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Medio Oriente

Questo è il tempo degli sminatori di cuori

A Rondine Cittadella della Pace, nell'aretino, ci sono tre giovani palestinesi e tre giovani israeliani. Sono lì per decostruire l'immagine del nemico e diventare leader di pace. In questi giorni il silenzio è un modo per dare un contributo alla pace, dice Franco Vaccari, il presidente, «perché le parole non pensate sono invece un contributo alla guerra»

di Sara De Carli

Il titolo per entrare a Rondine è preciso: “Essere nemico di qualcun altro”. Se non sei nemico, a Rondine non ci stai. Però da oltre 25 anni questo borgo dell’aretino è il luogo in cui si impara a “smontare” una guerra, perché si “smonta” il concetto di nemico e se ne vede tutto l’inganno.

Oggi alla World House di Rondine ci sono tre ragazzi che provengono da Israele, tre dalla Palestina e due dal Libano. Questi giovani sabato sono stati catapultati dentro lo “shock della relazione”: «Non è la prima volta che capita che in una delle aree da cui vengono i nostri studenti la situazione si acutizzi. I ragazzi hanno iniziato a costruire una relazione, ma poi gli eventi fanno ricomparire l’idea del nemico. Da una parte capiscono che la persona che hanno davanti non è un nemico, ma dall’altra è chiaro che ci sono delle reazioni, delle emozioni e dei dolori che scattano. Devono decidere da che parte stare. Serve un tempo e uno spazio», spiega Franco Vaccari.

Psicologo, classe 1952, nel 1995 Vaccari gestì una complessa mediazione di pace tra il governo russo e la secessionista Repubblica di Cecenia: diventato figura di riferimento per entrambe le parti, nel 1997 accolse la richiesta di ospitare alcuni giovani nel borgo di Rondine, raccogliendo la sfida di formare una nuova leadership per Paesi dilaniati dalla guerra. Nacque così Rondine Cittadella della pace, che oggi non è solo un’esperienza pluripremiata, ma un metodo codificato e riconosciuto per la formazione di leaders for peace

Non è la prima volta che capita che in una delle aree da cui vengono i nostri studenti la situazione si acutizzi. I ragazzi hanno iniziato a costruire una relazione, ma poi gli eventi fanno ricomparire l’idea del nemico. Devono decidere da che parte stare. È difficilissimo, perché chiunque capisce quali reazioni possano esserci. Serve un tempo e uno spazio

Franco Vaccari, fondatore e presidente di Rondine

Professore, siamo tutti senza parole, ancora una volta. Qual è oggi la parola da cui ripartire?

Prima di tutto il silenzio. Per noi di Rondine e per me – faccio anche lo psicoterapeuta – il silenzio non è qualcosa di negativo. Sembra inazione, ma in realtà per noi che non siamo lì nel teatro della guerra questo è un modo per dare un contributo alla pace, dal momento che invece in questo momento le parole non pensate possono dare un contributo alla guerra. Questo è il momento del silenzio, per maturare parole che siano pensate, che non alimentino la ferocia, che non legittimino l’escalation delle armi. Servono parole che possano interrompere la catena dell’odio: perché di questo si tratta, è sempre la solita eterna catena dell’odio. 

Un anno fa lei ha scritto su VITA che «la guerra non si limita a distruggere vite inermi e innocenti, ma aggredisce e annienta anche il pensiero di chi sopravvive e di chi prova a farsene una qualche minima ragione. Ecco perché è necessario creare uno spazio-tempo che permetta alla mente di contestualizzare gli accadimenti, di capirne le cause remote e prossime, di ordinare e governare, per quanto possibile, le emozioni negative. Da questo punto di vista, il metodo Rondine agisce prima e dopo il conflitto degenerato». Il nuovo anno alla World House si è aperto il 30 settembre: vi aspettavate di dover lavorare “durante/dopo” questa escalation di violenza e non solo sul “prima”?

