Bari, 12 quartieri, poco più di 300mila abitanti. Negli ultimi sei anni la città ha vissuto un'intensa stagione di trasformazione sociale e urbana, in cui ha sperimentato una tensione partecipativa che ha caratterizzato progressivamente l’intera strategia di sviluppo urbano. Cittadini e associazioni sono stati il punto d'inizio della trasformazione. Il primo cittadino Antonio Decaro, sindaco dal 2014, e presidente dell'associaizone nazionale dei comuni italiani, racconta la Bari di oggi e quello che si sta costruendo per i prossimi anni.
Sindaco, mi racconta la Bari di oggi?
Negli ultimi anni, Bari e la Puglia hanno registrato un significativo apprezzamento da parte degli osservatori nazionali e internazionali che ne hanno sottolineato il dinamismo culturale, turistico e il portato di innovazione. La Regione Puglia è stata insignita nel 2016 del titolo Best Value Destination dalla Rivista National Geographic e la Città di Bari nel 2019 è stata riconosciuta come 5° migliore destinazione turistica europea dal magazine Lonely Planet, riportando un costante incremento dei flussi (+11,5%) fino a divenire 2° destinazione turistica in Puglia. Successi e riconoscimenti che premiano un lavoro condotto negli ultimi 15 anni e che ha visto il capoluogo al centro di importanti investimenti strategici di rinnovamento infrastrutturale, di rigenerazione urbana, di mobilità sostenibile, di innovazione sociale, sviluppo culturale e turistico, che ne hanno ridefinito i contorni e le ambizioni. Ma soprattutto hanno restituito maggiore fiducia nella cittadinanza che si è potuta ritrovare in un progetto comune.
Se la coesione rappresenta infatti la precondizione per una crescita urbana duratura, qualsiasi sfida di cambiamento richiede una sincera adesione da parte della comunità. E Bari ha sempre messo al centro delle proprie politiche le persone, le aspirazioni collettive sperimentando forme di partecipazione e di consultazione che hanno alimentato il confronto sulle politiche urbane. Ultimamente siamo arrivate tra le 10 città finaliste nel riconoscimento MIBACT di Capitale italiana della cultura 2022 e lo abbiamo fatto condividendo il nostro dossier con più di 300 organizzazioni. Non importa non aver vinto, ma è stato decisivo ritrovarsi e credere collettivamente in questo traguardo.
Se la coesione rappresenta infatti la precondizione per una crescita urbana duratura, qualsiasi sfida di cambiamento richiede una sincera adesione da parte della comunità
Antonio Decaro
Com’è cambiata negli ultimi anni?
Le sfide principali che la città ha saputo affrontare negli scorsi anni riguardano la riqualificazione del waterfront e il rapporto tra la città e il mare, la bonifica e la riconversione di siti inquinati ed ex caserme in parchi e poli culturali (Fibronit, Gasometro, Manifattura dei Tabacchi, Caserma Rossani), la valorizzazione del patrimonio archeologico e architettonico (Piazza San Pietro, Palazzo San Michele, Teatro N. Piccinni, ex Teatro Margherita, Museo di Santa Scolastica), il rafforzamento del dialogo con l’Università e con il tessuto economico. La città è cresciuta molto sotto il profilo della consapevolezza, del civismo, della partecipazione. Il tessuto sociale si è progressivamente rafforzato e ha iniziato a esprimere un maggiore protagonismo sulla città e nei processi decisionali. Negli ultimi 6 anni abbiamo concentrato molto i nostri sforzi sul tema della prossimità, aumentando i presidi socio-culturali nei quartieri, le reti ecologiche, i servizi per migliorare la qualità della vita dei residenti ma soprattutto per moltiplicare le occasioni di socialità e di attivismo: asili, parchi, giardini, mercati, presidi familiari, spazi di innovazione, playground, biblioteche sono stati pensati e creati per favorire il rafforzamento delle comunità. Tutti gli interventi vengono sottoposti prima al confronto in assemblee pubbliche e poi co-progettati e condivisi con i comitati civici. Questo alimenta la fiducia e favorisce il dialogo tra ente locale e tessuto associativo locale.
Quante sono le realtà associative presenti in città?
Le realtà associative nella nostra città sono migliaia. E storicamente sono distribuite nel settore solidaristico, ambientale, sportivo, culturale, educativo, della legalità. Quello che però ho notato negli ultimi anni è un vero e proprio cambiamento nella natura del terzo settore barese. Le organizzazioni appaiono più ibride, interdisciplinari ed esprimono un maggiore desiderio di attivismo. Non si accontentano di partecipare i processi o di esprimere pareri consultivi esterni o rispondere alle nostre opportunità. Sembra abbiano colto pienamente la sfida della sussidiarietà e la portata straordinaria del protagonismo civico: cittadini che formano comitati per la salvaguardia di parchi e giardini, attivisti ambientali che si impegnano per la difesa e la cura degli spazi comuni, gruppi di genitori che intraprendono esperienze di gestione collettiva dei cortili scolastici, operatori che riconvertono luoghi dismessi in presidi culturali. Sono solo alcune delle esperienze più diffuse a Bari negli ultimi anni e che propongono un approccio nuovo al governo territoriale, in cui l’amministrazione si esercita in forma collettiva e le responsabilità e le scelte sono condivise tra politica e cittadinanza. Un modello partecipativo di città che apre scenari di trasformazione del ruolo politico che si fa garante di un nuovo spazio comune che è la città.
