Quelli che curano chi cura

«La sclerosi multipla ci ha fatto scoprire la bellezza del vivere il presente»

di Luigi Alfonso

La comparsa della malattia ha dato una nuova visione della vita a Linda, a suo marito Nanni e alla figlia adolescente di lei, Ludmilla. «Prima correvo troppo, ora ho capito che bisogna godere ogni momento che ci viene concesso». A lui non piace il termine caregiver perché, spiega, «il rischio, per le persone che si prendono cura dei loro cari, è quello di essere identificati con questa parola»

«Caregiver è una parola che non amo troppo: il rischio, per le persone che si prendono cura dei loro cari, è quello di essere identificati con questa parola. Sono semplicemente il marito di una persona che ha difficoltà motorie, è del tutto naturale che io la aiuti secondo le mie possibilità. Lei mi dice sempre che sono l’estensione poetica della sua persona. Una definizione che è tutto un programma. Ma mi rendo conto che, giornalisticamente parlando, il termine caregiver sia più semplice ed efficace da utilizzare». Antonino Califano, Nanni per amici e familiari, mette subito in chiaro il suo ruolo in una storia che è simile a tante altre ma che ha le sue peculiarità. Insieme a sua moglie, Linda Montecchiani, e alla figlia che lei ha avuto da una precedente relazione, Ludmilla Introvigne, ci parla di questa esperienza inattesa e impegnativa, che ha trasformato le loro vite. Non necessariamente (non del tutto, per lo meno) in peggio. Perché è vero che Linda, oggi 44enne, deve fare i conti con la sclerosi multipla che le è stata diagnosticata nel 2007, ma è pur vero che a volte una malattia può indicarci un cambio di percorso necessario per la nostra crescita interiore. Ne è profondamente convinta lei per prima. E di questo parlano, tutti e tre, nel libro “La porta delle parole” (Re Nudo edizioni), che sarà disponibile nelle librerie dal prossimo mese di luglio.

La copertina del libro scritto a sei mani dalla famiglia di Linda

«È un viaggio dal momento della diagnosi sino ad oggi», spiega Linda, un sorriso solare che è un inno alla vita come lo è il suo racconto. «Al momento della diagnosi non c’erano né mia figlia, che era ancora nella mia pancia al terzo mese di gravidanza, né mio marito: ho conosciuto Nanni due anni più tardi. Tre voci narranti, ognuna con il proprio punto di vista. La malattia è stata invisibile per molti anni, ha iniziato a farsi vedere nel 2020: con l’arrivo della pandemia e il lockdown, ho cominciato ad avere seri problemi alle gambe. Questa sincronicità non è stata mai spiegata scientificamente, ma ho saputo che è accaduta la stessa cosa a tante persone».

Nanni e Linda nel giorno del rinnovo delle promesse di matrimonio (2024)

«Ci siamo conosciuti per caso a Fregene, nel periodo in cui lavoravo a Roma», spiega Nanni. «Un vero colpo di fulmine. Poi Linda mi ha rapito e costretto a tornare a vivere a Milano, dove io mi ero laureato tanti anni prima. Lei quel giorno avrebbe dovuto essere a Roma e non in spiaggia, ma le hanno spostato un provino teatrale al giorno successivo, e così… Pure io avrei dovuto essere da tutt’altra parte e con un’altra donna, con cui si è però interrotta la relazione all’improvviso. La vita è davvero strana, a volte. Ci siamo sposati nel 2012 ed è ancora tutto come allora».

«Sì, al punto che a ottobre del 2024 ci siamo scambiati di nuovo le promesse di matrimonio: nella gioia e nel dolore, in salute e in malattia… La promessa di mio marito è stata davvero mantenuta sino in fondo», aggiunge Linda.

Lei e i suoi familiari affrontano la malattia con serenità. «Non potrei fare diversamente», sottolinea. «Non si tratta di un atteggiamento imposto o di un atto di volontà. Dico sempre che la mia prima patologia è l’ottimismo. Uso questo paradosso per spiegare il mio atteggiamento verso la vita. Il mio vero supporto è quello che definisco “cerchio magico”, composto da me, mio marito e mia figlia. Il contesto familiare aiuta moltissimo. La malattia è arrivata all’improvviso, quasi a dirmi: stai sempre correndo, fai mille cose, ma ora ti fermi e mi osservi. Nel 2022 ha immobilizzato la parte destra del mio corpo, oggi ho in buona parte recuperato la funzionalità ma posso muovermi soltanto sulla carrozzina. Per mettere in atto un processo di guarigione, ho capito che dovevo cambiare per forza qualcosa nella mia vita. E questo è avvenuto in maniera naturale. Insomma, la malattia si è trasformata in benattia, qualcosa che ti insegna tantissimo, soprattutto la bellezza della lentezza».

