Giornata nazionale
Parkinson: vivere bene si può, ma serve una vera sinergia tra leggi, società e individui
Non solo ricerca nell’Anteprima online organizzata da Fondazione Limpe per il Parkinson Onlus insieme alla Società italiana Parkinson, dove è stata presentata una survey sui caregiver familiari, soli e senza diritti. Molti pazienti sono intervenuti anche da casa per condividere le proprie esperienze e parlare concretamente di benessere, sport, alimentazione, relazioni sociali e di qualità della vita
Caregiver non si nasce, spesso non lo si è neppure per scelta. Si diventa, per amore e per necessità, assistenti di un proprio caro che si ammala e si trova in uno stato di necessità. Il benessere di chi si prende cura è fondamentale per molte ragioni, anche per le inevitabili ripercussioni sul malato stesso. Spesso le testimonianze lo dico: “È come se ci fossimo ammalati in due”, poi ciascuno deve trovare la propria strategia per vivere al meglio, riempiendo l’esistenza di tutte quelle attività anche sociali che la rendono tale.
Di benessere e ruolo dei caregiver, oltre che di progresso della ricerca scientifica, si è parlato nell’Anteprima online della Giornata Nazionale Parkinson, che quest’anno si celebra sabato 30 novembre, organizzata da Fondazione Limpe per il Parkinson Onlus insieme alla Società italiana Parkinson e disordini del movimento Limpe- Dismov, con il patrocinio gratuito di Rai per la sostenibilità e alla media partner della TGR.
La survey sui caregiver
La survey condotta da Limpe con la collaborazione di Confederazione Parkinson Italia, presentata in occasione della giornata e cui hanno risposto 478 persone, rivela che il 75% dei caregiver familiari è una donna tra i 55 e i 70 anni, l’80% ha un diploma di scuola superiore o una laurea, nella maggior parte dei casi il caregiver è partner dell’assistito e nel 20% familiare di primo grado. L’80% vive con il paziente e, se nella prima fase della malattia, il tempo di assistenza è complessivamente di 1-2giorni a settimana, si arriva col tempo a dedicare a questa attività ogni giorno della settimana, con delle ripercussioni sulla vita lavorativa e personale. Il 15%, infatti, dichiara di non lavorare più e, tra coloro che hanno ancora un lavoro, il 70% perde almeno un giorno di lavoro al mese. Solo il 9% dei caregiver riceve una formazione per svolgere questa attività, tutti gli altri si arrangiano come possono. La salute ne risente, tanto che il 75% lamenta stanchezza e il 65% disturbi del sonno, con le donne che lamentano ricadute più pesanti sulla propria salute. Il 70% poi dichiara di non ricevere alcun tipo di supporto.
Quali diritti?
«Questi dati indicano chiaramente che i caregiver sono abbandonati a loro stessi» commenta Mario Zappia, ordinario di neurologia dell’Università di Catania e direttore della Clinica neurologica del Policlinico universitario. «Perdono il lavoro, subiscono un peggioramento della propria salute e vengono privati della vita all’esterno dell’attività di cura. La survey fotografa una condizione di espropriazione di diritti: del diritto alla salute, al lavoro, alle relazioni sociali. Inizialmente, poi, il partner accetta il ruolo di caregiver che si trova a dover svolgere ma col tempo a risentirne è anche la coppia. I figli vanno per la propria strada e il caregiver si trova solo, a dover rinunciare a tutto, spesso anche alle visite mediche». Serve una legge nazionale fatta bene che li tuteli e ne garantisca i diritti. In questo contesto, che riguarda molte malattie croniche, commenta Zappia, «la questione non è solo sanitaria, è sociale ma soprattutto politica. La politica sembra incapace di prendere decisioni. Dovrebbe, invece di parlare, fermarsi ad ascoltare le storie dei pazienti e dei loro cari, per farsi un’idea più approfondita del dramma esistenziale che essi vivono per intervenire in modo incisivo sulla vita delle persone».
L’assistenza perdura nel tempo e, col progredire della malattia, si intensifica tanto che, evidenzia Zappia, «i caregiver, essi stessi anziani e con i primi acciacchi, riportano un groviglio di emozioni che includono rabbia e frustrazione, spesso indirizzate verso il proprio caro che, nel frattempo, ha sviluppato un irrefrenabile egoismo».