Intanto non è stata una sorpresa, se non nei tempi e nelle modalità. A Rondine vediamo quello che in realtà dovrebbe essere visto da tutti: le ferite che restano aperte, le ferite che non si rimarginano, sono soggette a infezioni purulenti. È un’ovvietà. La ferita del Medio Oriente non era risolta, era solo passata in secondo piano nell’agenda mondiale: quando le cose stanno così, è ovvio che ci si può aspettare sempre un peggioramento e un deterioramento della situazione. Io questa cosa su VITA mi sento di dirla: al di là delle dichiarazioni di sorpresa dei governi o dei servizi segreti, vorrei dire forte che i cittadini, l’opinione pubblica, se hanno una coscienza di pace non possono sorprendersi. I processi di pace quando non avanzano non restano fermi: arretrano. Il processo di pace in Medio Oriente, visto che era fermo, di fatto era arretrato: quindi nessuna sorpresa. Non c’è bisogno di essere esperti, basta essere persone che pensano. 

Franco Vaccari all’inaugurazione dei percorsi formativi di Rondine 2023/24

«Dopo, c’è da decostruire il nemico, cioè svelenire il cuore, le menti e il pensiero. È un lavoro terribile che richiede anni per riportare le relazioni alla loro positività: perché il mondo viene imbrattato dalla guerra, ma le coscienze ne vengono avvelenate. Rondine lavora prima, nell’avere la coscienza vigile di quando si sta per insediare il nemico e lavora dopo, per vedere in quale inganno si è caduti e quindi svelenire, togliere questo inganno», ha detto. Concretamente come state lavorando in questi giorni con i ragazzi? Quali attività avete proposto o non proposto, quali parole avete detto o non detto?

Sabato mattina presto eravamo già al lavoro, perché ovviamente le notizie ai ragazzi sono arrivate subito. Quando si acutizzano gli scenari in uno dei territori presenti alla World House costituiamo una “unità di crisi” per essere vicini agli studenti e agli ex studenti. Fra Israele, Palestina e Libano sono ormai una quarantina. Sono tutti salvi, anche le loro famiglie: ma poi è cominciato il conto dei morti fra gli amici e gli amici degli amici… A Rondine in questo momento ci sono due libanesi, tre palestinesi, tre israeliani ma anche tre russi e tre ucraini, tre ragazzi dall’Armenia e tre dall’Azerbaigian: ieri mattina in quella nostra minuscola stanza erano accolti tutti i dolori del mondo. La forza qual è? È che questi giovani si prendono cura reciprocamente l’uno dell’altro, si guardano e sanno che il palestinese non è Hamas, che il governo di Israele non è il suo popolo. Non vogliono fare a gara a chi sta vivendo il dolore più grande, non si dicono l’un l’altro “tu non puoi capire”. Questo è il punto. Ovviamente sono lacerati, si chiedono se tornare a casa o non tornare, se arruolarsi o non arruolarsi, ma intuiscono per l’esperienza che hanno fatto insieme che l’angoscia, il dolore e la violenza non possono “divorare” tutto e che le ragioni dello stare insieme superano le ragioni del guardarsi come nemici. 

Se si ha una coscienza di pace non si può sorprendersi di quanto è accaduto. I processi di pace, se non avanzano, arretrano: non stanno fermi. Non c’è bisogno di essere esperti, basta essere persone che pensano

Franco Vaccari

Quindi i ragazzi israeliani e palestinesi continuano a vivere fianco a fianco, insieme, anche in questi giorni?

