Orientamento

Scuola: è tempo di scelte. Come capire qual è “la migliore”?

Come scegliere una scuola? Quali sono gli indicatori di qualità? E quali elementi ci possono guidare i genitori e figli nella ricerca? Ne parliamo con Luigi Ballerini, orientatore, scrittore italiano, vincitore, fra l’altro, del Premio Andersen e del Premio Bancarellino

di Sabina Pignataro

Foto di © Daiano Cristini/Sintesi

Oggi le scuole sono molto diverse tra di loro: alcune mantengono un’impostazione fortemente tradizionale stile “Il romanzo d’un maestro” di De Amicis; altre, invece, hanno all’interno delle sperimentazioni particolarmente all’avanguardia. Questi sono giorni in cui le famiglie destinano il loro week end agli open day per scegliere le scuole “migliori”per i propri figli. Districarsi in questa proliferazione di offerte non è facile. Anzi, il rischio è quello di lasciarsi attrarre come specchietto per le allodole da quello che può essere una parolina magica. Abbiamo chiesto a Luigi Ballerini, orientatore, scrittore italiano, vincitore, fra l’altro, del Premio Andersen e del Premio Bancarellino e autore del Manuale pratico per scegliere le superiori (ed. San Paolo), di aiutarci in questo percorso. 

Ballerini, come si scelgono le scuole? Quali sono gli indicatori di qualità da tenere a mente?

Sarebbe prima interessante definire e concordare che cosa si intenda per “qualità” di una scuola, e di conseguenza come la si misura. Eduscopio della Fondazione Agnelli propone, ad esempio, una certa idea di qualità basata come criterio sull’andamento degli esami nel primo anno universitario, quindi sulla prestazione accademica, e sugli esiti lavorativi; in base a questo vengono identificate le “scuole con una marcia in più”. Una scuola di qualità potrebbe essere anche quella molto selettiva, che spesso viene indicata come di “eccellenza”, che fa delle performance dei suoi studenti, ovviamente ottime in termini di profitto, il proprio vessillo.

Per lei invece?

Personalmente ritengo che una scuola di qualità sia quella che oltre a tendere a buoni risultati, accademici e lavorativi, sia anche in grado di far scoprire e valorizzare i talenti di ciascuno studente, che sappia sostenerlo nei momenti di difficoltà, senza rigettarlo come un corpo estraneo, e che si curi della formazione della persona nella sua totalità, senza limitarsi alla trasmissione di nozioni o alla pura preparazione di professionisti del futuro.

Ciascuno di noi ha una propria idea della scuola di oggi, dei problemi dei bambini e di come li si debbano educare per migliorare la società. Viene da chiedersi: la scuola deve essere “la migliore” in termini assoluti? Oppure “la migliore per  i talenti personali, le motivazioni e i desideri  di mio figlio”?

Dobbiamo sempre stare attenti ai pregiudizi che albergano in noi. Sono quelli in base alle quali classifichiamo le scuole in astratto, senza tener conto della persona. Penso a un invito che sento fare spessissimo: fai il liceo scientifico perché è una scuola che apre. Ma che cosa vuol dire? Ciò che sulla carta potrebbe anche essere vero, posto che si definisca con chiarezza il concetto di apertura, potrebbe infrangersi nello scontro con la realtà di quella singola ragazza o quel singolo ragazzo, potrebbe tradursi nella frequentazione di una scuola tanto non adatta da far passare la voglia di studiare, di chiudere con la scuola tout court. Altro che apertura…

Com’ è la scuola “giusta”, allora?

Ho una personale definizione di scuola giusta: non esiste la scuola giusta in assoluto, ma la scuola giusta per Marta, Luca, Paolo, Lisa… E la scuola giusta è, secondo me, quella che si conclude nella sua durata legale (non un anno di più), che si frequenta con profitto e soddisfazione (senza che diventi un percorso agonico) e che permetta di fare anche altro oltre che studiare (perché il pensiero di una ragazza e di un ragazzo si nutre anche di serie tv, romanzi, sport, passeggiate con gli amici, canzoni, passioni da coltivare, uscite con gli amici e talora anche di un po’ di noia).

Scuole senza zaini, scuole senza voti, oppure senza libri di testo, o senza banchi. Esiste un  rischio:  quello di lasciarsi attrarre come specchietto per le allodole da quello che può essere una parolina magica. Come capire davvero cosa sostiene queste esperienze educative?

