Stefano Laffi

I volontari e i giovani sono il fine, non il mezzo

di Redazione

«Vanno allestite una serie di occasioni e opportunità nello spazio pubblico che consentano ai ragazzi di fare l’esperienza del cambiamento». E ancora: «Nelle associazioni non conta solo quello che esse fanno per gli altri ma anche quello che fanno per i propri giovani volontari che sono i beneficiari in prima battuta». Le guardie civiche? «Accostare il volontariato alla disoccupazione e al controllo sociale, mi sembra un errore». Intervista al sociologo co-fondatore di Codici Ricerche

In questi mesi, abbiamo abituato i nostri ragazzi a stare in casa, a non abitare lo spazio pubblico che è lo spazio dell’azione sociale, della solidarietà e questo esilio ha tolto dall’immaginario e dall’orizzonte di possibilità il volontariato. Ne abbiamo parlato con il sociologo Stefano Laffi, co-fondatore di Codici Ricerche. «Il volontariato ha come imperativo quello di riabitare lo spazio pubblico anche per il bene delle nuove generazioni, per evitare che si alimenti quella che temo sia una vera e propria claustrofilia, assuefazione a stare seduti in casa fino a diventare non più capaci di stare nello spazio pubblico che richiede alcune competenze precise, in primis la cura di sé» sostiene Laffi. Il volontariato a distanza di cui si è parlato tanto in queste settimane è quasi un ossimoro, una contraddizione perché se da un lato è vero che ci sono singole iniziative di sostegno a distanza e la maggior attitudine all’uso della tecnologica dei giovani può essere giocata come possibile forma di aiuto e sostegno solidale, dall’altro dobbiamo essere onesti – e la scuola a distanza lo ha dimostrato – nel riconoscere che l’abilità tecnologica dei ragazzi è molto più sugli smartphone che sui pc come strumento di lavoro. «Vanno allestite una serie di occasioni e opportunità da parte del volontariato nello spazio pubblico che consentano ai ragazzi di tornare ad abitare quel luogo, dove fare l’esperienza del cambiamento, dove sperimentare la possibilità di agire per il bene del mondo – dice Laffi – Certo, occorre fare i conti con i vincoli che ci sono ma occorre anche cancellare questa immagine del distanziamento sociale che c’è stata data da subito: se c’è un compito che ha il volontariato è quello di rendere possibile, nella distanza fisica, la solidarietà sociale e allestire situazioni e contesti in grado di accogliere, campi di esperienza». Abbiamo di fronte l’estate come occasione particolare per avvicinare i giovani al volontariato: forse quest’anno le vacanze si faranno meno degli altri anni o comunque in maniera diversa ma i ragazzi sono comunque presenti con le loro energie e le associazioni possono esplorare nuove modalità di “aggancio”, anche attraverso i comuni, azioni di comunicazione pubblica, le scuole che essendo chiuse potrebbero essere messe a disposizione per attività. I campi estivi e i viaggi di volontariato non si potranno fare ma si potranno riconvertire in una sorta di viaggio di esperienza nella propria città, dove sperimentare occasioni di aiuto e di intervento solidale.

