Educazione

Sessualità, non lasciamola fuori da scuola

Il caso della 13enne di Villa S. Giovanni (Rc), che ha partorito il bimbo trovato morto sugli scogli, ci interroga sul modo in cui dobbiamo parlare di affettività a bambini e ragazzi. Il Gruppo Crc chiede una Comprehensive sexuality education che diventi strutturale nei luoghi di insegnamento

di Veronica Rossi

Il 26 maggio scorso un neonato è stato trovato morto sulla spiaggia di Villa San Giovanni, in provincia di Reggio Calabria. Un brutale caso di infanticidio, le cui indagini – ancora in corso – paiono evidenziare uno scenario di abuso in cui la madre, una tredicenne con una lieve disabilità cognitiva, sarebbe stata costretta a prostituirsi dalla nonna del piccolo. Fatti come questo ci interrogano sulla necessità di educare ragazzi e ragazze in maniera comprensiva sull’affettività e la sessualità e di farlo a scuola, là dove si possono raggiungere tutti, senza affidare questo importante argomento alla buona volontà o alla sensibilità di famiglie e insegnanti. Non solo per evitare gravidanze indesiderate e malattie sessualmente trasmissibili, ma anche per prevenire abusi e permettere anche ai più piccoli di conoscere sé stessi, il proprio corpo e le proprie emozioni. È questa la proposta avanzata dal documento realizzato dal gruppo Crc, coordinato da Save the children Italia, che chiede l’introduzione della Comprehnsive sexuality education nella scuola italiana. Il documento è stato presentato lunedì 27 maggio (qui la diretta). La logica della Comprehnsive sexuality education è quella di superare l’approccio risk oriented dell’educazione sessuale (prevenzione dei rischi, logica emergenziale) in favore di un approccio olistico e sistemico, di un’educazione al benessere della persona. Inoltre, guardare all’affettività e alla sessualità come un luogo privato sottintende concepirlo come luogo per statuto ineducabile: ma se non c’è niente da educare, quello resta per eccellenza il luogo degli impulsi, che ognuno gestisce individualmente in base all’indole e alla cultura che ha respirato. Per questo la scuola è il luogo giusto per questa educazione. Tra gli esperti coinvolti, anche Monica Castagnetti, psicopedagogista e consulente del Centro per la salute del bambino – Csb.

Partiamo dalla cronaca, dalla realtà: che riflessioni le suscita leggere la storia di questa ragazzina tredicenne?

Sembra che nel nostro Paese si parli sempre di questi temi quando succede un fatto di cronaca, che è come se accendesse una luce su aspetti che sono legati alla dimensione affettiva e alla sessualità. Ma è una luce che, anche se molto forte, si spegne subito. Sarebbe opportuno che cominciassimo in maniera più consapevole a comprendere quanto in realtà la dimensione affettiva – che poi nel percorso della vita si lega alla sessualità – sia nella realtà un processo intrecciato in maniera profonda con la crescita personale.

Ed è quello che cercate di fare come Gruppo Crc con il nuovo documento.

Abbiamo costruito questo documento a più mani, portiamo da sensibilità anche molto diverse e partiamo da osservatori differenti. Noi, come Centro per la salute del bambino ci occupiamo di primissima infanzia, ma nel gruppo di lavoro c’erano i pediatri, dei gruppi di ricerca sanitari, le associazioni dei genitori, quelle che si occupano di prevenzione e contrasto alla violenza di genere e quelle che si occupano di ascolto dei ragazzi più grandi. Queste differenze tuttavia non ci hanno impedito di trovare una posizione univoca. Se capiamo che questo tema è centrale rispetto allo sviluppo della persona, abbiamo un terreno comune su cui implementare tutta una serie di azioni che possono accompagnare bambini, bambine, preadolescenti e adolescenti lungo il loro arco evolutivo. Anche quelli con disabilità, che spesso sono totalmente esclusi da ragionamento di questo tipo. È un tema su cui le famiglie sono lasciate sole: è necessario che ci sia una presa di coscienza da parte degli adulti di riferimento. Anche i genitori dovrebbero avere un supporto, in modo da comprendere come funziona l’evoluzione della persona da questo punto di vista. E deve valere anche per tutti gli altri ambienti di apprendimento, le educatrici e gli educatori, gli insegnanti, il gruppo dei pari e le altre agenzie educative. Non sono dei “competitor” della famiglia, ma supportano ciascuno una parte di strada che il bambino deve percorrere.

