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Scuola, caro Valditara non trasformi le differenze in disuguaglianze

Ismahan Hassen è un'educatrice di seconda generazione. Ha scritto una lettera al ministro dell'istruzione Giuseppe Valditara, dopo la sua proposta di tornare a un tetto per gli alunni stranieri presenti in ogni classe: «Se davvero l’obiettivo è quello di ridurre il numero di “stranieri” nelle classi, allora le consigliamo l’urgente modifica delle norme sulla cittadinanza, così lei sarebbe più contento e noi saremo più a nostro agio in un Paese che, finalmente e nel concreto, agisce per ridurre il numero di italiani senza cittadinanza»

di Ismahan Hassen

Ismahan Hassen, educatrice di seconda generazione con cittadinanza italiana, del “Centro Interculturale Gomitoli”, nato dall’esperienza della cooperativa sociale Dedalus, scrive una lettera aperta al ministro dell’istruzione e del merito Giuseppe Valditara. E lo fa dopo la proposta di Valditara, fatta insieme a Matteo Salvini, di tornare a proporre un tetto per gli alunni stranieri presenti in ogni classe. 

“Egr. Ministro Valditara”, inizia la lettera, “le Sue affermazioni sul fatto che nelle aule scolastiche italiane «la maggioranza degli alunni deve essere italiana» non lascia, ancora una volta, alcun dubbio sull’ideologia che ispira l’azione del Suo Governo in relazione sia al tema persone con storia migratoria, una realtà strutturata alla vita del Paese, sia all’idea di scuola pubblica. L’esplicito riferimento che vorrebbe riportarci alle classi differenziali (per altro mascherando tale direzione utilizzando la retorica che così si produrrebbe davvero integrazione) tende infatti a legittimare nel sistema scolastico uno spirito escludente, separatore, rifiutante e che prospetta interventi che, se attuati, rappresenteranno un sostanziale capovolgimento del principio di inclusione che caratterizza il nostro sistema scolastico. 

L’idea che emerge dalle Sue dichiarazioni sembra legittimare una scuola che trasforma le differenze in disuguaglianze: in ingresso, in itinere e in uscita”.

“L’attuale azione del Suo Governo”, continua Ismahan Hasse nella lettera, “appare in controtendenza con il principio sancito dalla nostra Costituzione, teso a garantire un sistema d’istruzione che renda possibile la rimozione degli ostacoli e degli impedimenti alla concreta attuazione del diritto all’istruzione e alla formazione di tutti i giovani e le giovani,lavorando al superamento delle differenze di partenza, in relazione con la varietà degli stili di apprendimento, delle vocazioni intellettuali, nonché dei tempi e dei particolari bisogni formativi di ogni allievo e di ogni allieva”.

Tenendo in considerazione il fatto che ciò che si ritrova nelle classi è uno specchio di ciò che è l’Italia oggi, Lei affronta una questione strutturale secondo una logica emergenziale, ignorando il fatto che oggi l’immigrazione di prima generazione è un fenomeno in diminuzione, mentre più diffusa nelle scuole è la presenza di alunni e alunne di seconda generazione, per i quali e per le quali non è certo la lingua a costituire il principale ostacolo all’inclusione, semmai lo è la negazione di un diritto fondamentale: quello alla cittadinanza“.

“Cittadinanza del Paese d’origine dei propri genitori sì”, continua la lettera”, ma soprattutto cittadinanza del Paese in cui si è nati o nate, cresciuti e cresciute vivendo parte fondamentale, quella scolastica appunto, del proprio percorso di vita.

Ma se anche l’apprendimento linguistico potesse minimamente considerarsi un ostacolo, la segregazione è la risposta più sbagliata. Le bambine e i bambini, le ragazze e i ragazzi, infatti, apprendono solo in un contesto di relazione, soprattutto tra pari. Il che costituisce, di fatto, un aspetto dell’apprendimento ineludibile. 

