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Inclusione sociale

L’inclusione sociale che ha il profumo e il sapore del pane

di Gilda Sciortino

Una storia che sa veramente di buono, quella di Vincenzo, giovane con sindrome dell’ X fragile ereditata alla nascita, il cui sogno era quello di aprire un forno nel centro antico di Eboli. Un sogno che è diventato realtà grazie alla sua capacità di fare innamorare di un progetto che, grazie al pane, ha unito una comunità. Attorno a lui la famiglia e gli amici, ma anche tante realtà che lavorano nel territorio nella tutela dei grani antichi. Per nulla scontato che sia stato chiamato il “pane della felicità”

Si potrebbe modificare di poco il titolo del famoso romanzo di Carlo Levi che nel 1945 scriveva Cristo si è fermato a Eboli, per ridare alle stampe tutta un’altra storia che titolerebbe “Cristo è ripartito da Eboli” perché è qui che ha inizio una vera e propria avventura storia intrisa di amore. Amore per il pane che ha sempre avuto Vincenzo Bardascino, 30 anni, da 25 anni con la sindrome dell’X fragile ereditata alla nascita. Amore anche per la sua comunità  – da sempre ma oggi, grazie a lui, ancor di più allargata – che si è subito compattata a attorno a questo giovane, i cui occhi verdi si illuminano quando pensa a quale farina scegliere per il suo pane, come impastare, quando infornare e il momento giusto per tirare fuori dal forno a legna le sue adorate panelle, la classica pagnotta che prende forma nei forni a legna del sud Italia e che, già da sola, basta per riconnetterti ai valori più profondi della vita. E Vincenzo lo sa, ne è certo, infatti il suo sguardo dolcemente penetrante anticipa il sorriso che illumina tutti quando arriva l’attesa risposta: «Questo è il miglior pane mai mangiato prima di oggi».

Vincenzo è un giovane con la sindrome dell’X fragile che ha dimostrato come la forza di un sogno possa superare ogni difficoltà

China Aresu, presidente dell’associazione “Il forno di Vincenzo”

Poco più 37mila abitanti, Eboli, comune in provincia di Salerno, nel cui centro storico la tradizione dei forni a legna ha fatto si che il pane diventasse il collante della stessa comunità. Fino a 60 anni fa c’erano cinque forni aperti che portavano avanti una tradizione che, proprio come elemento antropologico di appartenenza, respirava il profumo del pane che, per esempio, a Pasqua vedeva le donne impastare a casa e, poi, infornare insieme nei forni. Il fatto che dopo 40 anni si sia recuperato una tradizione buona e giusta ha, non solo idealmente, nuovamente invaso il paese del profumo di bontà appena sfornate.

Pane caldo, fragrante, ma soprattutto capace di sprigionare sapori

Profumi come quelli della campagna di una volta, che, chi non ha mai avuto la fortuna di conoscerli, non se li può neanche immaginare. Che, quindi, questa magia fosse un giovane come Vincenzo a volerla farla rivivere e riproporre non ha prezzo, come preziosa deve essere considerata quella X che non gli leva nulla, anzi gli dà un valore aggiunto del quale beneficiano tutti coloro i quali gli stanno vicino.

Vincenzo Bardascino (foto di Pio Peruzzini)

Il sogno di Vincenzo è uno di quei sogni che si realizzano prima di tutto per caparbietà, per quella luce che splende dentro e che emana tracciando un percorso bianco e soffice, come quello della farina che giornalmente imbianca il suo viso e le sue mani sempre in  movimento  Appassionatosi alla panificazione sin da bambino, Vincenzo ha poi frequentato l’Istituto Alberghiero “Ancel Keys” di Castelnuovo Cilento, studiando la terra e i grani antichi che aveva iniziato a coltivare con il nonno paterno nell’orto di famiglia. Gli stessi grani antichi con cui ancora oggi realizza il suo pane, unendo la sua passione alla tenacia per la costruzione di un progetto di vita di qualità, che gli possa pian piano permettere di essere indipendente e autosufficiente. Cosa che sta accadendo, anche più velocemente di quel che lui stesso poteva pensare. Un percorso che parte da lontano, ma che lo vede cominciare a fare il pane nel vero senso della parola sette anni fa, sperimentandosi fornaio grazie a due amici importanti, Michele Sica e Carmelo Lignes, rispettivamente Residenza rurale Incartata di Calvanico e Vicorua Eboli, che hanno messo a disposizione i propri ristoranti e le proprie strutture per realizzare il pane insieme a lui.

