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Politica

Povertà, Terzo settore fatti sentire

Sembra che il problema non sia la povertà ma come trattare i poveri. Sono giorni duri per chi testardamente lavora nel sociale e nel socio sanitario o ogni giorno prova a costruire azioni per promuovere e tutelare diritti e per contrastare disuguaglianze e povertà. Dobbiamo tornare a fare politica

di Andrea Morniroli

immagine di povertà

Sono giorni duri per chi è povero e ultimo, perché nel Paese sempre più sembra che il problema non sia la povertà ma come trattare i poveri. Sono giorni duri per chi testardamente lavora nel sociale e nel socio sanitario o ogni giorno prova a costruire azioni per promuovere e tutelare diritti e per contrastare disuguaglianze e povertà. 

Che il Reddito di cittadinanza venisse abolito lo sapevamo, ma non sapevamo che il suo termine sarebbe stato comunicato con lo strumento freddo e cattivo di un sms. Non sapevamo che parallelamente si sarebbe impedito di istituire il “salario minimo” come se il lavoro povero, sfruttato e irregolare non fosse una delle emergenze del Paese. E, ancora, non ci aspettavamo i continui favori del Governo a chi evade sapendo che senza una lotta seria all’evasione e senza la ridefinizione di un patto fiscale teso a redistribuire ricchezza su welfare, salute, educazione non possono esserci servizi e accesso universale alla cura. 

Dov’è e cosa dice il Terzo settore che lavora nel sociale e nel socio sanitario?

— Andrea Morniroli

Ma di fronte a tutto questo, da persona che da 40 anni lavora nella cooperazione sociale, mi vengono alcune domande. Dov’è e cosa dice il terzo settore che lavora nel sociale e nel socio sanitario?
È rintanato nella gestione dei servizi perché oramai assuefatto al solo ruolo di erogatore di prestazioni (qualunque sia la loro qualità e indipendentemente dal loro essere abilitativi di autonomia o di mero contenimento delle persone) e non di attore di politiche?
Rimane rintanato e un po’ timoroso per paura che poi, se troppo chiassoso o vertenziale, corra il rischio di essere punito da una destra che “non farà prigionieri”?
È impegnato a ricercare qualche spazio o tavolo di concertazione perché oramai incapace di svolgere un ruolo politico e culturale, dimenticandosi delle sue origini, dove la qualità dei servizi si coniugava, e per questo  era  vincente, con lo svelamento delle mancanze, il coraggio della denuncia e l’organizzazione di vertenze. Dove il rapporto con le istituzioni e la politica era collaborativo, ma non collusivo. Costruttivo ma autonomo e non dipendente.
Non so, forse non vedo l’insieme e mi sfuggono passaggi, ma nel complesso mi pare che, pur con qualche eccezione, oggi il nostro silenzio è assordante.
Certo molte e molti di noi fanno cose straordinarie ma che non riescono mai, proprio per politiche che vanno in altra direzione o semplicemente sono disattente e non interessate, a diventare sistema, a trasformare progetti e interventi in politiche ordinarie.
Forse siamo spaesati e un po’ storditi da cose che pensavamo non potessero accadere. Ma come abbiamo sempre saputo, dare i diritti per scontati è un grave errore. Quello che mi pare certo è che ora, pur con tutti i nostri saperi e esperienze, siamo o corriamo il rischio di essere inadeguati.
Abbiamo bisogno con urgenza di ridefinire un “noi collettivo”, di ritrovare senso e prospettive condivise. Dobbiamo tornare a essere soggetto competente, radicale, lungimirante e visionario, altrimenti dovremmo accontentarci di contenere e non di innovare e cambiare.
Dobbiamo tornare a fare politica. 


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