Valentina Mastroianni

«Cesare ci ha lasciati a soli sei anni ma ci ha dato una grande lezione di vita»

di Luigi Alfonso

La mamma del piccolo Cece racconta la vita del figlio che ha commosso l'Italia attraverso i social e poi sui libri scritti da lei. La storia di una famiglia che non si è mai arresa di fronte a una malattia rara e a tante traversie. «A volte ci si dimentica che non c’è soltanto il bambino. Tutta la famiglia dev’essere accolta e sostenuta», sottolinea lei. La gratitudine per l'umanità e le cure dell'ospedale Gaslini

«Nulla accade per caso». È una delle tante frasi presenti nel primo libro scritto nel 2023 da Valentina Mastroianni. A “La storia di Cesare” hanno poi fatto seguito “E voleremo sopra la paura – Noi e Cesare, mano nella mano” (2024) e “Sarò i tuoi occhi” (2025). Valentina li ha scritti per tanti motivi: per ricordare la straordinaria ma dolorosa esperienza – sua e della famiglia – con il terzogenito Cesare, morto nel 2024 a causa di una malattia rara, la neurofibromatosi di tipo 1, conosciuta anche con l’acronimo Nf1. Aveva sei anni appena: un tempo brevissimo, ma sufficiente per riempire tante pagine ricche di aneddoti che a volte lasciano a bocca aperta.

Valentina Mastroianni, scrittrice e divulgatrice di Conegliano Veneto, da un anno risiede a Genova con suo marito Federico Zambon e i figli Alessandro e Teresa. Ieri hanno risposto alla chiamata dell’associazione Sea Scout di Oristano. Nel corso della quarta edizione di “Power of Sport”, in programma a San Giovanni di Sinis (Cabras) dal 27 al 29 giugno e dedicata a persone con disabilità fisiche e intellettivo-relazionali, è stata inserita una serata dal titolo “Come se fosse normale…”. Un contenitore con momenti di spettacolo, un convegno su “significato della normalità”, siblings e iniziative per azzerare le differenze tra persone. Al termine, la presentazione della novella illustrata “Sarò i tuoi occhi” (edizioni De Agostini, illustrazioni di Alida Pintus), che ha riscosso un notevole successo. Ne parliamo con l’autrice.

Valentina Mastroianni durante la presentazione del libro in Sardegna

Il 25 maggio 2018 nasceva Cesare, evento che lei ha definito «quel qualcosa in più che mancava a una famiglia bella e felice».

Mio marito voleva un terzo figlio, ed è arrivato. È stata una grande gioia. Ben presto è comparsa una macchia sospetta sul collo del bambino: sembrava una piccola “voglia”, invece era il preludio di un cammino difficile. Le macchie poi aumentarono di numero, e lì iniziai ad avere qualche sospetto.

Iniziò un percorso a ostacoli, tra specialisti e ospedali. Non fu il pediatra a capire l’entità del problema, bensì una dermatologa da cui lei si recò per una sua visita.

Gliene parlai, per curiosità più che per ansia, e la dottoressa mi chiese: «Quante sono le macchie? Più di sei?». Quella domanda mi gelò, perché le macchie nel frattempo si erano moltiplicate. Capii che la situazione era peggiore di quanto immaginassi.

Secondo il pediatra, avreste dovuto aspettare altri otto mesi per capire se si trattasse davvero di neurofibromatosi. Lei e suo marito stavate passando per genitori ansiosi. Invece, aveva visto bene la dermatologa…

Chiesi a Federico: «Ma davvero vuoi aspettare otto mesi?». Bastò uno sguardo per capire che non c’era un minuto da perdere.

Una foto della famiglia Zambon Mastroianni di alcuni anni fa

«L’incertezza non la reggo», scrive ancora lei. Il sesto senso di mamma non sbagliava affatto.

Non mi considero una donna ansiosa. Ma, quando avverto un pericolo, mi muovo di conseguenza in cerca di una soluzione. Facendomi aiutare da chi ne sa più di me. E così abbiamo fatto con Cece. Abbiamo dovuto imparare ad affidarci ai medici, per esempio quando hanno impiegato alcune terapie sperimentali, senza le quali nostro figlio avrebbe vissuto molto di meno.