L’isolamento del caregiver
Gli studi dimostrano, e ogni caregiver lo prova sulla propria pelle, che dover lasciare andare la propria vita personale, familiare e lavorativa, per occuparsi interamente di un’altra persona, provoca fatica mentale e fisica, logoramento emotivo e solitudine, ma anche frustrazione, senso di impotenza e burnout. Il sovraccarico lavorativo si somma a quello mentale di essere costantemente a fianco della sofferenza. Per questo servono strumenti. «Quello di cui noi caregiver di lungo periodo abbiamo bisogno è di un supporto sia economico sia psicologico»racconta Silvana Bellettati, vicepresidente del Gruppo Estense Parkinson Ferrara. «A poco a poco, l’isolamento si fa sentire e si capisce di non riuscire a reggere sulle proprie spalle una situazione così difficile. Ci si rivolge alle associazioni e agli altri caregiver, che sono anche le uniche relazioni sociali rimaste, per trovare condivisione e conforto. Servirebbe anche uno specialista psicologo, ma formato sulla malattia specifica e ne comprenda la costante incertezza, complessità e variabilità». Bellettati è una sanitaria di professione, oggi caregiver a tempo pieno del proprio marito e volontaria. Conosce più di altri che cosa va fatto ma questo, dice, non l’ha messa al riparo: «Pur nella consapevolezza dell’importanza dell’ascolto e del rapporto tra pari, spesso le situazioni contingenti di cura ci impediscono di coltivarle», ammette, riferendosi anche al peso della cura che richiederebbe il possesso di strategie per contenere l’ansia derivante dall’immensa fatica di assistere per anni una persona non autosufficiente, con decadimento fisico e cognitivo.
Molte attività aiutano, bisogna poterle fare
Tutto questo ricade, a sua volta, sul benessere e sulle opportunità della persona con il Parkinson. «L’età della diagnosi e l’età dei caregiver sta diminuendo, quando le persone sono impegnante a creare una famiglia e nel pieno dell’attività lavorativa. Questo crea altre difficoltà aggiuntive relative al proprio progetto di vita» commenta Massimiliano Iachini dell’Associazione Italiana Giovani Parkinsoniani Aigp, membro del direttivo di Parkinson Italia. Per Iachini, al quale la diagnosi di Parkinson è stata fatta quando aveva solo 39 anni, è fondamentale aiutare gli altri a capire cosa significhi vivere con l’incertezza di una malattia neurodegenerativa come il Parkinson che progredisce, magari anche lentamente, ma non si arresta. «Per noi è molto importante comunicare, informare e rappresentare un esempio così come altre voci, che ora non odono più, sono state di aiuto per noi». Inoltre, Parkinson o non Parkinson, «ciascuno di noi è diverso e trova le sue proprie vie per gestire le difficoltà quotidiane e rispondere a quel bisogno di senso che alberga in ognuno di noi» dice. «Dalla musica alla poesia, dallo sport alla meditazione, ciascuno trova quello che più gli è congeniale, ma deve poterlo fare». Tra le attività importanti per lo spirito ci sono anche la musica, la scrittura e la narrazione, come in radio: Iachini ogni sabato mattina alle 8.00 è su ParkisonRadioParkies (qui) con la sua trasmissione con interviste a tanti professionisti diversi. «La nostra voce un dono prezioso» dice «dobbiamo esercitare e colorare tutti i giorni», anche per chi l’ha persa per la malattia.
«Svolgere attività tutti insieme, persone con e senza diagnosi, è arricchente e risponde al nostro bisogno di socialità importante almeno tanto quanto l’aspetto più squisitamente sanitario-terapeutico» spiega Giangi Milesi, presidente della Confederazione Parkinson Italia.