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Purtroppo, però, questo al momento non sta succedendo.

Oggi possiamo osservare certi atteggiamenti che sono sempre più diffusi e ci parlano del fatto che ci siamo occupati molto poco dell’educazione affettiva e sessuale. Il documento offre una prospettiva a lungo termine e richiede che questo tipo di educazione venga fornita su basi validate da quello che dice la scienza, da figure adeguatamente formate. Nei primi anni di vita – i famosi primi mille giorni – quando la famiglia ha una centralità educativa fondamentale, si informano i genitori dandogli delle indicazioni utili a capire come funziona lo sviluppo di quest’area già a partire dalla nascita. Poi si accompagnano i bambini a scuola durante tutto l’arco della loro vita formativa, perché è proprio nel gruppo dei pari che si misurano questo tipo di competenze. È necessario che ci siano delle figure adulte a cui riportare le proprie curiosità, perché anche i più piccoli ne hanno. Anzi, ne hanno molto prima rispetto a quanto la maggior parte dei “grandi” si aspettano ed è meglio che le portino in un contesto di dialogo sereno piuttosto che cercare risposte altrove.

Il 45% delle persone di minore età cerca informazioni riguardo alla sessualità online, anche molto prima dei 14 anni

Cioè dove?

Nella rete. I dati confermano sempre di più che questo fenomeno esiste: il 45% delle persone di minore età cerca questo tipo di informazioni online, anche molto prima dei 14 anni. Questa partita così importante della propria crescita – comprendere come funziona l’altro e come funziona il proprio corpo, il desiderio, il piacere, il consenso, i limiti del contatto che io posso agire o subire rischiano di venire traghettati in una dimensione di solitudine, perché la persona è sola di fronte alla rete e cerca informazioni correndo rischi seri. Un’anticipazione rispetto a determinati contenuti, che non sono adatti ai più piccoli, per esempio.

Quindi come si fa a creare un ambiente sicuro per parlare di questi argomenti anche ai più piccoli?

Esistono dei quadri logici internazionali, ci sono già delle sperimentazioni, non sempre nei soliti Paesi del Nord che sono considerati “i più competenti”, ma anche in realtà più simili alla nostra. Queste esperienze ci dicono che non solo si può fare, ma che se si iniziano a implementare programmi seri in un contesto universale si può veramente arrivare a tutti e a tutte. Attraverso la scuola si modifica lo sguardo degli adulti e dei più piccoli.

E come si parla di affettività e sessualità nell’età della scuola dell’infanzia?

In maniera molto semplice. Si comincia ad approcciare il tema facendo ragionare i bambini e le bambine sul fatto che il corpo comunica una serie di aspetti emotivi, collegando il loro sentire e il loro vissuto, il fatto che magari non gli piace essere toccati in un certo modo. Gli insegnanti devono diventare competenti nel leggere questa dimensione e capaci di spiegare ai bambini e alle bambine che cosa significano certi comportamenti e perché non gli sono piaciuti. Il corpo dei più piccoli è molto toccato da tante persone e magari non tutti quei tocchi – anche se innocenti – possono fare piacere. È anche una questione di riappropriarsi della dimensione corporea ed emotiva. Col tempo poi la proposta educativa cresce e viene integrata, perché cambiano le priorità e le curiosità. Ai bambini di solito piace scoprire come comincia la vita, quindi come ha fatto un fratellino o una sorellina ad arrivare, per esempio. Ma, ripeto, serve essere formati per capire esattamente cosa stanno chiedendo e di cosa hanno bisogno.

L’affettività e la sessualità sono parte della crescita di tutti e tutte, quindi è una scorrettezza e una negazione dei diritti pensare che bambini e ragazzi con disabilità non sentano pulsioni, non abbiano desideri, non cerchino di interagire col corpo dell’altro o non vogliano che gli altri interagiscano con loro corpo.

Perché, quindi, è importante che questa educazione all’affettività e alla sessualità sia uguale ovunque e non portata avanti a macchia di leopardo?

