Elezioni europee

Patrizia Toia (Pd): «Economia sociale e Corpi civili: ho un lavoro da continuare»

Candidata uscente, la piddina lombarda rivendica il lavoro fatto sull'economia e sulla sostenibilità che, spiega, non può essere disgiunta dalle politiche dell'impresa. Salvini, dice, fa propaganda sul packaging ma sulla direttiva che metteva a rischio le nostre piattaforme di riciclo, non ha mosso un dito «e anche la Meloni mi ha ringraziato». Inopportune le uscite di Marco Tarquinio sulla Nato, ma bisogna lavorare per la pace, continuando a sostenere l'Ucraina. Ci vorrebbe Sassoli

di Giampaolo Cerri

Raggiungiamo al telefono Patrizia Toia mentre corre, trafelata per via del ritardo nel traffico milanese, verso una conferenza di Confcooperative e Legacoop in cui si presenta il Manifesto cooperativo per l’economia sociale, che sottoscriverà insieme a molti altri candidati (leggi), dopo aver firmato quello di Telefono Azzurro e altre organizzazioni europee sull’infanzia (leggi).

Milanese dell’hinterland, classe 1950, espressione del cattolicesimo democratico lombardo, già ministra, parlamentare e navigata eurodeputata, Toia «ha accettato di ricandidarsi» come spiega a VITA. La voce è argentina, quella di chi crede ancora nella politica e nelle sue possibilità di costruzione.

Perché vale la pena tornare a Strasburgo, Patrizia Toia, c’è un lavoro idealmente da continuare, immagino.

Per molte ragioni. Innanzitutto perché l’Europa, per me, continua a essere sempre il futuro. È cercare di costruire qualche cosa per il futuro, oltre che per il presente dà grande carica ideale.

Che non si è esaurita.

No e avendo acquisito molta esperienza del meccanismo e conservando, dentro di me, l’entusiasmo del primo giorno, ho accettato la ricandidatura. Senza arroganza, perché penso di potere dare, anch’io insieme agli altri, il mio contributo a realizzazioni in campo economico, della sostenibilità sociale. Ho posto tante premesse, ho fatto alcune cose, sarei contenta di dare il mio contributo, a completarle, a svilupparle e a completarle.

Ecco, partiamo proprio dalle direttive a cui lei hai lavorato.

Mi sono molto impegnata nella commissione Industria, cercando di dimostrare che si può percorrere l’obiettivo della sostenibilità – perché solo un pazzo, oggi, può negare l’esigenza di lottare contro il cambiamento climatico e lavorare per la decarbonizzazione dell’economia. Son cose che sono sotto gli occhi di tutti e non solo perché ce lo dicono i giovani, ma perché lo vediamo, per la nostra salute, per la cura del Creato, come dice qualcuno.

Il Green Deal, dal quale si vorrebbe quasi tornare indietro?

Non rinnego le nostre scelte del Green Deal, dico però che vanno accompagnate con una politica industriale coerente.

Per esempio?

Se non si sviluppano le tecnologie ambientali e non si offrono anche al mondo produttivo, che è fatto di industrie, di cooperative, di Terzo settore, difficilmente si raggiungono gli obiettivi dello sviluppo sostenibile. Per questo è decisivo non disgiungere la politica delle imprese e delle attività produttive da quella della sostenibilità.

Lei ha lavorato molto anche sull’energia…

Sul tema dell’efficientamento energetico di tutto il capitolo energia. Adesso in Italia è il tempo della realizzazione, con i decreti, arrivati dopo tanto tempo, delle comunità energetiche. Anche nello sviluppo energetico, oltre che fare affermazioni, è ora di passare dal fossile alle rinnovabili.

Quale è stato il suo contributo?

Ho cercato, dove è stato possibile, anche nella riforma del mercato elettrico, la voce delle comunità energetiche, perché credo molto a forme più orizzontali di condivisione, nella produzione, nella distribuzione e nell’utilizzo dell’energia. A qualcosa di diverso.

Una gestione più democratica, anche.