Inoltre, l’attività sportiva, oggi considerata parte fondamentale del percorso di una persona con Parkinson, può essere considerata un successo dell’associazionismo. In molti ricordano lo scetticismo iniziale dei clinici che ancora non avevano robuste evidenze sperimentali sugli effetti fisiologici del movimento. «Camminare insieme e stare all’aperto insieme è tutta un’altra cosa. Alla Walk for Parkinson’s Spinti dal respiro, nel 2016, abbiamo percorso insieme 42 chilometri, da Vigevano a Pavia» racconta il suo ideatore, Iachini. «La scelta di questo sottotitolo “spinti dal respiro” è in contrapposizione con la frase “paralisi agitante”, frase con la quale fino a poco tempo fa la malattia veniva scritta sulla nostra cartella clinica». L’euforia e il senso di condivisione derivante dallo svolgere attività fisica non hanno eguali. L’ outdoor facilita lo spirito aggregativo, tanto che l’iniziativa quest’anno è giunta alla IX edizione. Tiziana Nasi, vice-presidente del Comitato paralimpico internazionale Cip, è appena tornata dai Mondiali di tennis tavolo Parkinson come atleta, con oltre 150 atleti partecipanti.
Molto è cambiato anche da parte dei clinici: «Riabilitazione e attività motoria sono entrambe importanti per il paziente» ha spiegato Michele Tinazzi, presidente di Fondazione Limpe e ordinario di neurologia dell’Università di Verona. «L’esercizio fisico è efficace nella gestione dei sintomi del Parkinson e nel miglioramento della qualità della vita, per questo riteniamo fondamentale che neurologi, fisioterapisti e scienziati motori lavorino insieme, ciascuno per la propria parte, per il bene della persona con Parkinson. L’attività fisica andrebbe prescritta, alla stregua di un farmaco». A seconda della serietà della condizione, sono molte le attività suggerite, come la bicicletta, il nuoto, il thai chi, il ballo, la camminata, il nordic walking. Fondazione Limpe ha preparato un libretto dal titolo “Esercizio fisico e sport nella malattia di Parkinson” (si chiede gratuitamente qui) con glossario e la presentazione degli studi più rilevanti e ha lanciato un bando rivolto alle associazioni pazienti, alle onlus e alle associazioni non profit che hanno come missione le attività per le persone affette da malattia. Il bando finanzierà tre progetti Outdoor per le associazioni pazienti, ciascuno del valore di € 10.000. I progetti dovranno essere inviati esclusivamente via PEC a: fondazionelimpe@pec.it entro il 28 Febbraio 2025.
Condivisione e socialità possono essere favorite non solo da un prato o un sentiero nel bosco ma anche da una tavola imbandita. «Il detto “A tavola non si invecchia” vuol dire anche questo. Nel Parkinson, gli aspetti nutrizionali hanno un ruolo rilevante nelle varie fasi della malattia, dall’esordio alla fase complessa. Tuttavia, il cibo può essere l’occasione di trascorrere del tempo insieme e stare tra i fornelli è una terapia occupazionale con ricadute sul benessere psico-fisico» spiega Vincenza Fetoni, responsabile del reparto di neurologia in patologie plurispecialistiche all’ospedale Fatebenefratelli di Milano. La neurologa è l’ideatrice di un libro di ricette (i cui proventi andranno tutti donati alla ricerca) “A tavola con il Parkinson” pensato e realizzato tenendo conto di tutti questi aspetti, mettendo il cibo al centro considerandolo come momento di piacere, convivialità e condivisione. La neurologa ricorda però che «un’alimentazione con il corretto apporto di tutti i nutrienti in modo bilanciato (proteine, carboidrati, grassi) associati a un sano stile di vita è auspicabile per ogni individuo, indipendentemente dall’età». Diventa ancora più importante quando il nostro stato di salute si modifica per la presenza di una qualsiasi condizione patologica.
Il 30 novembre oltre 100 centri neurologici specializzati su tutto il territorio nazionale saranno aperti e metteranno a disposizione i propri esperti, tra cui neurologi, fisioterapisti, logopedisti, nutrizionisti e psicologi per offrire, a chi ne ha bisogno, informazioni sia scientifiche che pratiche per gestire questa malattia complessa ed eterogenea. Maggiori informazioni sui centri aperti, regione per regione, e sul programma completo sono presenti nella sezione dedicata del sito di Fondazione LIMPE. È disponibile anche il numero verde 800.149.626, attivo dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 17.
Foto di Massimilano Iachini Walk for Parkinson’s Spinti dal respiro
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