcene molte, la viceministra Bellucci lo aveva lasciato intendere quando a VITA disse che «il tema è la razionalizzazione dell’utilizzo delle risorse che già ci sono e come istituire modelli organizzativi che mettano insieme la gestione di quelle risorse. Il primo dovere dello Stato non è quello di andare a trovare altre risorse, ma di utilizzare in maniera efficiente e efficace quelle che ci sono».

Verissimo. Ma qui stiamo parlando di una riforma attesa da vent’anni, su un tema su cui il Paese è drammaticamente in ritardo, che riguarda oltre 14 milioni di anziani di cui 3,8 non autosufficienti e che dovrà disegnare l’architettura del sistema dei servizi per i prossimi due o tre decenni. Una riforma storica, che poteva essere la riforma-simbolo della legislatura: ma è impossibile pensare di farla senza un investimento adeguato. Il Patto per la Non Autosufficienza (una coalizione sociale che riunisce una sessantina di organizzazioni e che aveva premuto e ottenuto ai tempi del governo Draghi che la riforma della non autosufficienza, dimenticata da Conte, entrasse nel Pnrr) infatti aveva stimato un fabbisogno di risorse aggiuntive tra i 5 e i 7 miliardi di euro annui per realizzare ciò che la legge 33/2023 prevedeva. Ma il punto oggi non è questo, nel passaggio parlamentare e nei vari altri decreti attuativi necessari le risorse, volendo, si potranno trovare.

Gli italiani aspettano questa legge da più di vent’anni, ora non si torna indietro. Il Governo ci crede e per avviare la riforma ha stanziato oltre un miliardo di euro ed è solo l’inizio di un percorso

Maria Teresa Bellucci, viceministra del Lavoro e delle Politiche sociali

«È una grande emozione e un onore aver portato oggi in Consiglio dei Ministri la riforma in favore della terza età, rispettando perfettamente i tempi dettati dal Pnrr. Dopo mesi di lavoro serrato, dico, senza enfasi, che questa legge ha il potenziale per costituire una “pietra miliare”, perché dà il via a un nuovo welfare per le persone anziane, più inclusivo, più semplice e soprattutto più giusto, perché pensato per i bisogni reali delle persone e delle famiglie. È il momento di dare finalmente risposte efficaci a milioni di famiglie», ha commentato oggi la viceministra Bellucci. «Gli italiani aspettano questa legge da più di vent’anni, ora non si torna indietro. Il Governo ci crede e per avviare la riforma ha stanziato oltre un miliardo di euro ed è solo l’inizio di un percorso strutturale, che sarà progressivamente implementato e su cui ci impegniamo a reperire ogni risorsa disponibile, innanzitutto mettendo a sistema economie destinate e non spese, ma anche utilizzando capitoli già dedicati alle singole materie».

I quattro pilastri: cosa prevede la delega, come la attua il decreto

Doveva arrivare ed è arrivato. Ma che cosa è arrivato? Le novità della delega – così come disegnata dalla legge 33/2023 – erano quattro. Il primo pilastro della riforma era una nuova governance del sistema, che superasse la frammentazione attuale e guardasse alla non autosufficienza in modo unitario e specifico. Due i punti nodali: sul versante macro lo Snaa, il nuovo Sistema Nazionale per la popolazione anziana non autosufficiente e sul versante individuale la creazione di un Punto Unico di Accesso dove gli anziani potessero ricevere una valutazione multidimensionale al posto delle 5/6 attuali. Il secondo pilastro era una nuova domiciliarità. Il terzo una nuova residenzialità. Il quarto una riforma della indennità di accompagnamento. Alla riforma, VITA ha dedicato un numero del magazine, dal titolo Anziani, tutta un’altra vita (scaricabile da qui).

L’idea – trasversalmente – era quella di definire nuovi modelli di intervento, che rispondessero in modo più appropriato ed efficace ai bisogni specifici delle persone non autosufficienti: i servizi attuali infatti, essendo nati in un’epoca in cui la demografia non poneva il tema della non autosufficienza con la stessa intensità di oggi, non sono stati disegnati “su misura” per loro. Vediamo quindi punto per punto come il decreto dà attuazione alla delega su questi quattro pilastri.

