Pamela Noutcho

Dalla lotta per la cittadinanza al mondiale di boxe: la mia vita sul ring

di Claudia Balbi

Una campionessa europea che ha conquistato il cuore di Bologna partendo da una palestra popolare. Dopo aver vinto ad aprile il titolo Ebu pesi leggeri femminile, Pamela Malvina Noutcho Sawa, di professione infermiera in pronto soccorso, sotto le Due Torri è diventata un idolo per tutta la comunità. Prossima tappa? Il titolo iridato da conquistare nel bolognesissimo PalaDozza

Classe 1992, giunta in Italia dal Camerun a 8 anni, Pamela Malvina Noutcho Sawa è abituata a lottare anche fuori dal ring, e non è un modo di dire. Un match complicato per lei è stato quello per ottenere la cittadinanza italiana, arrivata quando aveva ormai compiuto 30 anni ma non è certo l’unico. La sua vita fino ad oggi l’ha trascorsa dividendosi tra il lavoro da infermiera al pronto soccorso dell’ospedale Maggiore e le corde del ring della Bolognina Boxe. Questa palestra popolare riunisce ragazzi e ragazze di più di 30 nazionalità e accoglie chi non riesce a pagare la quota fungendo da luogo di incontro per un quartiere multietnico che spesso finisce sulle pagine della cronaca locale per problemi di spaccio e degrado, ma che è al contempo il cuore pulsante di un movimento nuovo che lotta per l’integrazione.

Il match per la cittadinanza

«Mi sono persa molte occasioni», si commuove Pamela quando ricorda i primi anni di vita in Italia, a Perugia dove aveva raggiunto il padre. Niente gite scolastiche all’estero senza visto e cittadinanza alle superiori anche se dice di essersene fatta una ragione in un primo momento. Poi però all’università di Bologna, dove si trasferisce a 19 anni, le succede la stessa cosa: le viene rigettata la richiesta di Erasmus in Belgio. Lei, che parla francese e ha tutti i requisiti in regola, pensa di rientrare tra i selezionati ma la commissione “che aveva avuto problemi con persone con il permesso di soggiorno” non la sceglie. Colpita per la seconda volta, Pamela non va a tappeto e dopo gli studi in infermieristica fa un concorso pubblico «perché alcuni – spiega – sono aperti anche a chi ha il permesso di soggiorno per lungo soggiornanti» e lo vince. Un bel gancio che le permette di riprendere le redini del match. 

Nel frattempo arrivano numerosi colpi bassi anche sul fronte sportivo. «Nel 2020 vinco gli assoluti. Di solito chi li vince viene convocato in nazionale» spiega Noutcho. Ma anche in quel caso prendono solo cittadini italiani. Pamela vince ma viene selezionata la ragazza che ha perso combattendo proprio contro di lei. Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ricorda Pamela: «era un’occasione unica per me ed era davvero anni che accumulavo porte chiuse in faccia a causa della mancata cittadinanza». Tra le varie difficoltà rientra anche la mancata concessione del mutuo. «Lì ho detto, questa è una cosa che è successa a me ma spero che altri ragazzi di seconda generazione non provino la mia stessa frustrazione nel crescere» spiega Noutcho. Un periodo nero in cui molti avrebbero gettato la spugna. Lei va avanti e nel 2022, finalmente, dopo varie peripezie, compresa la richiesta del casellario giudiziario del suo paese di origine (che reati può aver commesso una bambina che a 8 anni ha lasciato il suo paese?), ottiene la cittadinanza italiana in Comune dalla mani del sindaco Matteo Lepore (foto). «É stato come se mi fossi tolta un peso. Ho pensato: ora ho una chiave che può aprirmi tantissime porte e non dovrò ogni volta cercare scorciatoie o rinunciare a qualcosa», la voce le trema al ricordo. 

Il significato di “quel pezzo di carta”

«In molti dicono che la cittadinanza serve solo per andare in vacanza. Io dico di no: nella vita quotidiana, non averla, ti impedisce di crescere come cittadina, dal punto di vista politico perché vivo in un Paese in cui non posso intervenire, votare, in cui le mie idee non contano» spiega . Il senso di esclusione è forte, racconta ancora la pugile: «dal punto di vista economico io lavoravo, contribuivo e pagavo le tasse, però non venivo riconosciuta politicamente come un cittadino italiano. Sentivo di non avere valore, di essere semplicemente un bracciante che lavora. Mi sentivo esclusa, che la mia voce non contava. La parte dei doveri ce l’avevo tutta, ma non avevo nessun diritto». 

Il referendum? “Un allenamento”

Di qui l’impegno politico nel promuovere il Sì al referendum sulla cittadinanza dello scorso giugno. «Un’altra cosa che impedisce a molte persone di ottenere la cittadinanza è il requisito dei dieci anni di residenza continuativa in Italia. Molte persone quindi se si trasferiscono per sei mesi in un altro posto non riescono a fare richiesta e se la fanno gli viene respinta. Il quesito posto dal referendum, ricorda Pamela, chiedeva proprio questo: di abbassare a 5 anni il periodo di residenza continuativa». 

