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Quei bambini venuti al mondo già dipendenti da droghe

«Esistono famiglie dove quella maledetta sostanza è di casa, perennemente presente all’interno delle mura domestiche, consumata e a volte lasciata assumere ai figli come passatempo condiviso in risposta a tutte le fatiche che la vita inevitabilmente mette davanti». La riflessione di un operatore della Casa del Giovane di Pavia

di Simone Feder

È la Giornata Mondiale dei diritti dei bambini. Ma mentre penso e rifletto a questa importante ricorrenza e ai tanti bambini che si trovano a vivere tra guerre ed emergenze dimenticate, osservo nella culla quel bambino, sembra un angelo. Dorme, appena atterrato nel suo volo su un pianeta che da una settimana è diventata la sua casa. Portatore di una vita che potenzialmente potrebbe essere tutto, ma che già parte tragicamente in salita.

Perché prima di nascere qualcuno ha scelto per lui, qualcuno che… faticava già a scegliere per sé.

La sua cartella clinica sentenzia la positività alle sostanze, un mondo che, ancora prima che potesse conoscere quello terrestre, lo ha travolto e segnato senza alcuna possibilità di scelta. La dipendenza da droga è entrata in lui ancora prima del primo vagito.

Si chiama Sindrome da astinenza neonatale (San) e riguarda il 60-80% delle madri che hanno fatto uso di droga durante la gravidanza, in particolare di oppioidi. Un disturbo che è in aumento in tutti i Paesi del mondo. Anche in Italia. Negli Usa nel 2019 sono stati segnalati in un anno più di 21mila casi di San. Al Fatebenefratelli di Roma nello stesso anno sono stati partoriti 50 bambini in crisi di astinenza su 2.500 nascite.

Si chiama Sindrome da astinenza neonatale (San) e riguarda il 60-80% delle madri che hanno fatto uso di droga durante la gravidanza, in particolare di oppioidi

Quanti i neonati venuti al mondo dopo mesi dove hanno nuotato in acque contaminate ricevendo dal cordone ombelicale alcool, cocaina, eroina, psicofarmaci e anche crack…

Simone Feder

Il pensiero inevitabilmente vola al bosco di Rogoredo, a quelle giovani donne che incontro al suo interno mentre, in ricerca della dose che permette loro la possibilità di stare in piedi, portano nel loro ventre quella che dovrebbe essere la loro ragione di vita. Quale vita però si prospetta per entrambi?

Sono poi tanti, troppi, i ragazzi sempre più giovani che entrano nelle nostre comunità e si trovano ad affrontare oggi percorsi di recupero e liberazione a seguito di scelte fatte da altri che hanno permesso che la droga entrasse prepotentemente nella loro vita prima che loro avessero la capacità di pronunciarne il nome. Dipendenti da decisioni che li hanno resi tali senza che potessero opporre la minima resistenza.

Esistono famiglie dove quella maledetta sostanza è di casa, perennemente presente all’interno delle mura domestiche, consumata e a volte lasciata assumere ai figli come passatempo condiviso in risposta a tutte le fatiche che la vita inevitabilmente mette davanti.

Le ricerche in ambito internazionale ce lo confermano che un ambiente familiare dove si consumano droghe non favorisce un adeguato sviluppo psicologico del minore e che un inizio precoce del consumo è fortemente correlato all’insorgenza di condizioni psichiche, psico-motorie e psichiatriche potenzialmente gravi. 

Dove si collocano nella scala delle priorità i diritti di questi bambini e questi adolescenti? Quando la droga diventa la prima voce nell’elenco delle eredità raccolte dai propri familiari è sempre più difficile scollarsela di dosso e vivere una vita libera da essa. Diventa una ferita aperta, perenne, tramandata di generazioni in generazioni che non fa altro che sanguinare.

Se i diritti che oggi celebriamo devono essere la sostanza che riempie le nostre battaglie, è il tempo di lottare perché le sostanze non tolgano il diritto di una vita libera da condizionamenti ai nostri giovani. 

Foto: Rene Asmussen/Pexels


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