1. La governance: dallo Snaa sparisce il sanitario

Il Sistema nazionale per la popolazione anziana non autosufficiente (Snaa), nella legge delega aveva il compito di presiedere alla programmazione integrata, alla valutazione e al monitoraggio di tutti gli interventi e i servizi pubblici (statali e territoriali) rivolti alle persone anziane non autosufficienti: tutti significa quindi interventi sanitari, sociali e monetari. Era un po’ questa la rivoluzione, il superamento della frammentarietà degli interventi in un’ottica integrata: come integrati sono i bisogni e le necessità della non autosufficienza. Ora invece per come il Governo lo ha disegnato, lo Snaa viene circoscritto alle sole misure sociali. Il Comitato interministeriale per le politiche in favore della popolazione anziana-Cipa infatti «adotta il Piano nazionale per l’assistenza e la cura della fragilità e della non autosufficienza nella popolazione anziana, che costituisce parte integrante del Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali». E «le regioni e le province autonome elaborano i Piani regionali corrispondenti e li trasmettono al Ministero del lavoro e delle politiche sociali per il monitoraggio e la verifica dello stato di attuazione dei Leps». Si parla solo di Leps, mai di Lea. Si è perso l’obiettivo dell’integrazione, che era una delle sfide più ambiziose della partita.

Valutazione multidimensionale e punto unico d’accesso, avanti tutta

Il decreto è invece coerente con la legge 33 nell’obiettivo di semplificare i percorsi di presa in carico dei bisogni dell’anziano non autosufficiente. Ci sarà una valutazione multidimensionale e si è disegnato «un sistema per cui il Punto Unico di Accesso all’interno della Casa della Comunità sarà davvero l’unico punto a cui il cittadino dovrà rivolgersi per una valutazione che dia accesso a tutti i servizi e i benefici, dall’accompagnamento alla legge 104 all’invalidità civile: questo semplifica moltissimo la vita delle persone», spiega Fabrizio Giunco, direttore Dipartimento Cronicità della Fondazione Don Carlo Gnocchi. Inoltre ci sarà una interoperabilità fra le piattaforme delle varie strutture. «Chiaramente questo funziona se il Pua non diventa il collo di bottiglia del sistema. La preoccupazione c’è, perché già oggi le Case della Comunità sono in grandissima difficoltà e questo passaggio aggiunge loro un carico notevole di responsabilità», spiega Giunco. Il disegno quindi è buono, anche se la sua attuazione demanda ad altri atti. Per Luca Degani, presidente di Uneba Lombardia, anche la scelta di appoggiarsi a un decreto legislativo che deve passare dal Parlamento (anziché a dei decreti attuativi più rapidi) è interessante nella misura in cui «ci dà il tempo per mettere a sistema l’attuazione del DM 77 e della nuova sanità territoriale, di modo che l’attuazione della legge 33 si inserisca in quel contesto e la valutazione multidimensionale possa diventare davvero lo strumento unico attraverso cui accedere tanto ai servizi di salute quanto a quelli sociali. La legge 33 forse non avrà un fondo dedicato ma potrebbe rimodularsi in relazione all’utilizzo anche delle risorse del fondo sanitario nazionale, che ammonta a 130 miliardi», dice.

2. Sparisce la nuova domiciliarità

«In conseguenza dell’impostazione molto centrata sul ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, la separazione tra sociale e sanitario è ancora enfatizzata in diversi punti del decreto. Ritroviamo per esempio la separazione fra servizi residenziali e semiresidenziali sociosanitari e servizi residenziali e semiresidenziali socioassistenziali, che nella legge delega non c’era. Stessa cosa nella domiciliarità: si parla sì un’offerta integrata di assistenza e cure domiciliari, affidando al livello locale il potenziale coordinamento fra i servizi già esistenti. È un cambiamento, ma non è quel coordinamento forte indicato dalla legge delega che andava ben oltre, provando a immaginare una nuova domiciliarità, specifica per la non autosufficienza», commenta Giunco.