All’età di 18 mesi circa, arrivò un’altra brutta sorpresa: Cece all’improvviso non vedeva più. Il Grande Buio, lo avete definito successivamente. Si trattava di un tumore che aveva leso i nervi ottici, ma ancora non potevate saperlo.

Un tumore di 4,6 centimetri che aveva lesionato il chiasma ottico. Purtroppo, non c’era niente da fare. Ma sarei stata ben felice, posso ben dirlo, se nostro figlio fosse stato soltanto cieco: ci avrei messo diecimila firme.

Cece si lamentava raramente. Era il suo modo di combattere, ma alla lunga si rivelò anche una filosofia di vita. Una cosa straordinaria, per un bambino così piccolo.

Sì, Cece sembrava più grande dei suoi anni, in tante cose. Era davvero un bambino straordinario. Pur non vedendo più, dopo lo smarrimento iniziale, iniziò a prendere le misure con gli spazi e si divertiva un mondo a combinarne di tutti i colori. Sono sicuro che, se fosse venuto con noi in questo angolo di paradiso della Sardegna, avrebbe voluto provare di tutto anche da cieco: il motoscafo, il surf, la moto d’acqua… era un terremoto e aveva una grande voglia di vivere.

A un certo punto decideste di prendere un cucciolo di labrador. Cesare voleva chiamarlo Gioia ma, trattandosi di un maschio, fu ribattezzato Joy. Anche questa scelta parla del suo modo di pensare positivo.

Il cane diventò ben presto parte integrante della sua vita. Ha portato nella vita di Cesare tanta spensieratezza, dormivano insieme, a volte litigavano, ma c’era sempre. Chi possiede un animale domestico, sa di cosa parlo.

La vita l’ha «allenata alle brutte notizie», racconta ancora.

Quando incontrai Federico, credevo di aver già dato abbastanza nella mia vita, come spiego nel mio secondo libro (si riferisce a una serie di difficili momenti vissuti nella sua famiglia d’origine, ndr). Parliamo di abusi e rapporti complessi. Di uragani ne sono arrivati tanti, anche dopo aver conosciuto mio marito. Un po’ ingenuamente, credevo di aver meritato un po’ di serenità. Invece ho poi capito che la vita mi aveva soltanto preparato ad affrontare le nuove sfide, a superarle, a mettermi in discussione. Non è stato semplice perché quella malattia ce ne ha riservate tante. Nell’ultimo periodo di vita, poi, Cece non mangiava, era alimentato da un sondino, non parlava…

Una bella immagine di Alessandro, Cesare e Teresa Zambon

Avete incontrato tanti medici. Non tutti hanno mostrato l’empatia e la sensibilità che questi professionisti dovrebbero avere con i pazienti e i loro familiari. E questo, al di là della loro preparazione nel campo specifico.

Alle volte ci si dimentica che non c’è soltanto il bambino. Tutta la famiglia dev’essere accolta e sostenuta. E questo elemento è emerso chiaramente nel convegno di Sea Scout di questo pomeriggio, lo hanno detto tutti: operatori, genitori, psicologhe e pedagogiste. La malattia di Cece è stata vissuta da tutta la famiglia, noi genitori e i suoi fratelli. Nei miei libri, però, non racconto soltanto le cose che non sono andate bene. L’ospedale Gaslini, per esempio, ha confermato di essere un’eccellenza dal punto di vista medico-sanitario. Ma, oltre la malattia, lì c’è anche tanta vita che è fatta di fisioterapia, logopedia, scuola, sport, amici, persone che ti circondano e ti vogliono bene. Noi abbiamo soltanto aggiunto vita ai giorni.

Vero, non avete vissuto soltanto delusioni. Nel vostro lungo percorso avete incontrato anche tante persone straordinarie tra personale sanitario, compagni di scuola di Cece, personaggi noti (tra cui Bebe Vio) e altri del tutto sconosciuti.