Nanni, Linda e Ludmilla ritratti nell’ottobre 2024

«Non è che oggi lei lavori meno di prima, eh!», chiarisce Nanni. «Se un tempo girava come una trottola per le sue attività in teatro (dopo essersi diplomata all’Accademia di arte drammatica, per dodici anni ha fatto l’attrice, ndr) e poi per una Casa d’aste, oggi fa volontariato a tempo pieno. E io con lei. Perché questo è il suo carattere. Ma l’immobilità le ha permesso di iniziare un nuovo viaggio. Quando l’ho conosciuta, era tutto il contrario di ciò che si può immaginare di una persona malata perché, fortunatamente, questa patologia si è rivelata benigna per parecchio tempo. Starle dietro era quasi impossibile, lei stessa si definiva “la ragazza con la valigia”. Era un inseguimento continuo. Ma, se possibile, l’agenda di Linda ora è più piena di prima».

Questo ha, giocoforza, modificato l’assetto familiare. «Due mesi fa ho chiesto il part time al lavoro, in modo da poterle stare a fianco il più possibile», spiega Nanni. «E ho fatto di tutto per farmi concedere il maggior numero di giornate in smart working: a volte Linda ha bisogno di una mano per soli cinque minuti, altre volte per mezzora o un’ora. Ma spesso ci sono visite mediche di controllo, oppure dei trattamenti fisioterapici. Se non sono in casa, diventa un problema, anche se ci aiuta una persona per alcune ore al giorno. E, lo confesso, cerchiamo di dedicarci degli spazi che per noi sono vitali, magari anche solo per andare a mangiare un gelato. Io sono originario di Salerno: da buon meridionale, ho ritmi decisamente più rilassati rispetto a lei che, pur essendo di Osimo, ha una modalità di vivere più milanese. Vado più piano in tutte le cose, ma lei continua a farmi correre. L’associazione culturale “Avvicin’Arti”, che abbiamo messo su nel 2013, ci mette nelle condizioni di ricevere sempre tanti inviti e creare altrettante occasioni d’incontro. E lei non dice di no a nessuno».

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«Lo scopo di “Avvicin’Arti” è quello di avvicinare le persone all’arte», sottolinea Linda. «Portiamo il teatro nei musei e nelle biblioteche, lavoriamo moltissimo in partnership con il Comune di Milano. Ma dal 2022, cioè da quando sono in carrozzina, faccio volontariato a tempo pieno con l’Aism, l’Associazione italiana sclerosi multipla, e collaboriamo con la Ledha, la Lega per i diritti delle persone con disabilità. Ci dedichiamo alle attività di sensibilizzazione e raccolta fondi, soprattutto ai progetti nelle scuole che aiutano i ragazzi a scoprire che cosa significa convivere con una disabilità. Con la Ledha stiamo portando avanti un’iniziativa che consente di formare i capitreno del servizio ferroviario Trenord: in questo modo sarà più facile, per loro, rapportarsi con eventuali passeggeri con disabilità. C’è poi “Senti come mi sento”, un laboratorio esperienziale di Aism che consente di entrare nelle aziende e nelle istituzioni per far comprendere e sperimentare l’impatto di alcuni tra i sintomi più comuni della sclerosi multipla. Infine, “Easy go out” è un’altra iniziativa nazionale di Aism che sta mappando l’accessibilità dei luoghi pubblici. Insomma, le nostre giornate sono sempre piene».

«Anche una città all’avanguardia come Milano è piena di barriere architettoniche, ecco perché c’è molto da fare ancora», prosegue Linda. «Il passaggio dal camminare con le mie gambe al muovermi sulle quattro ruote, pensavo che fosse meno problematico. Invece, mi sono accorta che pure i luoghi istituzionali spesso sono inaccessibili: mi è capitato di recente al Municipio 2 di Milano, durante un evento pubblico al quale ero stata invitata. Il più imbarazzato di tutti, alla fine, era un assessore comunale…».

Linda Montecchiani ripresa durante uno spettacolo teatrale

Nanni racconta che la sua giornata lavorativa, in questa fase, dura sei ore anziché otto. «E in futuro potrebbero ridursi ulteriormente. Vedremo. Di recente, Linda è stata coinvolta in una iniziativa di Aism e Fondazione Prada: un dibattito pubblico alla chiusura della mostra “Human Brains” dedicata alle malattie neurodegenerative. Lei ha parlato delle neuroscienze che dialogano con l’arte. Ebbene, in quella sede è emerso un dato preoccupante: il caregiver rischia di contrarre la sindrome dell’Io trasparente. Col tempo, cioè, rischia di essere completamente asservito a questo ruolo e perde la propria identità. Studi scientifici hanno dimostrato che queste persone hanno un’aspettativa di vita che, in genere, si riduce di 9-16 anni. Al di là di questo, se è vero che un malato non vuole essere identificato con la propria malattia, è vero anche che io rivendico il mio ruolo. Io sono il marito di Linda. Punto. Il fatto che poi ci siano delle leggi che tutelano la figura del caregiver, è positivo ma per me è secondario. Sono fortunato ad avere Linda come paziente, è molto autonoma. I momenti difficili, in questi anni, sono stati sporadici ma arrivano in maniera non pianificata».

