Giovani

Due mani per raccontare una vita

di Sara De Carli

Gabriela Ciobanu è una ragazza di 17 anni, di origine moldava. Ha aperto su Facebook una pagina per raccontare storie di fragilità e riscatto, attraverso le mani. Il suo progetto è fra gli 11 che sono saliti sul palco del primo TedxYouth d'Italia. «Voglio rompere gli stereotipi, mettere in contatto storie e persone con cui mai e poi mai si entrerebbe in contatto. È un modo per entrare nelle storie degli altri quasi senza accorgersene, una operazione di "open mindfulness"»

Raccontano più le mani di un volto. Il viso può dissimulare, divagare, ingannare, mentre le mani non mentono. E soprattutto le mani – pur essendo uniche proprio come un viso- permettono quell’anonimato che spesso è condizione necessaria per accettare di aprirsi e raccontarsi. Parte così Hands of Moldova, il progetto di racconto socio-fotografico ideato da una ragazza di 17 anni, Gabriela Ciobanu. Lei lo ha presentato sabato al TedxYouth di Bologna, il primo d’Italia, davanti al ministro Stefana Giannini.

L’idea, racconta lei, è nata una mattina sull’autobus, andando a scuola: «Improvvisamente ho cominciato a notare le forme e le posizioni di tutte quelle mani aggrappate al corrimano. A un certo punto ho smesso di guardare la gente e mi sono concentrato sulle mani e mi sono resa conto che la maggior parte delle volte le mani possono dirci molto di più, sulle persone, che non le loro facce. Così ho mescolato i miei due hobby, la fotografia e il blogging, cercando di far conoscere qualcosa fuori di nuovo, “out of the box”. Ho aperto la pagina nel 2015, ma ci ho lavorato seriamente solo da quest’estate. Cosa volevo fare? Un’azione concreta che cambiasse le cose sui pregiudizi e le discriminazioni».

Gabriela ha 17 anni, vive a Vicenza, frequenta la quarta al liceo inguistico "A. Pigafetta". È arrivata in Italia cinque anni fa, dalla Moldavia, per raggiungere la madre che lavorava qui già da un anno. «Sono arrivata a settembre, mi hanno iscritto alla scuola più vicina a casa, ho iniziato la seconda media. Cose estreme no, non le ho subite, però ero semplicemente e costantemente esclusa dalla vita dei mei compagni, ero vista e trattata da tutti come diversa, sempre. Sono stati anni molto faticosi. Poi al liceo è stato diverso, forse perché ho potuto cercare e scegliere la scuola più adatta a me».

Quello che volevo fare era rompere gli stereotipi, mettere in contatto con storie e persone con cui mai e poi mai si sarebbe entrati in contatto, aiutare le persone a uscire fuori dal loro “box” di pensiero, idee, conoscenze, relazioni. È un modo per entrare nelle storie degli altri quasi senza accorgersene, una operazione di "open mindfulness"

Gabriela Ciobanu

A ispirarla è stato, già in quegli anni, un TED talk: quello di Andrew Solomon. Un discorso su “how the worst moment in our lives makes us who we are”, che conta 4milioni di visualizzazioni. Gabriela ha sentito che valeva anche per lei, ha stretto i denti ed è andata avanti. Poi, sull’autobus, capisce che come lei, fanno la stessa cosa ogni giorni moltissime atre persone. Basta guardare le loro mani per accorgersene. «Ho pensato che sarebbe stato bello dare voce alle persone che hanno il coraggio di affrontare le fatiche della vita, diventando persone migliori. Allo stesso tempo, quello che volevo fare era rompere gli stereotipi, mettere in contatto con storie e persone con cui mai e poi mai si sarebbe entrati in contatto, aiutare le persone a uscire fuori dal loro “box” di pensiero, idee, conoscenze, relazioni. È un modo per entrare nelle storie degli altri quasi senza accorgersene, una operazione di "open mindfulness"».

Gabriela parte con i conoscenti e con la comunità di immigrati dalla Moldavia: incontra le persone, fa un’intervista che va a scavare la storia personale, scatta una foto alle mani. La foto viene pubblicata sulla pagina "Hands of Moldova" con poche righe di testo, righe che condensano una biografia: «tutto viene dall’intervista, ma la persona intervistata non sa quale passaggio pubblciherò. Funziona un po’ come Humans of New York, solo che lì fermano un passante per strada, senza un fil rouge, mentre io ci tengo a conoscere prima le persone, a parlare a lungo con loro».

Dopo poco tempo, sulla pagina arrivano messaggi di sconosciuti che si “candidano” a raccontare la loro storia. Il 70% sono giovani, ma non sono solo loro a volersi raccontare. Sono già 33 le foto che Gabriela ha postato, con la loro microstoria. «Quella più forte è senza dubbio quella di una ragazza che ha tentato il suicidio, le sue mani e le sue braccia portano i segni delle cicatrici. Ha inciampato e trovato nuovi amici, che l’hanno aiutata a curare le sue ferite spirituali».

Dal palco di TedxYouth, Gabriela ha lanciato un appello ai suoi coetanei: ad essere «più aperti alla comprensione delle biografie altrui. Spesso giudichiamo senza nemmeno voler familiarizzare con le storie che ci sono più distanti, ma se conoscessimo le storie, il nostro sguardo sarebbe diverso». E se guardare l’altro negli occhi è troppo difficile, si può sempre cominciare dalle mani.

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