Sì, con un metodo molto delicato e raffinato: bisogna accogliere anche le differenze, perché non è vero che tutti i dolori sono uguali e non è vero che tutte le violenze sono uguali… Rondine è un luogo di libertà e responsabilità: a volte è successo che nel momento dello “shock della relazione” qualcuno abbia deciso di tornare a casa, perché dopo aver iniziato a costruire una relazione con l’altro, davanti al precipitare delle cose non ce l’ha fatta a superare quello sguardo che i porta a vedere l’altro come nemico. È un dilemma, devono decidere da che parte stare e hanno bisogno di un tempo e di uno spazio. È difficilissimo, perché chiunque capisce quali reazioni possano esserci. Chi non ce la fa esce dal programma: rispettiamo le decisioni di tutti e non perdiamo mai l’amicizia, però Rondine vuole formare dei leader che leggano i fatti diversamente da come stanno facendo le leadership mondiali. Leader nuovi, che essendo stati col nemico non si sono lasciati sopraffare dalla logica del nemico, perché ne hanno visto l’inganno. 

I ragazzi sono lacerati, ma intuiscono per l’esperienza che hanno fatto che il dolore e la violenza non possono “divorare” tutto. Che le ragioni dello stare insieme superano le ragioni del guardarsi come nemici. Non vogliono fare a gara a chi sta vivendo il dolore più grande, non si dicono l’un l’altro “tu non puoi capire”

Franco Vaccari

I ragazzi formatisi a Rondine – questi nuovi leader – tornano nei loro Paesi creando esperienze di dialogo e di pace a loro volta. È successo anche per gli ex studenti del Medio Oriente?

A Rondine diciamo che la cosa importante è fare “il passo possibile”. E il passo possibile dipende dai momenti e dai contesti. In Sierra Leone ex nemici hanno fatto insieme un progetto per formare più di 200 leader politici e hanno contribuito a delle elezioni senza violenza: lì però la guerra era lontana. In altri luoghi è più difficile. In Kosovo hanno collaborato per realizzare un museo che racconta la guerra in modo che la memoria non passi veleni. In Palestina e Israele hanno fatto dei progetti di formazione attraverso il teatro. In Armenia una nostra studentessa è entrata in Parlamento. Sono attività molto diverse fra loro, ma si tratta sempre di non alimentare l’odio, di non essere parte del problema ma parte della soluzione. Rondine tiene forte la barra su questo: quando con l’ennesima guerra tra due Paesi avremo distrutto tutti i ponti e si sarà insediato l’odio nei cuori, ci vorrà qualcuno che smini i cuori. Noi formiamo leader che sminino i cuori. Ma che credibilità può avere chi smina, se prima a sua volta ha messo le mine?

I 14 giovani arrivati alla World House da pochi giorni

Un nodo che sta emergendo ancora, anche in questi giorni, è la necessità di aver chiaro che un conto è aiutare i più deboli e un conto è sposarne la causa politica. Che è quello che oggi porta alcuni a dire che nella reazione italiana ed europea ci sono troppi distinguo e poca empatia pura e semplice con le vittime dell’attacco di Hamas. Milena Santerini per esempio a VITA ha detto: «Ci mettiamo a cercare le colpe, a ricostruire un circolo vizioso di violenza, di vendetta ma in questo momento dobbiamo fare solo un discorso fermo della condanna della violenza». Mario Calabresi ha scritto che «giustificare l’orrore con la complessità è una via senza ritorno e non farà mai fare un passo verso la pace e la convivenza. Chi ha la Palestina nel cuore dovrebbe partire da qui». Lei che ne pensa?

La violenza, l’orrore, il terrorismo, la guerra – lo abbiamo detto e lo ripetiamo – non vanno mai bene, senza se e senza ma. Non dobbiamo mai nasconderci dietro le frasi. Noi non usiamo mai la parola “equidistanti”: noi non siamo equidistanti, siamo equi-coinvolti con i giovani che vogliono essere parte della soluzione e non parte del problema. Detto questo, se analizziamo le situazioni storiche e politiche e le cause è chiaro che non è vero che tutte le guerre sono uguali. Ma le riflessioni di natura storica, culturale e politica le facciamo in spazi dove quello che vogliamo dire non può essere strumentalizzato: altrimenti questa riflessione non serve, si limita ad alimentare quella guerra che è già divampata. 

