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Fundraising

Quando il marketing incontra il sociale: le cinque parole chiave del “pandoro gate”

Che cos’è il licensing? E il cause-related marketing? E perché quello del pandoro Ferragni-Balocco non lo era? Un “bigino di fundraising” per non addetti ai lavori scritto in dialogo con Giuseppe Ambrosio, docente alla Lumsa

di Sara De Carli

Il primo caso della storia, quello che si studia sui manuali, risale all’inizio degli anni 80, quando American Express finanziò il restauro della Statua della Libertà coinvolgendo i suoi clienti: American Express in quell’occasione donò alla Ellis Foundation un penny per ogni transazione effettuata con carta di credito e un dollaro per ogni nuova carta emessa. In Italia, qualche anno dopo, il cause-related marketing sbarcò con due celebri partnership: quella con cui Procter&Gamble legò Dash a diverse iniziative sociali in Italia e nei paesi in via di sviluppo (Dash Missione Bontà) e quella tra Golia Bianca e il Wwf, nella campagna per salvare gli orsi bianchi.

È il cause-related marketing, quello che il Pink Pandoro della Balocco e Ferragni non è ma ha lasciato intendere di essere. Si è trattato invece, dice anche la Autorità Garante della concorrenza e del mercato, di «una operazione di marketing con l’obiettivo di tentare di riposizionare sul mercato il pandoro Balocco, dandone una immagine diversa», più giovane. Ma esattamente che cos’è il cause-related marketing? Abbiamo chiesto a Giuseppe Ambrosio, professore di finanza dell’impresa sociale e di laboratorio di fundraising alla Lumsa (sedi di Roma e di Taranto) un “bigino” sulle parole chiave del “pandoro gate”, per i non addetti ai lavori.

1. Che cos’è il cause-related marketing

«Il cause-related marketing è uno strumento promozionale del prodotto, che si appoggia a una causa sociale. Il consumatore infatti a parità di prodotto (per prezzo e caratteristiche) tende a scegliere quello che ha un risvolto sociale, ossia quello per cui l’azienda ha deciso di retrocedere una piccola parte del prezzo pagato a una causa sociale», spiega Ambrosio. Nell’operazione c’è un accordo molto chiaro, per cui una percentuale fissa o una cifra fissa per ciascuna unità di prodotto venduta va alla non profit: «C’è una proporzionalità automatica, senza ragionamento, scritta nel contratto», sottolinea Ambrosio. È una partnership in cui vincono tutti: sia l’azienda sia l’ente non profit. Nel caso del Pink Pandoro invece l’andamento delle vendite, lo abbiamo capito, non aveva alcuna relazione con la donazione all’Ospedale Regina Margherita di Torino fatta mesi prima dalla Balocco. Numero di pandori venduti e donazione fatta erano due grandezze completamente slegate nella realtà, mentre la comunicazione ha fatto intendere due cose: che i consumatori acquistando il prodotto avrebbero contribuito alla raccolta fondi e che Chiara Ferragni fosse parte attiva dell’operazione.

2. Un contratto a due

Il cause-relaterd marketing si basa quindi su un contratto. «Il concetto di trasparenza è dentro i contratti di Crm, che ovviamente definiscono la percentuale o la cifra fissa per ciascuna unità che sarà retrocessa alla non profit, le modalità della rendicontazione delle vendite e talvolta prevedono comunque una donazione minima», sottolinea Ambrosio. «Il punto centrale però è che l’organizzazione non profit siede al tavolo. Questo è mancato del tutto del caso Balocco-Ferragni: l’attore non profit non era al tavolo, in quell’operazione i soggetti in campo erano solo due, la Balocco e la Ferragni, con i loro marchi e il valore che essi hanno sul mercato». In operazioni di questo tipo, invece, «la comunicazione del prodotto e dell’intera operazione viene decisa congiuntamente e di fatto il soggetto non profit tutela il consumatore perché è sempre la parte più precisa, che ci tiene a dire esattamente le cose come stanno».

3. Che cos’è il licensing

Il licensing è un contratto attraverso cui una persona o un’organizzazione concedono il diritto di utilizzare un brevetto, un marchio, l’immagine… È il concetto per cui Balocco pensa a un pandoro con il brand Ferragni per provare a svecchiarlo. Anche questo è uno strumento di marketing. E qui c’è un tema importante. «Balocco avrebbe potuto benissimo perseguire il suo obiettivo commerciale limitandosi a fare questa operazione, pagando anche in maniera strabordante il marchio di Chiara Ferragni. Il marketing ragiona mettendo un extra valore sul prodotto, che può essere il brand della Ferragni o la possibilità di vincere una crociera: due leve, tra le tante, che potrebbero far aumentare le vendite», spiega Ambrosio. Il problema nasce allorché Balocco pensa di agganciare a questa operazione commerciale l’attività filantropica. Qui subentra il tema della proporzionalità. Perché se Balocco decide che vale la pena pagare un milione di euro per avere la Ferragni sul suo pandoro, sono valutazioni sue. «Ma se all’operazione di marketing aggancia anche un’operazione filantropica, tra le cifre in gioco deve esserci una proporzione. Qui invece c’è una assoluta sproporzionalità: alla causa sociale sono andate le briciole. Questo è il problema dell’impresa dinanzi all’attività filantropica, aver messo nella stessa value proposition due cose, la Ferragni e la causa sociale, trattando però la causa sociale come una cosa “appiccicata lì”, a cui dare l’argent de poche, senza alcun equilibrio», dice Ambrosio.

4. Marketing e filantropia possono andare insieme?

La prima lezione che emerge dal caso Balocco secondo Ambrosio è questa: «L’impreparazione delle imprese sulla filantropia, in particolare nell’equilibrare filantropia e marketing. Un’impresa può benissimo tenere separate le due cose, l’attività filantropica e il marketing: può fare una donazione. Il cause-related marketing è una leva consolidata ma molto tricky: se non ne conosci le caratteristiche, se non la sai usare, è meglio lasciar stare». Il cause-related marketing infatti mette insieme marketing e filantropia, due concetti che nascono separati e che «possono stare insieme, ma è una convivenza complicata, bisogna saperlo fare, “dosando” le cose». E perché è così delicato da maneggiare? «Perché vai a toccare un tema delicatissimo di bene comune: la “fiducia pubblica”. Se il consumatore compra un prodotto perché in palio c’è una crociera e non la vince, la cosa finisce lì. Ma se compra un prodotto perché esso promette una donazione ad una causa sociale e poi viene fuori che l’azienda non fa quello che scrive sulla confezione… salta il banco, ma per tutti». A voler ben guardare, quindi, nel cause-related marketing il contratto è a tre: «i due che firmano e il consumatore/donatore che si fida».

5. La causa sociale deve stare al tavolo

Il tema della fiducia ci porta alla seconda lezione del “pandoro gate”. «Per quanto negli ultimi decenni si sia andati verso il personal fundraising, questo caso ci ha mostrato che avere milioni di followers non ti dà la credibilità per parlare di qualunque argomento. La causa, in questa vicenda, è rimasta fuori dai radar, non è mai entrata in partita: non va bene. Balocco e Ferragni hanno trattato la causa sociale e il non profit come un terzo rispetto al tavolo, è stato un grande errore che gli si è ritorto contro. Speriamo che l’accaduto sia una lezione per tutti», conclude Ambrosio.

Foto di Fab Lentz su Unsplash


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