Il centro storico di Eboli ha subito sposato questo progetto dimostrando che le radici contano

Tappe fondamentali di un percorso personale e professionale che, nel 2018, porta a decidere di costituire l’associazione “Il forno di Vincenzo” e, lo scorso dicembre, all’ inaugurazione del forno sociale in un locale concesso dal Comune e ristrutturato grazie al contributo di tutta la comunità. Ulteriore occasione per dare continuità all’impegno di tanti sostenitori locali dell’iniziativa, tra i quali anche il Centro studi pedagogia della mediazione (Cspdm), le cooperative sociali “Stalker” e “Terra di Resilienza” di Morigerati, ma non solo.

«Quello che vorrei prima di tutto dire è che la sindrome di Vincenzo non ha mai compromesso le sue attività e soprattutto la sua voglia di fare », afferma Scolastica Aresu, per tutti China, presidente dell’associazione. «È, questo, un aspetto interessante perché ci aiuta a riflettere su tutta una serie di tematiche importanti rispetto all’inclusione, l’autodeterminazione, i diritti delle persone con disabilità. È, però, anche l’aspetto più importante rispetto anche alle caratteristiche delle persone come lui. Non va sottovalutato il fatto che Vincenzo nasce in una famiglia con un forte legame con la terra e le tradizioni; cresce con un nonno che fa il pane, quindi per lui il forno a legna è un elemento che è sempre esistito nella sua vita. È a Benevento, in seguito all’esperienza importante di formazione all’Istituto Alberghiero, che incontra amici che gli aprono una finestra sul mondo dei grani antichi, infatti il primo step del progetto lo vede ricevere in dono il grano che poi semina, raccoglie e trasforma in farina all’interno della rete di relazioni nata con ragazzi e persone impegnate nella ricerca e rivalutazione dei grani antichi, della tutela del territorio e della biodiversità».

L’amore per le mani in pasta (foto di Anna Rizzo)

Un crescendo di conoscenze, diventato quel tipo di bisogno che si alimenta attraverso il desiderio di imparare sempre di più, segnando alcune significative tappe di un viaggio tra cui il “pane sospeso“, così come ha sempre desiderato il padre , Vito, da sempre al fianco di un figlio che gli riserva continue piacevoli sorprese.

Immaginate quando mio figlio esordì così: «Ma tu me lo apri il forno? Io voglio fare il pane, voglio vivere e avere il forno sociale nel centro storico di Eboli»

Vito Bardascino, papà di Vincenzo

Una volontà consapevolmente caparbia che fa capire cosa vuol dire per lui questo mondo.

«Mi piace fare il pane con le mani », spiega lo stesso Vincenzo, mentre si prepara ad andare al forno.  «Oggi impastiamo metà farina bianca e metà farina di farro, quello che mi piace di più, quello che secondo me è il migliore impasto. Mi piace usare il grano monococco e caratterizzare il pane con mille profumi, colori e sapori. Mi piace quando il pane lo mangiano gli altri, le persone, poi anche un po’ io. Bella la forza delle persone».

Vincenzo ama soprattutto gli impasti con una bassa idratazione, usa solo le farine del mulino a pietra Montefrumentario della cooperativa “Terra di Resilienza”, amici del Cilento impegnati da anni nella ricerca dei grani antichi.