Sì un tempo c’era un’organizzazione molto verticale: la centrale, la distribuzione e tutti eravamo solo eravamo solo consumatori. Adesso siamo prosumer, consumatori e produttori assieme, e esserlo in una chiave condivisa, di organizzazione collettiva, è veramente molto importante. Ecco perché anche la rivoluzione green deve tenerne conto.

Lei è stata molto attiva anche sulla Direttiva sugli imballaggi.

Rischiava di entrare in crisi tutto il nostro eccellente sistema di riciclo. In Italia abbiamo piattaforme straordinarie che, per la carta e il vetro, arrivano anche all’80% di recupero. Dopodiché dobbiamo anche attivarci per un’economia circolare dove le cose si riusano.

Però?

Però anche il riciclo è economia circolare. Quindi, anche in quella direttiva, ho cercato di mantenere lo spazio giusto per le eccellenze italiane e ho lavorato per cambiare molte parti che erano sbagliate. Però dobbiamo anche ridurre il volume degli imballagi: sono troppi, lo vediamo, è sotto gli occhi di tutti, ogni giorno. Dobbiamo produrre contenuto riciclato e obbligare a mettere nei nuovi prodotti una quota di contenuto riciclato.

All’Estero propongono il riuso, incentivano le cauzioni.

Facciamolo di più anche noi, per carità, ma senza far saltare le piattaforme del riciclo che funzionano. Ci vuole equilibrio ma nei Paesi che hanno già sviluppato una certa tecnologia del riciclo, è inutile imporre obbligatoriamente quote di riuso.

Salvini ci ha fatto uno spot elettorale, sul packaging, quello sul tappino di plastica agganciato al cartone di acqua.

Terribile. Gli elettori devrebbero solo sapere…

Che cosa?

Che la Lega non ha contribuito in niente: questa azione l’abbiamo fatta in Parlamento, con alcuni colleghi che si sono impegnati. Il Governo non aveva ottenuto niente in sede di Consiglio, si era limitato a votare contro. Un po’ come per le case green.

Speghiamolo.

Fanno propaganda dicendo che l’Europa obbligherà, che danneggerà la proprietà. In realtà le case green vogliono fare efficientamento energetico e mi dica lei se non c’è bisogno di risparmiare energia e di pagare meno in bolletta, di migliorare l’aria con le emissioni degli impianti. Ma non abbiamo imposto nessun obbligo nella versione finale. È lo Stato ad avere l’obbligo di fare un piano per risparmiare energia. Se governano, devono prendersi le loro responsabilità e fare la loro parte.

Alcune settimane fa, agli Stati generali di Fratelli d’Italia, a Pescara, l’eurodeputato Procaccini disse che erano stati loro a salvare il packaging tricolore, con l’intervento di Meloni sulla Germania, cui aveva offerto il nostro aiuto su un’altra direttiva, probabilmente quella sulla Diligenza dovuta.

C’è un comunicato di Palazzo Chigi in cui Giorgia Meloni mi ha ringraziato per il lavoro fatto. C’è proprio il mio nome.

Dunque le “chiacchiere stanno zero”, come dicono a Roma. E invece sulla Due diligence?

Bisognava approvarla. È importante che le imprese controllino la propria filiera, se c’è lavoro minorile, se i diritti sono rispettati.

Sull’Economia sociale, come ha scritto VITA nel numero di maggio, ci sarà da dare le gambe a un provvedimento cornice.

C’è il Piano d’azione dell’economia sociale, per merito del commissario all’Occupazione e agli Affari sociali, Nicholas Schmit e merito deve andare anche all’intergruppo economia sociale. Insieme abbiamo veramente posto le basi per un cambiamento di prospettiva: fare in modo che l’economia sociale, da marginale o da retorica che era, diventasse centrale in Europa. Anche il commissario Thierry Breton ha riconosciuto che c’è un ecosistema di prossimità, che è composto proprio dal Terzo settore.

Cosa manca?

