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Matteo Dondè

30 km/h e 15 minuti: ecco le città post Covid

di Sabina Pignataro

Sono di Matteo Dondè i primi progetti di “urbanistica tattica”: limite di velocità a 30 km/h e aree d’asfalto trasformate in luoghi di aggregazione sociale grazie a vernici colorate, fioriere e rastrelliere. Secondo l’architetto, le strade saranno sempre di più il luogo della socialità

Sono di Matteo Dondè i primi progetti di “urbanistica tattica” che impongono, in diverse città italiane, la limitazione della velocità nei quartieri residenziali a 30 km/h. Iniziative già sperimentate a Terni, Casalmaggiore (Cremona) e Milano. «Tutti gli studi dimostrano che portando da 50 a 30 Km/h la velocità massima consentita, i tempi di percorrenza cambiano poco», spiega. «In compenso aumenta la qualità della vita e si riduce sensibilmente il rischio di incidenti; gli anziani si sentono più sicuri, i bambini vanno a scuola da soli, i commercianti sono più contenti». Esperto in pianificazione della mobilità ciclistica, moderazione del traffico e riqualificazione degli spazi pubblici, Dondè è anche il Direttore Scientifico di Bikeitalia.it e Bikenomis, due realtà che hanno il comune obiettivo di «trasformare l’Italia in un paese ciclabile». Domani l’architetto nell’ambito di MobilitARS, il simposio digitale sull’arte della gestione della mobilità urbana nel terzo millennio, terrà un intervento dal titolo “Città 30 subito” (www.mobilitars.eu, mercoledì 3, 10, 17, 24 febbraio).


Architetto, nell’ultimo anno abbiamo visto piste ciclabili dipinte nell’arco di una notte e parcheggi trasformati in area giochi. Che cosa sta succedendo?
Le amministrazioni comunali si stanno rendendo conto che bastano piccoli ed economici interventi per ridisegnare e riqualificare un intero quartiere. All’interno di questa cornice gli interventi dal basso sono strumenti utilissimi per recuperare il senso originario della strada, che è il luogo pubblico per eccellenza, l’agorà: luogo per incontrarsi, sedersi, camminare e giocare.

In Europa lo hanno capito da tempo. Eppure in Italia queste soluzioni creano polemiche e dubbi. Come mai?
Innanzitutto, per cultura. In Italia ancora oggi passa l’idea di un conflitto perenne tra utenti della strada: automobilisti contro ciclisti, ciclisti contro pedoni, pedoni contro automobilisti, ecc. La strada è ancora considerata un’assoluta proprietà dell’auto: lo vediamo per assurdo proprio in corrispondenza degli attraversamenti pedonali, dove purtroppo continuiamo a morire tant’è che dei 612 pedoni morti nel 2018 più della metà sono stati investiti sulle strisce pedonali. Ce ne accorgiamo anche dal fatto che il pedone si sente in dovere di ringraziare quando finalmente l’automobilista gli consente di attraversare.

E poi perché?
Il secondo ostacolo ha a che fare con la sicurezza stradale: le corsie ciclabili sono ancora considerate troppo pericolose. Siamo tra i pochi paesi europei in cui l’incidentalità urbana continua a crescere: 28,9 morti per milione di abitanti contro i 10,9 della Gran Bretagna, con lo stesso numero di abitanti.

La “Città 30” è il modello che stanno perseguendo moltissime città europee…
La “città 30”, cioè tutte le strade con limite di velocità a 30 Km/h tranne la viabilità principale, rende la città meno inquinata, meno rumorosa, meno pericolosa e quindi più bella, vivibile, accessibile e realmente inclusiva. Il tema è tanto importante che addirittura Olanda e Spagna hanno recentemente votato in Parlamento una legge che prevede i 30 Km/h in tutte le strade urbane di tutto il paese. Di questo parlerò domani a MobilitARS con il mio intervento su “Città 30 subito”.

Quali sono i benefici di una città a 30 Km/h?
Facciamo una premessa importante: tutti gli studi dimostrano che in ambito urbano tra 30 e 50 Km/h i tempi di percorrenza cambiano poco: gran parte del tempo lo perdiamo agli incroci e ai semafori. Moderando la velocità invece si riducono morti e feriti, rumore e inquinamento, a vantaggio della sicurezza di tutti gli utenti della strada, andando quindi al di là del focus sulla sola bicicletta e della generica esigenza di "salvare i ciclisti".

Secondo lei la “città 30” rende anche i cittadini più felici?
Direi di sì. Ridurre la velocità consente di migliorare la qualità del vivere in città. E a questa qualità è associata l’idea di felicità. In un contesto cittadino più equilibrato l’anziano si sente più sicuro, i bambini vanno a scuola da soli, il commerciante è contento perché la strada è vivibile se ci sono più negozi, verde e panchine. E se poi la strada è anche bella, vissuta, ben illuminata e frequentata, diminuiscono degrado e delinquenza e si favorisce la creazione di un legame tra residenti positivo e collaborativi.

Però non basta un cartello per fare una zona 30
Le sperimentazioni di Casalmaggiore (2014), come già quella di Terni (2013) dimostrano che è possibile realizzare una zona 30 anche a basso costo. Le sedute, i tavolini e le piante sono state affittate da ditte specializzate, ma i costi sono decisamente relativi rispetto alle opere infrastrutturali e consentono un netto miglioramento della qualità della strada, immediatamente percepibile dai cittadini. Comunque, in questo processo di cambiamento, da un modello auto-centrico a uno condiviso in cui gli spazi urbani sono restituiti a una pluralità di utenti, gioca un ruolo chiave la comunicazione: occorre spiegare, raccontare e condividere i benefici di un nuovo stile di vita che altrimenti difficilmente verrebbero compresi ed accettati.

Gli Italiani vanno sempre in macchina?
In parte è vero. Le città italiane sono tra le più congestionate al mondo (nella classifica delle ore perse nel traffico Roma è seconda al mondo dopo Bogotà, Milano settima). I dati ci dicono che il 40% degli spostamenti in auto serve per coprire un tragitto inferiore ai 3 km e il 60% sotto i 5 km. Già solo ridurre questo uso spesso inutile dell’auto favorirebbe le persone a piedi, quelle in bici, ma anche chi utilizza i mezzi pubblici e… anche gli stessi automobilisti che sono costretti ad usare l’auto.

Milano è la città italiana che più di ogni altra sta testando le potenzialità di questo approccio. Cosa ne pensa?
Le prime sperimentazioni sono cominciate nel 2018 nel quartiere Corvetto e proseguono con successo. Il piano del sindaco Beppe Sala non parla solo di automobilisti, ma anche di pedoni e ciclisti. Direi che Milano è la città italiana che più sta lavorando non solo per costruire “la città per le persone”, ma anche per trasformarsi in una città dei 15 minuti.

Cos’è una città dei 15 minuti?
Per semplificare, può essere immaginata come una città fatta di piccole città in cui in 15 minuti raggiungo tutte le principali funzioni della vita quotidiana: lavoro, spesa, scuola, commercio locale, attività ricreative. Anche la gran parte delle città europee, ormai in gran parte città 30, sta costruendo la città dei 15 minuti, stanno cioè ripensando gli spazi e i tempi della città, accorciando le distanze e riducendo la necessità di spostamento delle persone.


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