Un suggestivo ritratto di Linda Montecchiani durante una recita

Ludmilla ad agosto compirà 18 anni. Accetta di buon grado di dire come affronta questa esperienza familiare. «Da tre anni abito in Francia con mio padre, ma raggiungo mamma e Nanni durante le vacanze», racconta. «Con lei nulla è cambiato rispetto a quando ero piccola, anche perché la sclerosi multipla ha mostrato un aggravamento solo negli ultimi anni. Per me resta la mamma con cui scambiare le coccole e le confidenze. Sì, certo, ho una maggiore attenzione nei suoi confronti, la aiuto quando ha necessità, ma la relazione è rimasta immutata. Ci sono stati dei momenti in cui ho avuto un po’ di paura, mi chiedevo: “E ora, che cosa accadrà? Sono ancora piccola, ho bisogno di lei”. Mi sono posta di fronte alla sua condizione, ma poi il sole è tornato: vedendola sorridere, è andata meglio. Ora mi sento pronta a cominciare la mia vita perché so che lei ci sarà sempre».

Ludmilla Introvigne e Linda Montecchiani

«Quand’ero bambina, mamma mi parlava di luci colorate che aveva nel cervello. Ero convinta che le avessimo tutti», riprende a raccontare Ludmilla. «Non pensavo che si trattasse di una malattia, anche perché i sintomi erano poco visibili. Ricordo giusto un po’ di affaticamento dopo lunghe camminate, mamma si appoggiava al braccio di Nanni e tutto finiva lì. La malattia non prendeva spazio, dunque ho trascorso la mia infanzia con una mamma perfettamente normale. Quando la sclerosi si è svegliata, ero più consapevole: avevo 13 anni».

«La consapevolezza col tempo è cresciuta in tutti noi», commenta Nanni. «Il fatto di aver voluto rinnovare le promesse di matrimonio dopo pochi anni dalle nozze, è stato un modo per celebrare la fortuna di esserci trovati. La presenza di questa malattia, da quando ha cominciato a essere evidente, ha richiesto accorgimenti e adattamenti significativi ma ci ha pure permesso di apprezzare la bellezza dello stare insieme, e anche di poter contare su una rete di amicizie, di solidarietà e di affetto che ci arricchisce e sostiene nei momenti più difficili. Rispetto a chi, nella fortuna e nell’incoscienza, vive della limitatezza del tempo a disposizione, noi sappiamo che le evoluzioni di questa malattia sono sempre in negativo; ecco perché approfittiamo della fortuna che la vita ci mette davanti».

«Nel libro ho scritto che mio marito non l’ho conosciuto, bensì l’ho riconosciuto», precisa Linda. «Quel giorno, a Fregene, è stato un incontro del destino. È vero che ora non abbiamo una vita facile, però abbiamo una vita felice: questo gioco di parole ci fa capire che la felicità è qualcosa che dobbiamo riuscire a vedere. Il mondo è pieno di bellezza che, a volte, rimane invisibile ai nostri occhi. Bisogna imparare a scoprirla e vederla. La malattia, o meglio la benattia, ha permesso a me e a mio marito di instaurare un rapporto di autentica comunione che, probabilmente, non si sarebbe sviluppata senza la sclerosi multipla. È come se il nostro rapporto avesse raggiunto una profondità che prima della malattia era inarrivabile. Oggi costruiamo e ricostruiamo il nostro alfabeto sacro, fatto anche di movimenti che sembrano una sorta di danza, per esempio quando mi aiuta sedermi nell’auto. Questo non significa che non ci siano i momenti di fatica e di stanchezza. Non posso permettermi di programmare nulla, non mi chiedo neppure che cosa farò domani, perché la sclerosi non è una malattia rigenerativa. Ma proprio questo mi permette di mordere e gustare il presente. Non ho alternative. Non vivo neppure di rimpianti: il passato è passato. Non mi lamento nemmeno del fatto che la ricerca ha fatto passi da gigante e, se la patologia viene diagnosticata per tempo, oggi può essere rallentata enormemente. È andata così, non posso prendermela con nessuno. Questa è la mia storia, ecco perché non mi chiedo come mai sia capitata proprio a me. Ho il forte desiderio di lasciare un messaggio, un’eredità per chi verrà dopo di me. E spero che il mondo, grazie alla ricerca, possa presto essere libero dalla sclerosi multipla e da altre malattie degenerative».

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