Il marketing delle scuole sta diventando davvero sofisticato e a volte può essere difficile distinguere ciò che realmente conta da ciò che brilla solamente, pensiamo anche a termini che ricorrono sempre più di sovente come potenziamenti, curvature… Alcuni sembrano unicamente costruiti per soddisfare ambizioni e desideri genitoriali. Ritengo sia cruciale capire se la proposta è quella di un metodo che ha realmente la possibilità di incidere positivamente sulla didattica, l’apprendimento e lo sviluppo della persona o se sia solo un accorgimento, un puro dettaglio tecnico o strategico. Per farlo occorre documentarsi, andare di là dai proclami e dalle facili assonanze per capire bene di che cosa si tratta, entrare nello specifico della proposta. Favorirei soprattutto quelle realtà che mostrano di occuparsi globalmente della persona, del suo apprendimento mai disgiunto dal benessere di quella speciale unità somato-psichica che è la persona.

Il marketing delle scuole sta diventando davvero sofisticato e a volte può essere difficile distinguere ciò che realmente conta da ciò che brilla solamente. Alcuni sembrano unicamente costruiti per soddisfare ambizioni e desideri genitoriali

Luigi Ballerini

Gestione del tempo e gestione del corpo sembrano due questioni centrali. Lei cosa ne pensa?

È in realtà il termine gestione a essere problematico. Oggi tutto diventa una questione di gestione. Pensiamo alla gestione della rabbia nei ragazzi, se ne parla tanto, anche giustamente. Ma non dovremmo occuparci di più del perché nasce la rabbia e da dove origina, piuttosto che solo di come tenerla a bada? “Invece che arrabbiarmi, che altro potrei fare?” è ad esempio un buon modo di porre la questione. Tempo e corpo non sono risorse da gestire, ma da vivere. Si vive il tempo, che è sempre il tempo del rapporto, il tempo del soggetto in relazione a un altro, anche qualora si trovasse temporaneamente solo. Allo stesso modo anche il corpo è il mio corpo, ma sempre in relazione con il corpo degli altri, dotato di volere e desideri. Forse questo potrebbe aiutare a mitigare, almeno un po’, il narcisismo imperante, che ritengo il vero male del nostro tempo, narcisismo in cui l’altro cessa di esistere se non come puro specchio compiacente che rimandi la mia grandiosità. Tempo e corpo allora diventano risorse da far fruttare, senza percepirsi soli.

Una scuola in cui le  lezioni declinate a seconda delle loro intelligenze e percorsi didattici personalizzati le sembra una scuola possibile, concretamente?

Sono per la personalizzazione e l’individualizzazione dei percorsi, nella loro distinzione. La prima prevede percorsi diversi per obiettivi diversi, mentre la seconda percorsi diversi per obiettivi comuni. Comunque vada, ritengo un valore per un giovane misurarsi con le diversità, anche di apprendimento, dei propri compagni. Credo molto nel sostegno fra pari, in cui ciascuno si pensa come risorsa disponibile per l’altro. Passare da un sistema antagonistico a uno cooperativistico permetterebbe anche di fronteggiare il problema della competitività che si pone sempre più precocemente fra i banchi e disturba i rapporti fra i più giovani. Quindi auspico una classe dove ciascuno possa trovare un percorso adatto a sé rimanendo però all’interno di una comunità varia e diversificata. Che non si torni alla vecchia idea delle classi differenziali, sia per le difficoltà sia per le cosiddette plusdotazioni.

Auspico una classe dove ciascuno possa trovare un percorso adatto a sé rimanendo però all’interno di una comunità varia e diversificata

Luigi Ballerini

I genitori sono ovviamente in prima linea, soprattutto nel momento dell’iscrizione alla scuola di I grado (infanzia, primaria e secondaria) e alla secondaria di II grado. Come possono essere coinvolti attivamente anche bambini e ragazzi?

Quando si parla di scuola non si può mai prescindere dagli studenti, a nessuna età. Tanto meno quanto più crescono: il protagonista della scelta della scuola superiore è certamente lo studente stesso. Che non resti però solo in questo cammino, professori e genitori sono indispensabili alleati che lo aiutano a conoscere i percorsi, l’offerta disponibile sul territorio e anche a conoscere di più se stesso, le attitudini, i punti di forza e i punti invece da rinforzare. In questa prospettiva gli adulti pertanto non risultano più degli orientatori, piuttosto coloro che aiutano il più giovane a orientar-si. È sempre il soggetto che, scoprendosi in azione grazie anche all’apporto degli altri, si orienta nelle sue scelte. E dobbiamo fare il possibile perché quel -si si esprima pienamente.

Foto in apertura: Daiano Cristini/Sintesi

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