«Come non essere orgoglioso?», aggiunge Vito Bardascino. «Voglio cominciare con una storia che risponde a una delle tue domande e cioè quanta fatica e quanto entusiasmo sta dietro a tutto questo, ma anche a che ora si sveglia la mattina Vincenzo. È una storia che coinvolge Vincenzo e Giacinto, un volontario dell’associazione, ma anche nostro grande amico. Te lo dico perché noi genitori, certe volte, poniamo per primi delle limitazioni ai nostri figli. Un giorno, per testare il forno in vista dell’inaugurazione, tutti e due sono rimasti dalle 10 del mattino fino alle 5 del giorno successivo a provare, perché doveva funzionare tutto alla perfezione. Potevo mai immaginare che sarebbe successa una cosa del genere? Altro miracolo, qualche giorno fa sono passate tre bambine davanti al forno, tornavano a casa dalla scuola. Le ho fermate e ho regalato loro un pezzo di pane, una panellina calda calda. Non riesco a descrivere, ma non lo dimenticherò mai, quella felicità che l’ho letto in quegli occhi che si sono immediatamente illuminati grazie a un gesto semplicissimo come quello».

La forza delle relazioni che diventa amicizia e porta ancora più lontano

«Conosco Vincenzo da cinque o sei anni», dice Giacinto Chirichella, «ci siamo conosciuti nell’ambito di percorsi associativi che avevano a che fare con gruppi orientati alla tematica della difesa della terra, del suolo e della sostenibilità. L’approccio iniziale con lui è stato sin dal primo momento molto empatico perché riesce a trasferire profonde emozioni quando si sintonizza sulla stessa frequenza della persona con cui si sta relazionando. E non è così scontato che avvenga. Vincenzo ha acquisito una tale esperienza, tanto che oggi può essere considerato un baluardo dal punto di vista del trasferimento della conoscenza di quelle buone pratiche che sono state un po’ abbandonate nel corso degli ultimi anni. Grazie a lui il centro storico di Eboli potrà diventare un modello da esportare».

Il delicato momento di infornare (foto di Pio Peruzzini)


Esperienza che regala ogni giorno di più emozioni e sorprese

«Per quanto mi riguarda è tutto veramente rivoluzionario», prosegue Vito. «Forse oggi non ci rendiamo conto del quello che è successo col tempo, magari lo metabolizzeremo nel tempo, ma è qualcosa che ha un impatto devastante. Dobbiamo, quindi, avere la forza di portarlo avanti anche dal punto di vista della sostenibilità economica. Così come ha funzionato per Vincenzo, tanti ragazzi e ragazze devono avere l’opportunità di realizzare i propri desideri, trasformando la loro ambizione in opportunità di orientamento e integrazione per tante altre persone che vivono condizioni di marginalità e fragilità sociale. Festeggiando l’apertura del forno abbiamo anche riflettuto sui temi dell’inclusione e su un modello di welfare generativo di comunità che possa sostituire il welfare di tipo assistenziale a cui siamo abituati. Da anni la “Fondazione Zancan” cerca di dirci che il welfare è generativo se è di comunità, diversamente resta un progetto individuale che non risponde al bisogno reale dei nostri figli, che di fatto restano soli. A ragazzi, a giovani come Vincenzo vengono negati tutti i diritti di cittadinanza che, invece, la Costituzione sancisce come progetto di vita personalizzato. Dopo che finisce la scuola dell’obbligo, ai nostri figli non viene riconosciuto più nulla, quindi dobbiamo fare in modo che esperienze come quella del nostro forno possa diventare un modello di welfare. Lo dico perché, se è possibile per Vincenzo, è possibile per tutti».

Oggi il pane di Vincenzo viene distribuito due volte alla settimana, creando ormai un’attesa che riempie di positive tensioni il centro antico di Eboli. «Solo due giorni perché il tipo di lievitazione è basato sulla lievitazione naturale con lievito madre che richiede tempi molto lunghi. Un giorno si prepara l’impasto» precisa China, «mentre il giorno successivo si dà forma al pane, quindi si si inforna e poi si aspetta che esca buono e croccante. Il bello è che le persone cominciano a raggiungerci a piedi da ogni parte della città per ritirare il proprio pane, ma rimane comunque anche la consegna a casa di amici a cui Vincenzo non vuole rinunciare. Poi ci sono tante altre esperienze, come quella con Slow Food, che permette a Vincenzo di essere presente all’interno dei mercati domenicali. Un pane sano e giusto, che noi chiamiamo “della felicità” perché siamo partiti da un sogno di Vincenzo che oggi rende felici, ma che porta proprio il concetto di salute e di benessere all’interno delle famiglie».

