Scuola
Se sacrifichiamo il diritto allo studio di un alunno disabile per 4.500 euro
Nelle scorse settimane ha fatto scalpore la sentenza del Consiglio di Stato che pare aver legittimato la riduzione di ore di assistenza alla comunicazione per un alunno con disabilità: un risparmio - dice Anffas in una nota - di 4.500 euro annui. Il presidente Roberto Speziale commenta con una nota dettagliata la sentenza e chiede, a monte, la revisione del decreto 66/2017
«Una sentenza pericolosa, che se non approfondita può mettere a serio rischio i diritti degli studenti con disabilità»: così Roberto Speziale, presidente nazionale di Anffas, commenta la sentenza n. 7089 del Consiglio di Stato. La sentenza – di cui su VITA abbiamo già scritto – ha rigettato il ricorso in appello avanzato dalla famiglia di un alunno con disabilità che chiedeva, dopo una prima pronuncia sfavorevole emessa dal Tar dell’Emilia-Romagna, il ripristino delle ore di assistenza all’autonomia e alla comunicazione quantificate dal GLO che erano state arbitrariamente ridotte dal Comune, in forza delle sue presunte necessità finanziarie.
Nel giudizio di appello era intervenuta “ad adiuvandum” anche Anffas nazionale, ritenendo valide le ragioni della famiglia e illegittima la riduzione di ore che era stata stabilita: un “taglio” che contrasta con la consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale (si vedano, per esempio, le sentenze nn. 275/16 e 83/19) che riconoscono la prevalenza di diritti di rango primario, quali quelli all’istruzione e all’inclusione scolastica delle persone con disabilità, sulle esigenze di bilancio degli Enti.
Tanto rumore per 4.500 euro?
Anffas ora rende pubblico un lungo e dettagliato documento di posizionamento firmato dal presidente nazionale e redatto con la collaborazione del Centro Studi Giuridici e Sociali di Anffas Nazionale, per ribadire che – norme alla mano – è impossibile aprire spiragli di legittimità al fatto che l’ente locale possa procedere ad una decurtazione dei sostegni stabiliti in sede di GLO senza che ciò vada a ledere e comprimere il diritto fondamentale e il nucleo irriducibile dello stesso: «purtroppo, le cose stanno in modo sostanzialmente diverso, in quanto la decurtazione in questione si traduce nei fatti nella compressione del diritto dando prevalenza ad una generica quantificazione delle risorse disponibili».
Nel caso specifico, rispetto alle 13 ore settimanali di assistenza all’autonomia e alla comunicazione che il GLO aveva quantificato alla fine ne sono state erogate solo 7 e questo con evidente lesione del diritto allo studio dell’alunno con disabilità. Di quante risorse stiamo parlando? Considerando il costo orario medio previsto per la figura richiesta per le 30 settimane complessive di frequenza scolastica, la suddetta riduzione avrebbe comportato per il Comune un risparmio di una somma di poco superiore ai 4.500 euro per l’intero anno scolastico. «Con ogni probabilità, le spese di giudizio di primo e secondo grado sostenute dal Comune sono state addirittura superiori rispetto al suddetto importo e in ogni caso si reputa che 4.500 euro di maggiore spesa non avrebbero potuto in alcun modo alterare gli equilibri di bilancio del Comune o metterne a rischio l’equilibrio economico-finanziario. Un aspetto, questo, che non risulta essere stato valutato dal Consiglio di Stato».
Il caso singolo resta singolo
Per prima cosa la nota ribadisce che questa sentenza riguarda un singolo alunno e uno specifico Comune: «Essa, pertanto, non può e non deve essere estesa e utilizzata strumentalmente in questo come in altri ambiti, situazioni e contesti, sia scolastici che extrascolastici, come quello del diritto al progetto individuale ai sensi dell’art. 14 della l.n. 328/2000, laddove occorre continuare a richiedere e rivendicare il pieno rispetto dei diritti fondamentali già consacrati nella normativa vigente e in numerosissime altre sentenze di assoluto rilievo».
Quale interpretazione?
Entrando nel merito del testo della sentenza, la nota di Anffas rileva come – fosse o non fosse l’intenzione del Consiglio di Stato – leggendo la sentenza si potrebbe effettivamente dedurre che gli enti locali, dinanzi alla richiesta di ore di assistenza per alunni con disabilità, possano limitarsi a verificare nei rispettivi capitoli di bilancio la presenza della necessaria capienza o meno delle risorse dedicate e in caso negativo, andassero a concedere solo le ore che il bilancio consente di coprire: potrebbe quindi accadere che «se la voce di bilancio fosse vicina o pari a zero, senza neppure giustificarne l’incapienza, quel sostegno potrebbe essere tranquillamente negato, senza alcuna conseguenza per l’ente stesso», scrive Speziale.
Bisogna però ricordare due cose: «che gli Enti preposti sono tenuti in sede di programmazione di bilancio ad allocare sui pertinenti capitoli di spesa adeguate risorse e rendere le stesse disponibili per garantire la totalità delle richieste di sostegno pervenute da parte delle istituzioni scolastiche, proprio per non ledere il diritto all’inclusione scolastica opportunamente citato nella sentenza in questione» e che «proprio per garantire agli enti locali, alle ex Province e alle Regioni di disporre delle risorse necessarie per le funzioni a loro richieste relativamente alla fornitura delle figure di assistente all’autonomia e comunicazione a livello statale è stato stanziato un Fondo pari a 100 milioni per il 2024 per la scuola dell’obbligo e pari a 100 milioni per la scuola secondaria di secondo grado, per un ammontare complessivo di 200 milioni».