La separazione tra sociale e sanitario è ancora enfatizzata in diversi punti del decreto. Sulla domiciliarità per esempio si parla di una offerta integrata, ma senza quel coordinamento forte che era previsto dalla legge delega

Fabrizio Giunco, direttore Dipartimento Cronicità della Fondazione Don Carlo Gnocchi

Per il Patto per la Non Autosufficienza questo è uno dei punti più critici. La nuova domiciliarità pensata per la non autosufficienza doveva prevedere infatti una durata adeguata e un mix di prestazioni, non solo la possibilità di “allargare” la capacità di risposta in capo ai servizi attuali. Doveva essere un’offerta integrata di assistenza sanitaria, sociale e sociosanitaria, di durata e intensità adeguata ai bisogni. È un punto su cui da subito il “Patto” aveva evidenziato la contraddittorietà fra ciò che la delega prevede e ciò su cui lo Stato stava spingendo con le maggiori risorse messe sull’Assistenza domiciliare integrata-Adi con il Pnrr, chiedendo di spostare una quota di risorse sull’avvio della nuova domiciliarietà. La strada imboccata quindi pare tutt’altra, con un modello che elude la domanda delle domande: “Di quale assistenza abbiamo bisogno per gli anziani non autosufficienti?”.

3. Sparisce la riforma dell’indennità di accompagnamento

Ed eccoci alla nuova prestazione universale, introdotta in via sperimentale dal 1° gennaio 2025 al 31 dicembre 2026, che – come ha detto in conferenza stampa la viceministra Maria Teresa Bellucci – darà «alla parte più fragile della platea degli anziani non autosufficienti fino a 1.380 euro al mese da spendere per badanti o servizi contri i 531,76 euro attuali. Successivamente potremo immaginare un ampliamento progressivo della platea». È la novità su cui sta puntando il Governo, con quell’efficacissima rivendicazione di un «aumento di circa il 200 per cento dell’importo dell’assegno di accompagnamento»: anche se a ben vedere passare da 531 euro a 1.380 significa un +159%.

850 euro in più: che cos’è la nuova prestazione universale sperimentale

Tre le condizioni previste. Sarà l’Inps a individuare tra gli over 80 già titolari di indennità di accompagnamento quelli che hanno un Isee non superiore a 6mila euro e uno «stato di bisogno assistenziale, di livello gravissimo»: per definire quali sono gli indicatori per stabilire che cos’è lo “stato di bisogno assistenziale gravissimo” entro 60 giorni verrà nominata una commissione di lavoro. Le persone con queste tre caratteristiche potranno chiedere la nuova prestazione universale sperimentale, liberi di tornare – qualora cambiassero idea – al “vecchio” accompagnamento. Alla “solita” cifra dell’indennità di accompagnamento si aggiunge un “assegno di assistenza”, utilizzabile per pagare badanti o assistenti assunti regolarmente o per l’acquisto di servizi di cura e assistenza forniti da imprese qualificate nel settore dell’assistenza sociale non residenziale. Le domande per questa prestazione universale verranno accolte fino al raggiungimento del tetto massimo di spesa previsto. Se facciamo i conti in base alle risorse annue stanziate apparse nelle bozze di decreto che sono circolate in queste ore (300 milioni all’anno, per due anni a quanto si leggeva in una prima bozza e pure nel comunicato stampa post Consiglio dei Ministri, sul sito del Governo, ora forse scesi a 500 milioni complessivi per il biennio), vuol dire che di questi 850 euro al mese in più potranno beneficiare – per il momento per due anni – circa 25mila anziani sugli 1,4 milioni che attualmente hanno l’accompagnamento. Se restiamo ai 300 milioni, 30mila.

Il decreto non tocca più l’accompagnamento

Questa prestazione universale sperimentale si affianca all’indennità di accompagnamento, ovvero all’assegno che oggi ricevono le persone non autosufficienti: l’indennità di accompagnamento è una misura universalistica, a cui ha diritto chiunque in assenza di limiti di reddito e senza soglie di età. Il percettore può utilizzarla come vuole, senza vincoli di utilizzo. L’accompagnamento ammonta a circa 530 euro al mese e ne beneficiano oggi circa 1,4 milioni di persone non autosufficienti: gli anziani rappresentano il 70% dei beneficiari. La legge delega prevede una revisione dell’indennità di accompagnamento, che proprio per il suo essere sganciata dall’intensità del bisogno assistenziale e sbilanciata sull’erogazione monetaria senza vincoli di utilizzo era divenuta nel tempo il simbolo del cattivo impiego delle risorse pubbliche. La legge 33 prevede l’introduzione della prestazione universale per la non autosufficienza, più equa, sempre universale ma di importo graduato in base all’intensità del bisogno assistenziale, erogabile – a scelta del beneficiario – sottoforma di trasferimento monetario (come oggi) o di servizi alla persona: nel caso dell’opzione per i servizi, l’importo sarebbe aumentato.

