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Federazione Alzheimer Italia

Nonno, cosa fai? Ecco come parlare di demenza ai bambini

Semplici consigli per gli adulti, come quello di essere trasparenti, parlare chiaro, incoraggiare il bambino a fare domande e anticipare quello che potrebbe accadere, consentono ai più piccoli di vivere bene il rapporto con i propri idoli, i nonni, anche quando la malattia neurodegenerativa stravolge ritmi e abitudini

di Nicla Panciera

Quando una demenza irrompe in famiglia, tenere all’oscuro i bambini della malattia dei nonni pensando di proteggerli provoca l’effetto contrario. Finiranno per darsi da soli le risposte che cercano, in genere le più catastrofiche, quando invece da una chiara spiegazione verrebbero rassicurati. «Non bisogna fingere che vada tutto bene, i bambini se ne accorgono subito che qualcosa non va. Si chiedono perché i nonni non li vanno più a prendere all’asilo, perché fanno sempre le stesse domande e non si ricordano più come si fa quel gioco che facevano sempre insieme» spiega Francesca Arosio, psicologa e consulente della Federazione Alzheimer. «Già a tre-quattro anni, i bambini hanno le risorse cognitive per capire, basta usare le parole giuste». Dopotutto, si tratta di parlare di qualcosa che avviene sotto i loro occhi e che riguarda persone che conoscono benissimo e spesso sono i loro idoli, i nonni.

  1. Dare risposte semplici e sincere, incoraggiarli a fare domande e spiegare loro cosa aspettarsi. «Avvalersi di esempi concreti di errori o di comportamenti commessi: Se il nonno ha messo le chiavi in quel posto è a causa della malattia; per il piccolo è importante l’innesto con la realtà» spiega la psicologa.
  2. Evitare di ridurre la condizione di malattia a un problema di memoria, altrimenti il bambino non riesce a spiegarsi le varie altre stranezze, del comportamento, dell’umore, del linguaggio, rispetto a prima.
  3. Rassicurare i bambini che, pur non riconoscendoli più, i nonni continuano ad amarli e che ogni comportamento strano o reazione inconsueta non dipendono da loro ma dalla demenza. «È importante rassicurare il bambino che non è solo, che è insieme agli altri della famiglia in tutto questo».
  4. Spesso, poi, c’è la paura che lo stesso possa accadere a mamma e papà: «Di nuovo, è utile rifarsi a esempio concreti: Anche io come te, avevo una nonna con i capelli bianchi che poi è morta. Io non sono ancora così, guarda i miei capelli e la mia pelle, quindi stai tranquillo che ora non mi succederà».
  5. Parlare apertamente di morte e di usare mai termini immaginifici come “è volato via”. Essere chiari, per non alimentare l’immaginazione e le fantasie del bambino. In questo, può essere di aiuto cogliere spunti dal mondo naturale, le foglie che cadono o l’insetto morto al parco, esempi universali che rendono tale anche la morte. «Il bambino ha esperienza della morte, dalla televisione o nei giochi, senza ancora essersi scontrato con le emozioni negative che l’accompagnano» spiega la psicologa, che aggiunge «Questo è un problema principalmente degli adulti, che devono imparare a vivere apertamente le proprie emozioni di dolore senza nascondersi o alzare un muro. Anche perché ne va della fiducia che il bambino nutre in loro e del fatto che possa sentirsi preso in giro dalla mancanza di sincerità». La fiducia ci porta direttamente all’ultimo consiglio, riguardante la gestione della lutto.
  6. Non escludere il bambino, neppure quando si tratta di riti sociali come un funerale che possono sembrare troppo dolorosi ma aiutano nell’elaborazione. «Se la famiglia ritiene che il funerale sarà troppo complicato da gestire, si organizzi un momento di saluto con il nonno o la nonna, quando sta peggiorando o dopo il decesso. È utile anche a scongiurare il rischio di nuove paure: se il nonno se ne è andato d’improvviso e non lo sapevo, anche voi potete scomparire così».

Dopodiché, i nonni con demenza traggono beneficio dalla vicinanza dei più piccoli in termini di funzioni cognitive, come dimostrano alcuni studi condotti anche su anziani sani che svolgono attività di babysitteraggio. «Fare delle attività insieme, condividendo il tempo magari senza bisogno di parlare tanto, è una buona idea; ai genitori suggerisco di lasciare il bambino libero di interagire e, se necessario, di osservarlo non visti, senza troppi caveat, perché l’essere non giudicante del bambino, che magari fare l’occhiolino al nonno che sbaglia, fa bene alla persona con demenza».

Foto di Tim Kilby su Unsplash


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