Che tipo di dialogo avete aperto con loro?
A Bari abbiamo provato a intercettare queste sensibilità e a valorizzarle, pedonalizzando intere aree nei quartieri, qualificando lo spazio pubblico attraverso interventi di urbanistica tattica, favorendo la nascita di piccole e grandi esperienze collettive, approvando tra i primi in Italia nel 2015 il Regolamento per la cura e la gestione condivisa dei beni comuni, concedendo terreni e beni confiscati e sperimentando misure di rafforzamento delle comunità. Negli ultimi 6 anni, con i comitati di quartiere e il tessuto associativo abbiamo creato giardini condivisi nelle scuole, attivato orti urbani, sottoscritto patti di collaborazione per la riconversione di ex cinema all’aperto, sperimentato laboratori cantiere nelle periferie, realizzato centri culturali e spazi di innovazione. A breve avvieremo un’esperienza di gestione dal basso di 11 piccole biblioteche di quartiere. Il portale www.bariinnovazionesociale.it aggrega le principali sfide in corso e consente ai cittadini di interagire sulle singole possibilità.
Quello che ho notato negli ultimi anni è un vero e proprio cambiamento nella natura del terzo settore barese. Le organizzazioni appaiono più ibride, interdisciplinari ed esprimono un maggiore desiderio di attivismo
Antonio Decaro
A quali progetti state lavorando insieme?
Tra le misure principali in corso possiamo annoverare D_Bari che sta sostenendo la (ri)nascita di 50 esperienze di piccolo commercio a scala di quartiere, Urbis che ha sostenuto la creazione di 86 presidi di impresa sociale nelle aree periferiche, Rigenerazioni creative che supporta la riconversione dal basso di 10 aree agricole periurbane dismesse, Reti Civiche Urbane (RCU) che è certamente la misura più di sistema e che ha consentito la creazione di 12 consorzi stabili di attori socio-culturali, sui 12 quartieri della città, a cui è stato affidato il compito di condividere una visione e animare dal basso il proprio territorio. Un vero e proprio esperimento di autodeterminazione senza precedenti. La misura che tiene insieme tutte queste esperienze di dialogo tra amministrazione e cittadini ma soprattutto tra i cittadini stessi. La sfida è quella di rafforzare il senso di comunità e la capacità di dialogo e di cooperazione a scala locale. RCU oggi coinvolge più di 300 organizzazioni, quasi 10.000 persone e ha istituzionalizzato 12 consorzi locali che sono interlocutori stabili dell’amministrazione sui temi più rilevanti della trasformazione urbana.
Quanto è importante oggi che pubblica amministrazione e realtà del terzo settore sappiamo co-progettare insieme?
Il senso del lavoro svolto in questi anni l’abbiamo riscontrato durante l’emergenza COVID-19. In un Paese che durante il lockdown riscopriva la dimensione della prossimità e della solidarietà, noi qui a Bari avevamo già fatto un percorso. Ed è stato utile, indispensabile direi, avere delle reti sociali già attive e organizzate sui quartieri della città. Perché da lì siamo partiti, per monitorare prima i bisogni e successivamente organizzare le risposte. Durante il lockdown Bari ha vissuto un’esperienza straordinaria di attivismo e di sussidiarietà commovente, che ha impegnato più di 700 volontari su dieci hub di quartiere. Molti di loro venivano dalle esperienze di RCU, dall’impegno nel terzo settore e nel sociale, dai movimenti parrocchiali, dal volontariato ambientale. La logica era la medesima: rafforzare i presidi di ascolto e logistici su base di quartiere, organizzando risposte tempestive, di prossimità, specie per anziani, persone sole o con disabilità e famiglie bisognose. I volontari, coordinati dalla ripartizione del Welfare, hanno distribuito cibo, farmaci, beni di prima necessità, stimolato la partecipazione delle attività economiche, alimentato donazioni diffuse. Insomma, un lavoro straordinario che ha tenuto insieme la comunità. Come sindaco mi sono limitato a rappresentare l’istituzione e a tenere vivo il rapporto con la Regione e il Governo, oltre che intervenire in strada perché preoccupato della gravità della situazione. L’esperienza restituisce la forza e la vitalità del terzo settore. Per migliorare Bari le nostre città non è sufficiente un buon governo ma un consenso ampio su un “progetto di città”.
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