Perché è un pezzo importante della costruzione della propria identità e del modo in cui si sta in mezzo agli altri. È anche un’educazione al rispetto, che passa attraverso una consapevolezza maggiore di come funzioniamo in quanto esseri umani, che di solito è lasciata alla sorte. Se sei fortunato, sei nato in una famiglia competente o frequenti una scuola competente, riesci ad arricchirti da questo punto di vista, con stimoli adeguati alla tua età e capaci di rispondere ai tuoi bisogni. Se sei sfortunato, però, non hai tutto questo. La nostra proposta è per tutti e tutte, in modo che tutti e tutte abbiano gli stessi diritti anche in questa parte così importante della loro identità. Nel documento seguiamo le linee guida Unesco e quindi facciamo una proposta di Comprehensive sexuality education, in modo tale che tutti gli aspetti siano integrati e non si corra il rischio di parlare solo delle malattie infettive – argomento su cui comunque l’informazione serve perché ce n’è troppo poca – e nemmeno soltanto di com’è fatto il corpo. Bisogna parlare di tutto ciò che è legato a questa sfera, in un percorso più lungo.

Pare che in questo triste caso di cronaca la ragazzina coinvolta abbia un lieve deficit cognitivo. Con chi ha una disabilità – soprattutto intellettiva – è spesso ancora più tabù parlare di questi argomenti.

L’affettività e la sessualità sono parte della crescita di tutti e tutte, come ci dicono le evidenze, quindi è una scorrettezza e una negazione dei diritti pensare che bambini, bambine, ragazzi e ragazze con disabilità non sentano pulsioni, non abbiano desideri, non cerchino di interagire col corpo dell’altro o non vogliano che gli altri interagiscano con loro corpo. È proprio un’ingiustizia credere che per chi ha una disabilità questi aspetti non ci siano. Accompagnare una persona con disabilità può essere più complesso per alcuni aspetti e le famiglie rischiano di più di essere lasciate sole, magari proprio quelle che avrebbero bisogno di maggiori strumenti per soddisfare da questo punto di vista la crescita dei loro figli e delle loro figlie.

L’educazione all’affettività e alla sessualità possono aiutare i ragazzi a riconoscere situazioni di abuso, ad allontanarsene o a cercare aiuto più velocemente?

Certo, grazie all’aumento della consapevolezza e alla dimensione di realismo che queste situazioni assumerebbero. Se mi informo in rete, può sembrare che determinate situazioni siano normali, quando in realtà non lo sono. Se io sono stato formato, so come posizionarmi; non è che educazione all’affettività e alla sessualità significhi per forza aderire a un unico modello, ma vuol dire avere la possibilità di confrontarsi in maniera serena su un argomento importante. C’è un aumento della consapevolezza rispetto al sé, ma in una dimensione relazionale e dinamica. Anche rispetto al sé corporeo, che è tanto negato nella nostra educazione, che tiene gli alunni e le alunne seduti, fermi nello stesso posto, senza poter dire nulla col corpo. Che invece comunica ed è fondamentale capire cosa trasmette, anche per cercare tutti quei servizi territoriali che possono dare supporto – spesso gratuito – a chi ha dei bisogni aggiuntivi. Nei Paesi dove è stato sperimentato questo approccio si è notato che i comportamenti dei ragazzi e delle ragazze sono cambiati: il debutto sessuale si sposta un po’ più avanti, è meno precoce è c’è meno utilizzo di formule estreme come l’aborto.

Nei Paesi dove è stato sperimentato questo approccio si è notato che i comportamenti dei ragazzi e delle ragazze sono cambiati: il debutto sessuale si sposta un po’ più avanti, è meno precoce è c’è meno utilizzo di formule estreme come l’aborto.

Quindi, al contrario di quanto affermano i detrattori dell’educazione sessuale, una maggiore conoscenza non porta ad anticipare l’attività sessuale ma a posticiparla, con meno rischi?

Bisogna capire come funziona la persona, ammettere che in realtà il pensiero sulla sessualità, su come funzionano la pulsione e il desiderio, comincia molto prima di quanto ci si aspetti e che i bambini e le bambine hanno bisogno di essere supportati in questo. Dobbiamo dare informazioni corrette e far fare le giuste esperienze agli adolescenti: quando si arriva al debutto sessuale è già troppo tardi, qualcosa è già maturato. Bisogna cominciare prima a favorire una maturazione basata su dati reali ed evidenze scientifiche, con l’idea che stiamo creando consapevolezza. E la consapevolezza, all’essere umano, non ha mai fatto male.

La foto di apertura è di Fabio Cimaglia/Agenzia Sintesi.

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