Attivismo
Organizzato e informale, nel volontariato non c’è concorrenza: parola di Istat
Per anni ha prevalso l'idea che il volontariato fluido e informale facesse concorrenza a quello organizzato. L'ultimo report Istat dimostra che non è così: anzi, al contrario, la novità di questi ultimi dieci anni è proprio la partecipazione ibrida, di chi fa volontariato in entrambe le modalità. Sono circa un milione di italiani

Volontariato liquido, disintermediato, informale… A un certo punto c’è stata anche l’etichetta del “volontario involontario” per raccontarli. A lungo le organizzazioni hanno guardato con sospetto al volontariato diretto, quasi come se fosse “concorrente” al volontariato organizzato che passa da loro. O forse, addirittura, un volontariato di “serie b”.
Aumenta la partecipazione ibrida
Ora Istat certifica che la concorrenza non c’è: la novità della rilevazione appena presentata (qui l’articolo di Francesco Dente) è proprio che aumenta in modo marcato la partecipazione ibrida, ossia chi fa sia volontariato diretto sia volontariato in una organizzazione. «Negli ultimi 10 anni le modalità di partecipazione hanno subito cambiamenti significativi. Tra i volontari, quelli attivi solo in forma organizzata scendono dal 54,3% al 46,1% e anche chi offre solo aiuti diretti passa dal 37,6% al 32,2%. Al contrario, aumenta in modo marcato la partecipazione ibrida: dall’8,1% al 21,7% (+13,6 punti percentuali)», si legge nel report. Il volontariato organizzato, cioè svolto attraverso gruppi, associazioni o organizzazioni, coinvolge il 6,2% della popolazione (3,2 milioni di persone) mentre il volontariato non organizzato, che consiste in aiuti diretti offerti a persone esterne alla propria famiglia, alla comunità o all’ambiente, riguarda il 4,9% (2,5 milioni di persone). Circa un milione di persone unisce le due modalità».

Più tempo dedicato
Il tempo medio complessivo di tutti i volontari si riduce lievemente, da 19 a 18 ore mensili e la flessione è più marcata nelle attività non organizzate (da 16 a 11 ore), mentre quelle organizzate si mantengono relativamente stabili (da 18 ore e 42 minuti a 17 ore e 48 minuti). L’impegno supera le 28 ore e 50 minuti per chi combina entrambe le modalità di impegno: «Quest’ultimo gruppo, in crescita nell’ultimo decennio, mostra una partecipazione più intensa e strutturata, caratterizzata da una maggiore dedizione e varietà di compiti», annota Istat.
I volontari? Non sono una proprietà esclusiva
Riccardo Bonacina aveva preso a cuore il tema già nel maggio 2023, quando Istat – comunicando i primi risultati del Censimento del non profit – al 31 dicembre 2021 registrava un calo del 15,7% di volontari rispetto al 2015: «L’indagine Istat probabilmente non intercetta il volontariato temporaneo e individuale che nel 2020 con coda nel 2021 (anno della rilevazione) ha conosciuto un vero boom», scriveva. «I volontari non sono più proprietà esclusiva di un’associazione». Ci facemmo un numero, Volontario dove sei? (gli abbonati lo possono recuperare e rileggere nell’archivio di VITA a questo link) dove in molti mettevano in guardia dalla tentazione di leggere come contrapposti il volontariato organizzato e il volontariato fluido. Se non altro perché – dicevano in tanti – l’azione informale può essere un modo per far sperimentare ai giovani nuove strade e coinvolgerli.
Nuove forme del volontariato dicono anche di nuovi bisogni
«I dati diffusi da Istat nelle scorse ore sul volontariato ci offrono nuove, interessanti chiavi di lettura su un fenomeno che è in grado di raccontare molto del nostro Paese, delle trasformazioni sociali in atto e di una irriducibile spinta alla solidarietà degli italiani che sfida l’indifferenza e l’individualismo, anche trovando nuove vie di espressione per adattarsi ai contesti mutati. Se, da una parte, l’indagine ci conferma il calo del numero dei volontari nell’ultimo decennio, dall’altra, rispetto ai dati diffusi nel 2023 e riferiti al 2021, ci comunica che siamo ora in una fase di stabilizzazione, se non addirittura di timida ripresa dell’impegno volontario», commenta Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Terzo Settore. «Elementi come la crescita delle forme di volontariato che tengono insieme gli aiuti diretti e l’impegno nelle organizzazioni, ma anche l’aumento dei volontari nelle attività culturali e assistenziali, evidenziano l’emergere di nuovi bisogni sociali che necessitano di nuove tipologie di risposte».