La corretta lettura
Una corretta lettura della sentenza, scrive la nota di Anffas, deve quindi essere quella per cui gli enti locali preposti (che sono i Comuni fino alla scuola secondaria di primo grado e per la scuola secondaria di secondo grado le ex Province o le Regioni) non si possono limitare solo a verificare se nei rispettivi capitoli di bilancio vi è la necessaria capienza o meno di risorse per garantire la fornitura delle figure di assistente all’autonomia e comunicazione, ma sono tenuti in sede di programmazione di bilancio ad allocare sui pertinenti capitoli di spesa adeguate risorse e rendere le stesse disponibili per garantire la totalità delle richieste di sostegno pervenute da parte delle istituzioni scolastiche.
«Con questa lettura approfondita e costituzionalmente orientata, non appare così evidente che la sentenza si discosti in modo sostanziale dai precedenti orientamenti», afferma la nota di Anffas. I numerosi commenti che nelle scorse settimane hanno seguito la sentenza, tuttavia, hanno messo in luce come la lettura prevalente della sentenza sia pesantemente negativa e ritenga che si sia configurato un “arresto giurisprudenziale” rispetto ai precedenti pronunciamenti e un disconoscimento dei principi sanciti dalle richiamate sentenze della Corte Costituzionale. «È ovvio che se questa fosse la lettura, rilevanti e motivate sarebbero le preoccupazioni da più parti espresse: saremmo in presenza di un’evidente involuzione del sistema, disconoscimento del diritto all’inclusione scolastica, consacrazione di una condizione palesemente discriminatoria. Per evitare che tale orientamento negativo possa diventare preminente o consacrarsi nella prassi da parte delle Pubbliche Amministrazioni a ciò deputate, si valuterà assieme alla famiglia interessata di mettere in atto quanto possibile e necessario per vedere meglio chiariti i limiti di tale pronunciamento, auspicandone una lettura nel senso sopra indicato», precisa Speziale.
Urge la revisione della legge
Un’azione solo giudiziale, tuttavia, non è sufficiente. «Pur auspicando un chiarimento della portata della sentenza stessa, emerge la necessità di un intervento correttivo sulla normativa vigente. Infatti, è proprio la normativa che rischia di ingenerare degli effetti distorsivi nella concreta applicazione sui territori ed in qualche modo la sentenza del Consiglio di Stato ne è una diretta conseguenza. Emerge quindi l’opportunità che si proceda a modificare l’art. 3, comma 5, lett. a), del D.lgs. n. 66/17, ove, appunto, è previsto che gli Enti territoriali “provvedono ad assicurare, nei limiti delle risorse disponibili: gli interventi necessari per garantire l’assistenza di loro competenza (…)”», afferma Speziale.
Occorre modificare l’art. 3, comma 5, lett. a), del D.lgs. n. 66/17 per chiarire in modo inequivoco che la eventuale carenza di risorse non può ledere il nucleo irriducibile del diritto fondamentale all’inclusione scolastica
Roberto Speziale, presidente Anffas
In questo modo si andrebbe a «chiarire in modo inequivoco che le risorse devono sempre essere rese disponibili in misura idonea e congruente a garantire i diritti e che in ogni caso la eventuale carenza di risorse non può ledere il nucleo irriducibile del diritto fondamentale all’inclusione scolastica.
Gli altri punti della sentenza
Il documento di Anffas evidenzia anche altri punti, che è necessario approfondire per evitare fraintendimenti che possono andare a danno dell’inclusione scolastica. Tra i punti a cui si riferisce il presidente:
• l’uso dell’obsoleto termine disabile/i, che va sostituito in tutti gli atti della Pa da persone con disabilità;
• il fatto che la spesa per il servizio di assistenza specialistica per l’autonomia e la comunicazione non sia a totale carico dei Comuni ma viene di anno in anno integrata da risorse regionali e statali, mediante un contributo determinato, per ciascun Comune, sulla base dei dati forniti dal Ministero dell’Istruzione;
• la necessità di una valutazione da parte del Ministero dell’Istruzione e del Merito per verificare il possibile incremento del Fondo per l’Assistenza all’Autonomia e alla Comunicazione nella prossima Legge di Bilancio;
• la piena applicazione di quanto sancito dalla Corte Costituzionale, che con altre sentenze ha più volte ribadito di non condizionare il diritto allo studio degli studenti con disabilità alle previsioni di bilancio ;
• il fatto che le indicazioni del GLO evono essere pienamente recepite e non considerate come semplici proposte;
si ritiene non più procrastinabile l’attivazione del GIT, attraverso l’emanazione del decreto previsto dall’art. 9, comma 7, D.lgs. n. 66/17;
• la necessità di comprendere che l’accomodamento ragionevole, citato in maniera impropria dalla sentenza in questione, non è indice di un “venirsi incontro” tra la persona con disabilità e le istituzioni inteso come un “ragionevole contenimento della spesa pubblica” ma che la sua finalità non è quella di limitare l’esercizio di un diritto o di riconoscerlo in maniera parziale, ma di garantirlo.
Foto di Jakub Pabis su Unsplash
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