L’impegno che prendo è di lavorare per cambiare la definizione del commissario al Lavoro: che diventi anche e all’economia sociale, per dargli importanza che merita. Poi dobbiamo chiedere alla Commissione Europea nelle sue policies un forte impegno a favorire maggiori scambi tra il Terzo settore ed il mondo economico tradizionale. La crescita economia passa per l’adozione di sistemi produttivi e di consumo sia più consapevoli e responsabili rispetto al nostro pianeta, sia capaci di porre la persona al centro, riducendo le disuguaglianze, sapendo creare e favorire opportunità educative, formative e di inserimento lavorativo per tutte e tutti.

Ci vorrà anche una tassonomia sociale, dopo la tassonomia verde…

È l’altro mio impegno, perché i pilastri della nostra visione sono due e sono collegati: ambiente e sociale. Devono perciò essere sviluppati di pari passo. La tassonomia sociale consentirebbe pertanto di creare un quadro di investimenti per il lavoro, la coesione sociale e il rafforzamento della dimensione solidale e comunitaria

Su VITA parliamo anche del grande tema di un’Europa più aperta. Da dove si ripartirà, nella prossima legislatura, sul tema delle migrazioni?

Purtroppo abbiamo approvato in questa legislatura un pacchetto immigrazione davvero tutto sbagliato perché tutto fondato sulla esternalizzazione del problema e sulla sempre emergenza. Un approccio securitario e che non affronta il tema come strutturale, in cui si rischia la negazione dei diritti umani nella fase di identificazione, che non risolve né nell’immediato né nella prospettiva.

E quindi, che fare, onorevole?

Quindi bisognerà ripartire da capo. Sarà un lavoro molto lungo. E sa come finirà?

Come?

Che siccome adesso le imprese hanno bisogno di manodopera, si riprenderà tutto in mano per la loro spinta. Arriveremo con l’interesse economico laddove l’idealità e l’umanità non pareva voler arrivare. Un po’ triste ma sarà così.

Parliamo di pace, onorevole. Anzi di Corpi civili di pace, altro tema di questo nostro bellissimo numero sull’Europa. Lei ha incontrato il Mean anche su questi temi.

Sì gli attivisti del Mean son venuti a Bruxelles, hanno convinto tutti i parlamentari con la loro proposta. Abbiamo anche agganciato il commissario Josep Borell. Però ora i Corpi bisogna farli davvero. Un altro impegno che mi prendo volentieri. Li cito dovunque vada, in modo che si diffonda anche la conoscenza, di questa possibilità e di questa prospettiva.

La notizia della visita del Mean un anno fa a Bruxelles

Ieri c’è stata un po’ di maretta, in casa Dem, per via di un suo collega candidato, Marco Tarquinio, che vuol farci uscire dalla Nato e che in passato aveva fatto interventi sugli aiuti all’Ucraina che avevano fatto discutere. Giorgio Gori, per esempio, non l’ha presa bene.

Ci vuole un po’ di tolleranza reciproca. Penso che sull’Ucraina dobbiamo tenere il punto fino in fondo, sennò mi sentirei come quelli della Nato, che sono ignominiosamente venuti via dall’Afghanistan, dopo aver illuso le persone. Terribile, le hanno mollate dall’oggi al domani, con loro aspettative. Però…

Però?

Però capisco, perché lo verifico andando in giro per l’Italia, che c’è un gran bisogno di fare qualcosa per la pace. C’è, anche nel mondo del Pd, questo afflato, e bisogna riconoscerlo. Ce l’ho anch’io, le dico la verità. Quindi probabilmente la proposta di Tarquinio è inopportuna, ma non possiamo negare che la gente voglia anche la pace, che si lavori alla pace, senza negare l’aiuto all’Ucraina. Sa qual è il problema? Che mancano le persone, mancano i leader.

Già ma per fare la pace bisogna essere in due…

Certo, è difficile fare la pace con uno che non lo vuole. Però sono convinta che se avessimo, oggi, uno come Davide Sassoli (di cui domani ricorre l’anniversario della nascita, ndr) che alla politica sapeva coniugare l’idealità, potremmo provarci.

Sui temi dell’Europa da rifare, il titolo di VITA magazine di maggio, venerdì un webinar con molti esperti (leggi).

La foto in apertura è di Guglielmo Mangiapane – LaPresse.

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