Come sappiamo non solo il referendum non è passato ma ha visto 1 persona su 3 votare no al quinto quesito. «Il discorso che era passato era che si volesse regalare la cittadinanza senza controlli. Ed è mancata anche un’informazione, perché viviamo in un clima politico che ha fatto una propaganda contraria, dicendo di non andare a votare, di andare al mare, non ha cercato di spiegare cosa sarebbe andato a modificare il referendum. Insomma è stata una questione di grande ignoranza» questa la spiegazione che si è data Pamela del risultato elettorale. Volendo fare una metafora sportiva, prosegue Noutcho, questo referendum: «Lo vedo più come un allenamento che come un match vero e proprio». Il match sulla cittadinanza arriverà ma, secondo la boxeur: «siamo ancora troppo indietro. C’è ancora bisogno di educare gli italiani a vivere insieme allo straniero. Dobbiamo far passare il messaggio che non siamo qui per rubare il lavoro, ma siamo cresciuti insieme, siamo andati a scuola insieme, siamo i suoi concittadini». A dar fiducia per il futuro alla campionessa europea ci sono i tanti ragazzi di seconda generazione che hanno partecipato al dibattito politico: «È stata la prima volta che abbiamo avuto voce in capitolo e già per me è una grossa vittoria. Non era mai successo che persone di seconda generazione provenienti dall’Africa, dall’Asia e dal Sud America si impegnassero così soprattutto sui social» – Spiega Pamela. Sui social network, prosegue la pugile: «ciascuno ha fatto la sua parte per informare, raccontare la sua storia e far passare il messaggio: noi non siamo cittadini di serie B, ma siamo quelle persone che lavorano insieme a voi per rendere l’Italia un paese migliore». 

La palestra popolare

Alla Bolognina Boxe si respira questa aria di cambiamento. «Qui si incontrano e scontrano persone di 30 nazionalità diverse, un marasma di persone che ogni giorno si confrontano con la diversità. – racconta Noutcho – Capita spesso di essere in disaccordo e la differenza è che qui proviamo a parlarne». Per esempio una volta, racconta la pugile, durante il Ramadan qualcuno ha sollevato la questione che, in una palestra aperta a tutti, dove il 50% dei ragazzi è musulmano, combattere durante il digiuno non permette di essere al 100% della propria forma fisica. «Quindi ne abbiamo discusso e trovato una soluzione che fosse la migliore per tutti. Ed è questo che rende diversa la Bolognina Boxe dagli altri: non è che non ci sono problemi ma se ne parla e si cerca il modo per risolverli» spiega Pamela. Alla fine la palestra ha deciso che durante il Ramadan chi pratica il digiuno può decidere di non combattere, chi invece desidera farlo lo stesso, può salire sul ring tra gli ultimi in gara di modo che abbia tempo, terminato il digiuno, di mangiare e riposare. 

Questo è solo un esempio di come si vive nella palestra della Bolognina, quella che Pamela definisce come una delle “zone difficili” della città. Come operare a livello sociale in questa realtà? «Qui proviamo a dire che il posto da cui vieni non ti identifica come persona, ma è ciò che fai tutti i giorni per migliorare la tua realtà» Questo obiettivo è ciò che unisce i ragazzi e le ragazze della Bolognina Boxe. «Siamo partiti che eravamo una piccola palestra e arrivare a disputare gli italiani, vincerli, poi l’europeo e organizzarlo al PalaDozza non ce lo saremmo mai aspettati. – ricorda Pamela – Siamo una realtà che è nata dal basso, siamo cresciuti e ora continuiamo ad organizzare gli incontri nel centro della città e nelle corti popolari. Spesso montiamo il ring in mezzo ai palazzoni: cerchiamo di rendere lo sport accessibile a tutte e tutti».

Un altro ring

Fuori dalla Palestra, nella vita di tutti i giorni le cose vanno peggio. E anche qui Pamela combatte ma senza guantoni. Il razzismo si fa sentire, spiega l’atleta, soprattutto sul lavoro: «In pronto soccorso mi è capitato che stavo facendo il triage e un signore mi dice che non vuole essere registrato da me ma da persone italiane. Io ho risposto che sono italiana ma lui mi ha detto: no, da italiani bianchi come me». Questo tipo di episodi racconta Noutcho sono in aumento: «Se un tempo mi capitava 1 o 2 volte all’anno adesso mi capita almeno 1 volta al mese. Ero convinta che con il tempo sarebbe migliorata la situazione e invece vedo che stiamo facendo un grande passo indietro e la cosa mi spaventa».

Progetti futuri

Tornando alla Bolognina Boxe, e cioè un modello sociale che funziona, un progetto per le nuove generazioni, una domanda sorge spontanea: il futuro della pugile bolognese la vedrà entrare in politica? «Nella politica ci sono troppi intrighi, puoi avere tantissime idee e valori ma molto spesso quando ci entri ti perdi – risponde decisa Noutcho – Preferisco lavorare nel mio piccolo perché penso che solo cambiando a poco a poco la propria realtà si possa cambiare anche il mondo». «A Bologna fortunatamente si sta lavorando tantissimo sul progetto delle cittadinanze con il gruppo di Next Generation Italy e il Comune con il progetto Bolognesi dal primo giorno – prosegue Pamela – Io continuerò a combattere con i miei compagni per trovare dei modi per cambiare la vita delle persone di seconda generazione. A Bologna e poi anche in Italia quando sarà possibile». Qualcosa sta cambiando? «Sì almeno qua sì».

Foto di Massimo Gennari – Bolognina Boxe

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