A prima vista qualcosa di simile alla sperimentazione introdotta dal Governo, che peraltro ha lo stesso nome. In realtà nella delega si andava verso una misura che andava a tutti, ma con importo graduato sul bisogno assistenziale mentre qui si aggiunge una misura che si chiama universale che introduce il principio della selettività nell’accesso: una misura per gli anziani più poveri. Questa sperimentazione per di più si affianca all’indennità di accompagnamento senza andare a toccarla, rinunciando così all’idea di rivederla e riformarla: al contrario di quel che prevedeva la delega.

Gli altri articoli promossi

Il decreto – come dicevamo all’inizio – in realtà riprende e riscrive l’intera legge 33/2023. Alcune parti quindi le ritroviamo identiche, ma le segnaliamo perché particolarmente importanti. Come le misure per l’accesso alle cure palliative o l’articolo ad hoc sugli interventi per le persone con disabilità divenute anziane, per cui era già stato scritto nero su bianco che deve essere rispettato il principio di continuità. Un tema caldissimo: «Le persone con disabilità già accertata, al compimento del 65° anno di età, hanno diritto a non essere dimesse o escluse dai servizi e dalle prestazioni già in corso di fruizione e hanno diritto alla continuità assistenziale nella medesima misura». Per le badanti e per la definizione degli standard formativi degli assistenti familiari impegnati nel supporto e nell’assistenza delle persone anziane non autosufficienti, il ddl rimanda a delle future linee guida da redigere entro 90 giorni.

Sorpresa caregiver

Compare invece un po’ a sorpresa un nuovo articolo, dedicato ai caregiver familiari e al riconoscimento del loro ruolo, senza però che si parli di interventi che possano prevedere nuovi oneri. Il Governo un anno fa aveva eliminato dalla delega il tema caregiver, affermando che preferiva procedere con una legge ad hoc: legge per cui, appunto, è stato da poco istituito un Tavolo tecnico di lavoro. La linea è chiara e ben strutturata (e riprende molti dei punti già previsti nella proposta del Patto per la Non Autosufficienza). I bisogni e gli interventi a sostegno del caregiver stesso entreranno nei progetti individualizzati di assistenza integrata come pure quelli di altri familiari (in particolare di figli minori). Il caregiver può partecipare alla valutazione multidimensionale della persona anziana non autosufficiente, nonché all’elaborazione del PAI e all’individuazione del budget di cura e di assistenza. L’esperienza del caregiver familiare può essere riconosciuta dalle regioni per il conseguimento della qualifica professionale di operatore sociosanitario (OSS) e valorizzata nel caso di studente caregiver dalle istituzioni scolastiche del secondo ciclo.

Dagli animali di affezione al cicloturismo passando per il senior cohousing

Tutta la prima parte del decreto fa riferimento non alla riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti, ma in generale alla promozione della salute e dell’invecchiamento attivo delle persone anziane. Qui si introduce la possibilità di donare a enti del Terzo settore (rimandando a un decreto del Ministro della salute che dovrà individuare le modalità) medicinali veterinari per animali d’affezione, in confezioni integre, correttamente conservati e ancora nel periodo di validità, per la successiva distribuzione degli stessi a persone anziane con Isee inferiore a euro 16.215 euro.

Vengono annunciate delle linee guida per definire le caratteristiche e i modelli di coabitazione solidale domiciliare per le persone anziane (senior cohousing) e di coabitazione intergenerazionale, in particolare con i giovani in condizioni svantaggiate (cohousing intergenerazionale): una prospettiva interessante, perché la sperimentazione di modelli residenziali alternativi in Italia è particolarmente arretrata. Le linee guida le dovrà redigere il Comitato interministeriale per le politiche in favore della popolazione anziana-Cipa entro 180 giorni dall’entrata in vigore del presente decreto.

«La scelta di fare un decreto che tenga insieme i due temi ha portato a delle forzature che francamente fanno sorridere», annota ancora Fabrizio Giunco, «perché è evidente che le esigenze del 65enne che per la medicina ormai non è più un anziano e quelle dell’80enne non autosufficiente sono molto diverse». Così nel decreto si parla per esempio di promuovere il cicloturismo leggero tra persone anziane autosufficienti e non autosufficienti.

Foto Avalon/Sintesi


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