Si tratta di non alimentare l’odio, di non essere parte del problema ma parte della soluzione. Quando con l’ennesima guerra tra due Paesi avremo distrutto tutti i ponti e si sarà insediato l’odio nei cuori, ci vorrà qualcuno che smini i cuori. Noi formiamo leader che sminino i cuori. Ma che credibilità può avere chi smina, se a sua volta ha messo le mine?

Franco Vaccari

Molte delle esperienze di dialogo sono impostate sulla conoscenza dell’altro, sul voler capire però poi ci manca l’empatia verso l’altro. Anche lei vede una mancanza di empatia o comunque pensa che una debolezza dell’empatia sia uno dei problemi di oggi? 

È uno dei problemi, certo, anzi è il problema della nostra società. Proprio oggi ero con Liliana Segre, che è un’amica di Rondine, e si faceva riferimento come al solito a quella che è un po’ la sua parola: indifferenza. L’origine di tutto è l’indifferenza, il contrario dell’empatia. L’indifferenza è l’origine del cinismo, con le sue mille giustificazioni. Mentre la verità è che ognuno di noi può fare qualcosa. 

Che cosa può fare ognuno di noi? Perché questo è un altro dei punti nodali, la sensazione di impossibilità di incidere, di fare. 

Per esempio evitare di parlare a vanvera. Ma scusi, nei nostri dolori privati se arriva uno e dice parole fuori posto, forse non ci ferisce? Le parole a vanvera aumentano il dolore. Ecco perché è importante un silenzio operoso, pensoso, un silenzio che diventa un atto per la pace.

Nei nostri dolori privati se arriva uno e dice parole fuori posto, forse non ci ferisce? Le parole a vanvera aumentano il dolore. Ecco perché è importante un silenzio operoso, pensoso, un silenzio che diventa un atto per la pace

Franco Vaccari

Viviamo in un’epoca di radicalizzazioni e polarizzazioni. Questa polarizzazione le pare che abbia progressivamente “spuntato” le esperienze di convivenza che magari alcuni decenni fa erano più radicate, più credute e più credibili?

Ci crediamo un po’ meno, è vero. È come ai tempi dei romani, quando al circo tutti i cani correvano dietro la lepre, ma la prendeva solo il cane che vedeva la lepre: gli altri correvano facendo canizza, con tanto rumore ma senza vedere la lepre, avendo perso di vista l’obiettivo. Guai a noi se perdiamo di vista l’obiettivo. Noi siamo diventati indifferenti, ritenendo che la pace e la guerra siano qualcosa che riguarda gli altri: l’Ucraina ci ha un po’ svegliato – e anche qui mi lasci dire che la cosa ha colto di sorpresa solo chi non voleva vedere, perché a Rondine avevamo aperto a russi e ucraini già un anno prima – ma siamo già pronti ad anestetizzarci. Quella ragazza di cui parlavo prima, diventata deputata in Armenia, un giorno ha detto che peggio della guerra, c’è solo l’abituarsi alla guerra: ma abituarsi è molto semplice. Ora, io un po’ l’indifferenza nel 2023 la capisco, perché è evidente che davanti all’orrore quotidiano e continuo che l’informazione ci riversa addosso, in qualche modo ci dobbiamo difendere: la nostra coscienza non può aver presente tutti i problemi del mondo, non può esserci un approccio moralistico. Ma in questo contesto le esperienze di dialogo sono ancora più preziose, ancora più punti di riferimento: anche perché le vie battute fin qui non vanno bene, sono state fallimentari. Le leadership mondiali hanno fallito. 

Cosa la preoccupa oggi?

Gli adulti disorientati, che non riescono a educare. 

E cosa la fa sperare?

I giovani, se non li roviniamo. 

Foto Francisco Seco, Associated Press/LaPresse


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