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Fundraising

“Pandoro gate”, quando un’associazione dice no a un’azienda

«Le aziende sono un soggetto importante, ma a volte bisogna saper dire dei no», spiega Valentina Martano, direttrice della raccolta fondi di Aism, associazione che con due pagine sul principale quotidiano nazionale oggi ringrazia le aziende che nel 2023 le sono state accanto. Contraccolpi dal "pandoro gate"? «No, anzi: più aziende ora ci cercheranno»

di Sara De Carli

Una doppia pagina sul Corriere della Sera, per dire «un grazie di cuore alle aziende, alle fondazioni e ai testimonial che nel 2023 ci hanno aiutato a migliorare la vita delle persone con sclerosi multipla. Con il vostro sostegno, abbiamo potuto continuare ad essere al loro fianco a portare avanti una ricerca di eccellenza». Firmato Aism-Associazione italiana sclerosi multipla. Due pagine che nei giorni caldi del “Pandoro Gate” non passano inosservate, anche se non sono una risposta al caso del momento. «Sono pagine programmate da tempo, è una cosa che facciamo tutti gli anni da tanti anni», spiega Valentina Martano, direttrice raccolta fondi di Aism.

Qual è il senso di queste due pagine?

Un ringraziamento, perché per noi le donazioni da aziende, fondazioni, enti privati sono importanti perché contribuiscono a realizzare progetti fondamentali sia di ricerca sia di servizi. Progetti e azioni che impattano sulla vita quotidiana delle persone con sclerosi multipla.

Valentina Martano, direttrice raccolta fondi di Aism

Quanto pesano nel bilancio di Aism le donazioni che non vengono da individui?

Circa il 10% della nostra raccolta fondi.

Quali riflessioni fare sulla vicenda Balocco-Ferragni? Come lavora Aism con il corporate?

Lasci che risponda per Aism, senza parlare di altri o per altri. A me è capitato di dire no a delle richieste di cause-related marketing, chiedendo all’azienda di fare invece una “semplice” donazione liberale perché non c’erano i presupposti per una attività di quel tipo: non sempre è facile, ma a volte occorre dire dei no. Ogni strumento ha le sue caratteristiche, a livello di definizione tecnica e giuridica. Un conto è la sponsorizzazione, un conto la donazione, un altro il cause-related marketing, un altro il licensing. Ogni strumento ha un perimetro preciso e delle regole precise e in questo la riforma del Terzo settore – che ci ha aperto opportunità che prima non c’erano in ambito anche commerciale – ci aiuta perché regolamenta tutto molto chiaramente. Bisogna fare una valutazione delle opportunità e dei rischi, di volta in volta, tenendo la bussola sulla tutela della trasparenza e della fiducia che i cittadini ripongono nella nostra organizzazione.  Noi siamo molto ligi nel seguire le regole dettate dal Codice del Terzo settore per l’accettazione di una donazione da parte di una azienda e cerchiamo di lavorare sempre in ottica di totale trasparenza, anche nella comunicazione dell’attività.

Quella dei pandori Balocco e Ferragni non era un’azione di cause-related marketing, anche se la comunicazione ha lasciato intendere che lo fosse. Non c’è nemmeno in campo una non profit ad essere precisi. Quello che stupisce è la sproporzione fra la donazione fatta all’ospedale Regina Margherita dell’ordine di decine di migliaia di euro e il valore della partnership commerciale tra i due soggetti, dell’ordine del milione di euro. Questa proporzionalità, una non profit che lavora con un soggetto profit, riesce a gestirla e a “contrattarla”?

Nelle operazioni di cause-related marketing Aism cerca sempre di mettere nei contratti una percentuale congrua di retrocessione sul prezzo del prodotto, ovviamente vanno valutate molte cose, non solo la quantità di “pezzi” che potranno essere venduti o il valore che ci tornerà dal singolo pezzo. Un tema rilevante è quello della diffusione, cioè di quante persone attraverso quel prodotto che avrà anche il nostro marchio entreranno in contatto con la nostra causa: le non profit infatti a volte devono usare il fundraising anche per fare sensibilizzazione sulla causa, visto che i budget a disposizione per la comunicazione non sono mai elevatissimi.

C’è già chi dice che questa vicenda sarà un boomerang per tutto il non profit e che è facile prevedere un calo delle donazioni. Anche se di fatto questo non è uno scandalo che riguarda in alcun modo il non profit, ma solo dei soggetti profit. Anzi, diciamocelo: il problema sta esattamente nel fatto che il non profit non sia stato coinvolto. Oltre a non esserci stato, ora rischia di pagare per qualcosa in cui non c’era?

Dal punto di vista della raccolta fondi da individui no, non credo che ci saranno ripercussioni: mi pare sia molto chiaro che il non profit non c’era negli accordi, non c’entra nulla, è stato completamente tenuto fuori dai giochi. Non penso nemmeno che saranno penalizzate tanto le azioni di cause-related marketing, quelle alla fine riguardano soprattutto i grandi brand del non profit che hanno una solida reputazione alle spalle. In questo momento chi ne esce male sono quelle aziende che gestiscono la filantropia in maniera superficiale: se vogliamo vedere qualcosa di buono in questa vicenda è che questa sarà una lezione per fare filantropia in modo più attento e consapevole. Io credo che per il non profit ora ci sarà da parte delle aziende una maggiore richiesta di collaborazione e co-progettazione. Ci saranno più realtà che vorranno lavorare con il non profit e lo vorranno fare in maniera trasparente, seguendo tutte le regole necessarie. 

Foto di Markus Winkler su Unsplash


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