E, ancora, se davvero l’obiettivo non è quello di escludere ma di rafforzare il raggiungimento delle competenze di base, in primis quelle linguistiche per favorire l’inclusione, allora non si capisce perché, invece di tagliare circa 2 miliardi l’anno sulla scuola – in previsione di un calo demografico che gli studiosi dicono riguarderà 150mila alunni per i prossimi 10 anni – perché non si investe tale cifra (come avviene in Francia) per ridurre il numero di alunni e alunne in classe, per ripristinare ore di co-presenza in aula di più docenti ed educatori ed educatrici, per potenziare i servizi di mediazione linguistica e culturale, per rafforzare programmazioni individualizzate costruite non in termini di esclusione dalla normalità dei curricula, ma dentro e fuori il tempo scuola e comunque in coerenza con i percorsi del gruppo classe? 

Oggi, nella società e nello svolgersi dei nostri quotidiani, di strada se ne è fatta rispetto alla percezione che la convivenza multiculturale e multietnica è oramai condizione strutturale del nostro essere società e della nostra economia. E, forse, è proprio il consolidarsi di questa percezione che Lei, con il Suo partito e con il Suo Governo cerca di smantellare perché non le consentirebbe più di utilizzare la propaganda e facile consenso elettorale. Lo ha reso esplicito in una delle sue prime dichiarazioni, quando ha affermato che gli studenti e le studentesse dovevano essere educati al valore dell’umiliazione. E lo fa oggi in questo dibattito quando fa capire di ritenere il plurilinguismo un deficit da estirpare, quando invece è proprio il mantenimento della lingua madre – la lingua delle emozioni, dei ricordi, della propria storia e identità – che è importante per una crescita armonica, senza strappi e che non preclude l’apprendimento di altri sistemi linguistici. Inoltre, Lei forse lo sa che per i bambini e le bambine nati in Italia e inseriti precocemente nei servizi educativi per l’infanzia, la lingua madre dei genitori non rappresenta la propria lingua madre. Così come l’italiano non rappresenta una seconda lingua strictu sensu, ma piuttosto una lingua “adottiva”, un’altra lingua madre, dentro la quale e attraverso la quale essi imparano da subito a parlare, giocare, interagire, sognare…a contare!


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Così come Lei fa finta di non sapere (o forse sa davvero di cosa parla) che dall’analisi della condizione dei e delle giovani, con e senza background migratorio, a partire dai tratti comuni e dalle reciproche esperienze all’interno delle scuole, indipendentemente dalle nazionalità di provenienza, emerge chiaramente che è in primis nel contesto scolastico che l’origine migratoria si perde in una miriade di tratti che si intersecano e segnano i confini delle somiglianze e delle differenze.

Perché nella scuola in questi anni, grazie allo straordinario lavoro di maestre e maestri e docenti, si è dimostrato che il diritto di cittadinanza, per fortuna, non passa attraverso la rimozione delle proprie origini ed un processo di totale assimilazione ma attraverso l’incontro e lo stare insieme nel modo più egalitario possibile. 

Una prospettiva che purtroppo non è raccolta in termini normativi sul tema della cittadinanza e così viene fuori il fatto che rispetto alla “presenza straniera nelle classi”, sono oltre 1 milione minori stranieri (cosiddette seconde generazioni”) che non possono ottenere la cittadinanza italiana.

Sono questi ragazzi e queste ragazze che frequentano le scuole italiane, contati come “stranieri” poiché senza la cittadinanza italiana. Per questo allora un’ultima considerazione: se davvero, nella Sua ottica l’obiettivo è quello di ridurre il numero di “stranieri” nelle classi, allora Le consigliamo l’urgente modifica delle norme sulla cittadinanza, così Lei sarebbe più contento e noi saremo più a nostro agio in un Paese che, finalmente e nel concreto, agisce per ridurre il numero di italiani senza cittadinanza.

Foto Roberto Monaldo / LaPresse


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