Salute

Ricerca clinica? Tutti coinvolti

Andare oltre la formula del «paziente al centro», e metterlo realmente al tavolo con gli altri attori, è la raccomandazione di tutte le agenzie di salute. Per realizzarla, si parte dai clinici con un'iniziativa dell'Istituto nazionale dei tumori di Milano in collaborazione con il Laboratorio di ricerca per il coinvolgimento dei cittadini in sanità dell’Istituto Mario Negri di Milano

di Nicla Panciera

La richiesta di coinvolgere di più e meglio i pazienti, i caregiver e i loro rappresentanti nella ricerca clinica è ormai sempre più pressante e, anche nel nostro paese, si sta cercando di prepararsi. Chi riceve una diagnosi di malattia, questo è il ragionamento, non solo deve essere informato su quanto lo aspetta e sulle eventuali soluzioni terapeutiche e, sulla base di queste informazioni, essere libero di scegliere il da farsi, ma deve anche partecipare attivamente a tutte le numerose fasi della ricerca, e non solo come volontario arruolato negli studi clinici. Il celebre slogan «il paziente al centro» non è, quindi, più esaustivo. Quello che deve, invece, realizzare è una ricerca che, nei suoi molteplici aspetti, è condotta «con» o «da» persone con malattia, loro caregiver e rappresentanti, e non «per» loro.

In altre parole, chi vive la malattia sulla sua pelle, e per questo è “esperto”, deve poter sedersi al tavolo con gli altri attori, per esprimersi e dare il proprio reale contributo sulle priorità della ricerca, sulla validità degli obiettivi e sugli esiti degli studi, sullo sviluppo stesso degli studi, sulle vie di ottimizzazione delle procedure e sull’efficacia dei trattamenti nella vita reale, il cosiddetto «real world», quello che esiste al di fuori dei trial controllati, fatto di comorbidità, politrattamenti, scarsa aderenza, difficoltà economiche e contesti sociali. Infine, il coinvolgimento deve riguardare la fase della disseminazione dei risultati.

«Sempre più spesso ci viene chiesto dagli enti finanziatori di coinvolgere pazienti e cittadini in tutto il processo di ricerca. Ci sono delle evidenti ragioni di buon senso e ragioni etiche, ma anche altre molto pratiche, perché chi meglio dei pazienti può aiutarci a prendere delle scelte che possono semplificarci di molto la vita, come nella stesura di un consenso informato chiaro ed esaustivo che piaccia subito anche ai comitati etici» spiega Cinzia Brunelli, delle Cure palliative hospice terapia del dolore e riabilitazione della Fondazione Irccs Int Istituto nazionale dei tumori di Milano che, in collaborazione con il Laboratorio di ricerca per il coinvolgimento dei cittadini in sanità dell’Istituto Mario Negri di Milano ha organizzato il primo corso dedicato a questo tema, tecnicamente chiamato «Public and Patient Involvement» (coinvolgimento dei pazienti e del pubblico, Ppi). Esistono linee guida, pubblicazioni e riflessioni, ma il paese che nel vecchio continente ha già esperienza di queste pratiche è il Regno Unito.

Non esiste un unico modello di coinvolgimento, ma ogni gruppo di ricerca deciderà il livello di partecipatività dei pazienti. Si va dal livello zero, da superare, che è il cosiddetto tokenism, quando il paziente è presente e in maniera del tutto simbolica se ne raccoglie l’opinione, fino ai casi in cui esso è co-autore della ricerca.

Cinzia Brunelli, Istituto nazionale dei tumori di Milano

L’iniziativa era rivolta ai professionisti sanitari tra ricercatori e personale clinico, come data-manager e infermieri. «Una parte teorica iniziale è servita a dare le basi del concetto di Ppi, considerata utile da larga parte dei clinici dei sette centri oncologici europei partecipanti al progetto progetto Cce-Dart, finanziato dall’Unione Europea, da cui il corso ha preso le mosse; abbiamo quindi affrontato i temi più pratici sui metodi di realizzazione della ricerca partecipativa» spiega Brunelli, «non esiste un unico modello di coinvolgimento, ma ogni gruppo di ricerca deciderà il livello di partecipatività dei pazienti, che potrà riguardare alcune fasi e non altre a seconda del progetto di ricerca». Si va dal livello zero, da superare, che è il cosiddetto tokenism, quando il paziente è presente e in maniera del tutto simbolica se ne raccoglie l’opinione, fino ai casi in cui esso è co-autore della ricerca. Brunelli riporta un esempio pratico, che deriva dal progetto europeo «Euonquol» di cui è coordinatrice, in partenza a breve sulla qualità della vita: non avrebbe senso un loro coinvolgimento nella stesura preliminare di una metanalisi sulla statistica per i test psicometrici, a differenza della selezione di quali siano i fattori più rilevanti da considerare nella qualità della vita. Da ultimo, ma non per importanza, «c’è la comunicazione, anche quella dei risultati della ricerca in cui i volontari sono stati arruolati, perché» dice Brunelli «se solo avessimo coinvolto meglio e di più i cittadini nella ricerca e nei suoi processi, non avremmo avuto tutta quella diffidenza e quell’antiscientismo emerso nella recente pandemia».

Una seconda versione del corso di formazione verrà a breve organizzata con i ricercatori del Cancer core europe, la rete di sette centri oncologici di eccellenza che è partner del progetto Cce-Dart, di cui Brunelli coordina la parte relativa al coinvolgimento dei pazienti e che sta portando alla creazione, con il loro contributo, di strumenti informativi come un sito web divulgativo sulla medicina di precisione (iEnter), e di due web-app riguardanti, rispettivamente, l’implementazione del processo del consenso informato (iConsent) e la gestione di informazioni e appuntamenti per i pazienti che partecipano alle sperimentazioni cliniche in oncologia di precisione (iPartecipate).

Photo by Antenna on Unsplash

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