Chi fa la storia oggi è chi agisce, chi interviene nella realtà e lei parla di volontariato come storia del presente, come esperienza del cambiamento…
Credo che per i ragazzi il volontariato debba essere soprattutto proposto come esperienza del cambiamento agita attraverso la propria azione, se regaliamo loro esperienza del cambiamento gli regaliamo una dimensione politica fondamentale che li forma come cittadini. Nelle associazioni non conta solo quello che esse fanno per gli altri ma anche quello che fanno per i propri giovani volontari che sono i beneficiari in prima battuta. La prospettiva così è molto diversa: i ragazzi sono i primi interlocutori di un’associazione, non il mezzo per svolgere un servizio.
Quest’estate più che mai, i giovani hanno necessità di sentire che si può fare qualcosa: quando hai avuto paura, hai bisogno di sentire che è possibile fare qualcosa e tu sei parte di questa possibilità. I bambini e ragazzi sono stati resi invisibili in questi mesi di emergenza – Gli abbiamo chiuso la scuola che è il loro luogo, non gli abbiamo chiesto cosa ne pensavamo e gli abbiamo tolto lo spazio pubblico che è anche lo spazio dell’incontro, dell’amicizia, dell’amore. Li abbiamo depoliticizzati, esclusi dalla possibilità di esserci e agire nel mondo, deprivati di cittadinanza, di esercizio politico ovvero di azione pubblica di cambiamento della realtà, e loro sono stati bravi, hanno seguito le nostre richieste.
Ma il concetto di salute, non è assenza di malattia. L’OMS ci dice che il concetto di salute riguarda il benessere, la qualità della vita, e ai giovani abbiamo chiesto un sacrificio in termini di salute altissimo, li abbiamo costretti a delle rinunce molto alte. Dico questo perché dai dati di ricerca sappiamo che aprire una scuola e è infinitamente meno rischioso che aprire un’attività produttiva…

Cosa ne pensa della proposta governativa delle guardie civiche, che coinvolge soprattutto le persone giovani?
Un volontariato imposto che avesse come compito il controllo sociale quindi l’accostamento del volontariato alla disoccupazione da un lato e dall’altro a un’azione non di solidarietà e di aiuto ma di una sorta di controllo e vigilanza pubblica mi è parso una stranissima combinazione di elementi. Non so come andrà avanti ma se è così non mi piace. Il primato del volontariato è quello della relazione: agire per distanziare le persone è contro una spinta sana e biologica al legame sociale.
I giovani che hanno fatto volontariato spontaneo durante il Covid sono andati a fare le consegne di spesa e medicinali a domicilio, hanno portato aiuto alle persone, non si sono messe a controllarle. Il ragazzo è per il legame e l’incontro non per il distanziamento.

Poi c’è il rischio, già alto, che nella percezione dei giovani il volontariato venga confuso con lo sfruttamento. Lei cosa ne pensa?
Nel tempo, il concetto di volontariato è stato inquinato da come si è mosso il mercato del lavoro che ha reso volontariato un periodo inziale di lavoro, delle opportunità semi mascherate da lavoro… È un immaginario sbagliato, da correggere, ciò senza che il volontariato ne abbia colpa: la colpa è del mercato del lavoro che ha sconfinato e ha creato questa confusione. Vero è che chi fa volontariato apprende un sacco di nozioni e competenze utili anche nel mondo del lavoro: dobbiamo dirci che il volontariato è una palestra prelavorativa fondamentale e credo che i ragazzi lo abbiano capito; hanno capito che ha una valenza formativa importante così come lo sanno i datori di lavoro che sono sempre più attenti a queste esperienze. Credo si debba battere la strada della certificazione delle esperienze: è molto interessante, secondo me, l’idea che il volontariato metta a punto qualcosa che abbia un riconoscimento anche nel mondo del lavoro.

Il leitmotiv di questi giorni è trasformare l’Italia in un paese per giovani: lei come attuerebbe questo piano?
Il tasso di disoccupazione giovanile è quattro volte quello degli adulti, nessun Paese europeo ha questa proporzione; i livelli retributivi dei giovani sono infinitamente più bassi a parità di funzioni. Prima di tutto, andrebbe affrontato una volta per tutte il tema delle disuguaglianze tra le generazioni; si tratta di redistribuire il potere, cambiare le modalità di accesso al lavoro. I ragazzi non chiedono quote, non è nel pensiero dei giovani avere delle quote giovani nei consigli di amministrazione o in parlamento. I giovani chiedono di essere riconosciuti e ascoltati per le loro idee, tutte cose che sappiamo già da un po’ solo che gli adulti non fanno un passo indietro. I giovani chiedono semplificazione: quando vogliono fare delle cose trovano estremamente complicato e farraginoso il livello di burocrazia, la complessità per ogni minima cosa anche solo organizzare un concerto in una piazza. Occorre fare in modo che sia molto più semplice l’esordio sociale, ovvero la possibilità di agire nello spazio pubblico senza inibire le loro energie.

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