Vito Fiorino

«Anche dopo la strage di Lampedusa dissero che non doveva più accadere»

di Alessandro Puglia

Bare bianche e marroni allineate. Sono trascorsi quasi dieci anni e le immagini delle salme dei migranti di Crotone rievocano quelle dei 368 morti della strage di Lampedusa del 2013. Fiorino con la sua imbarcazione “Gamar” salvò 47 naufraghi afferrandoli dalle braccia intrise di benzina. Fu il primo a intervenire in quello scenario di morte e a lanciare il primo Sos alla guardia costiera

Le immagini delle salme allineate nel PalaSport di Crotone rimandano a quelle dell’hangar dell’aeroporto di Lampedusa dove dieci anni fa morirono 368 persone. «Sentivo vuciare, urla di gabbiani, ma non erano i gabbiani e non era vuciare», ricorda oggi nelle scuole italiane e nei teatri il primo soccorritore della strage, proclamato giusto dell’umanità nel 2018 insieme a Costantino Baratta che con la sua imbarcazione salvò altri 11 naufraghi. Oggi la storia si ripete: «C’è stata leggerezza. Io, quella notte del 3 ottobre non ho detto tornerò a salvarli, la mia dignità mi diceva che dovevo salvarli anche a rischio di mettere in pericolo la mia vita e quella del mio equipaggio».

Le bare allineate all’interno del palazzetto dello sport di Crotone, non sembrano così diverse da quelle dell’hangar dell’aeroporto di Lampedusa dell’ottobre 2013?

Sono quelle cose che non puoi cancellare. Eventi che cerchi di mettere in un angolo della tua mente perché ti hanno creato un forte dolore. Quando ho rivisto nuovamente quelle bare allineate con quelle bianche davanti è riaffiorato tutto. Sono trascorsi 10 anni dalla strage del 3 ottobre del 2013 in cui morirono 368 persone, è cambiato il luogo, ma non sono cambiati i colori delle bare: bianche e marroni. Io vivo da dieci anni con questa ferita nell’anima che domenica scorsa non appena appresa la notizia si è riaperta da sola.

Come all’indomani della strage di Lampedusa anche la polemica sui soccorsi sembra essere identica a quella di dieci anni fa?

Più che una polemica è il non voler evidenziare i fatti reali per coprirsi sempre dietro un dito. Le nostre unità militari hanno salvato migliaia di persone negli anni e non devono mai dimenticarlo. La distrazione non può essergli concessa, non “uscire” in mare perché pensavano che loro ce l’avrebbero fatta è stata una scelta sbagliata. Non si sono salvati e c’è stata leggerezza. Io, quella notte del 3 ottobre non ho detto tornerò a salvarli, la mia dignità mi diceva che dovevo salvarli anche a rischio di mettere in pericolo il mio equipaggio.

Quali sono le colpe della politica davanti all’ennesimo naufragio di migranti?

La cause di queste tragedie sono da individuare nella politica, a livello nazionale ed europeo. Si incolpano e si condannano gli scafisti, che poi sono solo gli ultimi dei colpelvoli, ma non si cerca qual è l’origine del male. Acquistiamo armi, doniamo motovedette anche di nuova generazione a fantomatiche autorità libiche e tunisine. Non è così che si risolve quello che è il fenomeno migratorio che non è un problema. I problemi sono quando non si riesce a salvarli e muoiono.

C’è una soluzione?

È quella che ripetiamo tutti da tempo, sono necessari canali umanitari e regolari. Sentiamo dire che questi fatti non devono più succedere e invece succedono. Le parole che ho sentito in questi giorni sono le stesse che ho ascoltato all’indomani della tragedia dall’allora premier Letta che arrivò a Lampedusa con Barroso e Alfano. Anche allora si disse “queste tragedie non devono più accadere”. Ora basta con le parole.

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