Elementi come la crescita delle forme di volontariato che tengono insieme gli aiuti diretti e l’impegno nelle organizzazioni, ma anche l’aumento dei volontari nelle attività culturali e assistenziali, evidenziano l’emergere di nuovi bisogni sociali che necessitano di nuove tipologie di risposte
Vanessa Pallucchi, portavoce Forum Terzo Settore
Questo dato, quindi, cosa dice alle organizzazioni? «Da questo punto di vista, le organizzazioni sono direttamente chiamate in causa nel compiere passi avanti nella comprensione di una realtà che cambia e nell’adeguamento ad essa. Senza perdere, ma anzi rafforzando ciò che le contraddistingue: in primis la capacità di costruire una rete sociale, di offrire una cornice di valori condivisi nella quale operare, di favorire l’acquisizione di competenze e, ancora, di porsi come facilitatrici tra il desiderio e l’effettiva possibilità di realizzare azioni concrete di cittadinanza attiva. Questa evoluzione da parte delle organizzazioni è a maggior ragione necessaria per intercettare quel desiderio – che Istat indica in netto aumento – di indirizzare il proprio contributo verso cause collettive, ambientali e civiche piuttosto che verso relazioni dirette. Questo desiderio è il segno che, davanti a un’umanità che mostra sempre più segnali di crisi, si fa più forte la presa di coscienza dell’importanza del bene comune», conclude.
Una persona, più “magliette”
Ennio Ripamonti, psicosociologo, docente di lavoro sociale di rete all’Università Cattolica di Milano e presidente di Metodi, già nel 2023 su VITA diceva che «la mia convinzione è che ci sia una quota di comportamenti di prosocialità e solidarietà tra pari che non possono essere registrate alla voce “volontari attivi” di una organizzazione. Comportamenti che però esistono. Se guardo i ventenni che incontro in università o che fanno un tirocinio da noi, non è che non ci siano forme di impegno sociale, ma questo impegno è caratterizzato da intermittenza, nomadismo, discontinuità». Oggi a maggior ragione sottolinea che «i numeri, ma soprattutto l’osservatorio sul campo e nei territori, dicono non c’è una competizione tra due mondi che si sottraggono persone. Piuttosto chi manifesta comportamenti prosociali e di impegno sociale “portano in giro” questo atteggiamento sia in contesti strutturati sia in contesti più fluidi: tutti abbiamo esperienza del fatto che capita spesso di vedere la stessa persona in più ambiti di servizio, con più “magliette”. Dal punto di vista statistico c’è anche il rischio che vengano contati più volte. La stessa persona che è attiva in un’organizzazione può esserlo anche nel quartiere informalmente, anche su ambiti molto diversi».
In un’epoca di forti solitudini, oggi più di un tempo nel volontariato non c’è solo l’aspetto di impegno sociale a fini solidaristici, ma anche una domanda esistenziale, di socializzazione e di senso. Penso soprattutto ai volontari in età più avanzata, dopo la pensione
Ennio Ripamonti, psicosociologo
L’aspetto di senso, non solo di impegno
Due gli aspetti che sottolinea: «Il volontariato oggi è una forma di prosocialità che si riempie di anche di aspetti di socializzazione e di senso. In un’epoca di forti solitudini, oggi più di un tempo nel volontariato non c’è solo l’aspetto di impegno sociale a fini solidaristici, ma anche una domanda esistenziale. Non è che uno “si sacrifica” a fare il volontario in più realtà, è che probabilmente trova risposte che intercettano una sua domanda di senso. Penso soprattutto alla fascia di volontari in età più avanzata, dopo la pensione».
Storicizzare il volontariato
Lato organizzazioni, «dobbiamo comprendere che questo comportamento non è affatto qualcosa che squalifica o svaluta il volontariato, è solo un segno dei tempi. Le organizzazioni continuano ad essere essenziali per infrastrutturare una cittadinanza attiva che non evapori nel solo evento, ma certamente chi oggi le guida non può pretendere che il modello resti lo stesso che lui ha vissuto. Vedo ancora troppa “nostalgia dei bei tempi andati” e questi non è sano. Le forme novecentesche del volontariato, che per cui uno arriva e resta conte te tutta la vita, non è che non ci sono più… ma certo sono minori. Anche perché nel frattempo le associazioni si sono moltiplicate esponenzialmente. Morin dice una cosa molto bella e molto vera, potente: “Ciò che non si rigenera, degenera“. Il rischio è quello. Ogni epoca e ogni società ha i suoi modi, anche nel volontariato: dobbiamo imparare a storicizzare un po’ il volontariato, collocarlo nei tempi di oggi, tempi in cui tante cose che accadono forse ci sfuggono e forse ci risultano incomprensibili, ma comunque accadono. Io sono molto ottimista perché nei territori percepisco una grande energia vitale».
Foto di volontari Lav
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.