E che sia stato un ragazzo con la sindrome dell’X fragile a realizzare tutto questo, per qualcuno ha del miracoloso.

«Ha del miracoloso perché la sua forza ha creato dinamiche uniche. Intanto dopo una serata di convivialità attorno al forno» – racconta il padre di Vincenzo, «alcuni amici al centro storico hanno deciso di istituzionalizzarla e ogni ultimo mercoledì del mese si è stabilito che ognuno porterà qualcosa da mangiare per restare un paio di ore insieme. L’altra volta Vincenzo ha preparato la pasta con i ceci, quindi siamo certi che si cimenterà in altre performance gastronomiche. E poi, finalmente, con la Caritas parrocchiale del nostro centro storico ho realizzato il mio grande desiderio di attivare il “pane sospeso”, così come si fa con il caffè sospeso.  Era necessario che dessimo un segnale proprio noi. Al momento come associazione non abbiamo una vendita vera e propria, chiediamo solo un contributo minimo di cinque euro per le spese, ma c’è tanta gente che non si può permettere neanche questa piccola cifra. Ogni 15 giorni, quindi, insieme al pacco alimentare, vengono distribuite anche le nostre panelline e questo ci rende felici».

Poi c’è l’aspetto che riguarda la principale mission dell’associazione che, una volta alla settimana, accoglie un ragazzo di scuola secondaria superiore con sindrome autistica.

«La prima settimana i genitori mi dissero: «Guarda Vito, proviamo ma resisterà 10, 15 minuti al massimo, si stancherà e non ce la farà”. Ebbene, la prima volta è rimasto con noi due ore e mezza, così come la seconda giornata. Ora aspettiamo tutti il prossimo incontro».

E c’è Vincenzo, con la sua autonomia conquistata o forse solo tirata finalmente fuori.

«Eravamo convinti che avesse raggiunto un’autonomia, anche se non totale, ma un sabato pomeriggio io mi ero addormentato perché stanchissimo, c’erano 40 kg di impasto pronto che ci doveva consentire di fare almeno 48 panelle. Non ha svegliato nessuno ed è sceso al forno tutto da solo, ha controllato l’impasto e l’ha lavorato. Questo ha permesso, il giorno dopo, di portare il pane al mercato di Slow Food. Quando dico che mi sorprende e inorgoglisce ogni giorno di più, non ho ragione? ».

vita a sud


Il pane ha una grande potenza narrativa, è capace di illuminare gli occhi dei bambini

Luce che leggi anche nello sguardo di quegli anziani che, quando entrano nel forno di Vincenzo e lo vedono nella madia dove viene appoggiato, cominciano a raccontare di quando erano fanciulli e di quale sapore aveva il pane di allora.

«Il pane evoca memoria di ricordi, memoria di profumi. Tutto questo lo sto ricevendo ascoltando le persone», conclude Vito Bardascino, «e, proprio a proposito di ricevere, due sabati fa è venuta una signora, che abita nel centro storico e che sappiamo non vivere agiatamente, e mi ha chiesto un chilo di farina perché voleva fare il pane in casa. Me la voleva pagare, ma ovviamente le ho detto che non era necessario. Dopo tre ore è tornata con una manciata di cavati, aveva fatto la pasta, il cui valore, non sto qui a spiegarlo, è incommensurabile. Questo dovrebbe essere il senso di una società solidale, questo è ciò che stiamo provando a fare e spiegare attraverso Vincenzo con le sue mani imbiancate e con quel suo sorriso che ti rimanda ai campi di grano baciati dal sole. Se non è vita questa!».

In apertura Vincenzo con Carmelo Vignes, l’operatore che lo supporta (foto di Giulio Rivelli)


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