Credo che Cesare, in questi anni, abbia scelto per noi una serie di persone che poi ci sono rimaste vicine. Come se sapesse che se ne sarebbe andato via presto e volesse lasciarci al sicuro. Negli anni, ha creato una rete talmente fitta e importante da non poterci perdere nel momento del grande dolore. La nostra è la storia di una famiglia normale, che a volte si lamenta ma che cerca sempre di reagire e fare di questa vita qualcosa di meraviglioso.

Ci parli dell’esperimento riuscitissimo dei social, con una pagina Instagram che ha raccolto 350mila followers.

L’idea che altri genitori potessero sentirsi soli, come a volte ci siamo sentiti noi, mi faceva arrabbiare, non mi faceva vivere tranquilla. Così ho iniziato a parlare di Cesare e della sua malattia. L’affetto di tantissime persone è arrivato forte chiaro, è stata benzina per tutti noi.

Valentina Mastroianni con Teresa e il fondatore di Sea Scout, Riccardo La Porta

Cesare vi ha insegnato il senso dell’accettazione: il saper accettare una malattia, una disabilità, i nostri limiti.

Abbiamo imparato a guardare alle cose che possiamo fare, piuttosto che a quelle che non possiamo fare. Di solito siamo educati a fare il contrario.

Ha scritto che «nulla accade per caso». Quale lezione di vita avete tratto da questa esperienza lei, suo marito e i vostri figli?

Cesare ci ha cambiato la vita. E ci ha fatto cambiare città e stile di vita. Prima mettevamo al primo posto il lavoro, che è certamente importante, ma la vita è una sola. Abbiamo messo la famiglia al primo posto. A volte le famiglie che hanno un figlio malato o con una disabilità, vengono lasciate sole. E questo diventa ancor più difficile da sopportare. Cece è venuto su questa Terra per cambiare tanti cuori. I nostri certamente li ha cambiati.

La sua dedica nel libro “Sarò i tuoi occhi”, recita: «A Cesare, a te che sei venuto a insegnare e guidare, non a imparare».

Cece amava fare da solo. Ed è quello che dovremmo fare con tutti i figli, al di là dell’abilità o la disabilità. Dobbiamo lasciarli fare, provare, da quando sono piccoli. Spesso siamo tentati di metterli sotto una campana di vetro, al riparo da tutto. Ma non ha senso, se non c’è un pericolo serio. Dobbiamo lasciarli vivere, non sopravvivere, altrimenti ci lasciamo sopraffare dalle paure. Cesare è andato in bicicletta, in canoa…

Un’altra immagine della presentazione a San Giovanni di Sinis (Cabras)

Valentina e Federico sono riusciti e ancora riescono in questo intento?

Quando scoprimmo che Cesare non avrebbe più avuto il dono della vista, mi chiesi come avrei dovuto comportarmi con lui. Col tempo ho capito che avrei dovuto fare ciò che avevo fatto in precedenza con gli altri due figli, cioè lasciarlo libero di fare. Non nego che ci sono state delle volte in cui ero un po’ in apprensione, per esempio quando Cece si arrampicava su una scala per accedere a una casetta in giardino. Alla fine, abbiamo creato un “mostro”: lo abbiamo lasciato talmente libero che faceva davvero di tutto in perfetta autonomia. Infatti, aveva un’autostima altissima. I bambini devono poter fare e sbagliare, mettersi in discussione. Da adulto avranno maggiore consapevolezza e meno paure.

Il terzo libro si chiude con una frase che raggiunge il cuore: «Il mondo ha così tanto bisogno della tua bellezza».

Questo è un albo illustrato dedicato a tutti, grandi e piccini. È un libro da leggere insieme. Il viaggio inizia con tutti noi. A un certo punto, Cesare scopre un fiore di tarassaco che trova sempre il modo di rifiorire, ovunque si trovi. Così è anche Cesare: troverà il suo modo per rifiorire. Anche se non è con noi fisicamente, io avverto sempre la sua presenza tra di noi.

Credits: foto di Azzurra Simula e di Cinzia Carrus – Nicola Marongiu per Über Pictures

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