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Migranti

Strage di Cutro, la ferita aperta e il racconto di chi c’era

Al cimitero di Crotone giace Alì, un neonato mai reclamato da nessuno dei superstiti del naufragio del 26 febbraio del 2023, avvenuto a poche decine di metri dalla costa calabrese. Tra le vittime di quella strage c'era anche Rahim e suo fratello Shahid condivide questo ricordo: «Mi aveva chiamato per dirmi: "vedo la città, tra dieci minuti arriveremo”». Vincenzo Luciano, invece, è stato il primo soccorritore sulla spiaggia: «Quando ho preso in braccio un bambino, aveva ancora gli occhi aperti. Credevo di averlo salvato. Invece era già morto». E poi la voce dei sopravvissuti: «A distanza di un anno stiamo ancora soffrendo»

di Giulia Polito

Kr16m0: è la sigla che era stata assegnata al più piccolo delle vittime ritrovate nelle acque di Cutro. Un neonato mai reclamato da nessuno dei superstiti, ma diventato presto figlio dell’intera comunità. Lo conosciamo oggi come Alì e giace nel cimitero cittadino di Crotone. A lui, nei prossimi giorni, sarà dedicato un giardino dove verranno piantati 94 alberi, uno per ogni vittima restituita dal mare, tra cui tanti bambini. Altre invece non sono mai state ritrovate, nonostante le operazioni di ricerca siano durate mesi. 

Il naufragio di Cutro è una ferita ancora aperta sotto tanti punti. Ed è anche una spina nel fianco per il Governo e le istituzioni. Quel naufragio obbliga l’intera comunità europea ad interrogarsi sulle politiche migratorie attuate fino a questo momento. Ma richiama, soprattutto, ad un dovere di verità. «Mio fratello Rahim mi ha chiamato 10 minuti prima del naufragio e mi ha detto: “Vedo la città di Crotone, tra 10 minuti arriveremo”. Non poteva prevedere cosa sarebbe accaduto nei 10 minuti successivi». È il ricordo che Shahid Khan ha affidato ad un video messaggio  insieme a tanti altri familiari delle vittime e ai sopravvissuti al naufragio del 26 febbraio 2023 che rivendicano il diritto alla giustizia: «Il Governo italiano ci ignora, ma ha delle responsabilità». Il riferimento è all’indagine aperta dalla Procura di Crotone per omissione di soccorso.

«Noi non abbiamo niente da nascondere, siamo qua per chiedere verità e giustizia per i nostri cari». Lo ha dichiarato Alidad Shiri, afgano di origine ed oggi residente a Bolzano, nel corso di un evento – uno dei tanti previsti in queste giornate – promosso dalla Cgil, l’Arci Crotone, l’Anpi, le cooperative social Baobab, Kroton Community, Orizzonti Nuovi, Agorà Kroton e le Prociv Arci Isola di Capo Rizzuto. «Sono ancora tanti i dispersi», ha proseguito, «tra loro c’è anche un mio cugino di 17 anni che aveva un sogno: voleva vivere libero». Shiri, che ha un passato da profugo, ha le idee chiare circa le responsabilità delle istituzioni: «La strage di Cutro poteva essere evitata con una legge europea di ricongiungimento familiare. Ad oggi dal Governo ci sono state solo parole». Qui la sua storia: Strage di Cutro, Alidad: «Mio cugino, 17 anni, non lo troviamo né tra i vivi, né tra i morti».

È un appello, quello per il ricongiungimento familiare, che arriva anche da Amburgo, dove si trovano molti dei superstiti del naufragio. La voce di Samir Amirkheil rappresenta quella di tanti altri, provenienti dall’Afghanistan e dalla Siria, Paesi in cui la guerra e il regime talebano hanno mietuto vittime e costretto tanti a scappare. «Il cambio di regime del 2021 ha avuto effetti disastrosi sull’economia, sulla sicurezza, sulla cultura del mio Paese»,  racconta Samir. «I diritti delle persone, dei bambini, delle donne sono oggi invisibili. Noi siamo arrivati in Italia il 26 febbraio 2023, vittime di una catastrofe storica sulle coste di Crotone. A distanza di un anno, i sopravvissuti stanno ancora soffrendo. Senza un alloggio adeguato siamo costretti a soggiornare in vari centri per rifugiati e stiamo ancora aspettando di poter ottenere i documenti. Chiediamo al Governo tedesco e italiano e a tutta l’Unione Europea di aiutarci a riunire le nostre famiglie».

Sono solo 9 i sopravvissuti al naufragio di Cutro rimasti in Calabria, tra Crotone, Cosenza e Catanzaro. «Noi continuiamo a seguirli e a lavorare sul supporto legale per favorire l’ottenimento dei documenti», racconta Manuelita Scigliano, dell’associazione Sabir nonché referente della Rete 26 febbraio, il coordinamento che conta ad oggi circa 400 tra enti, organizzazioni e privati cittadini. «Quello che è successo a Cutro non può essere taciuto e grazie anche al coinvolgimento dei familiari delle vittime stiamo riuscendo a tenere alta l’attenzione. Il Governo è tornato spesso sul tema, ma con un atteggiamento autoassolutorio che non regge. La situazione sul fronte delle migrazioni è peggiorata, non possiamo continuare a trattare la questione con un approccio emergenziale e securitario, con riferimento al decreto Cutro e al decreto sui minori non accompagnati, ma come un fenomeno da governare». 


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Ascoltando le voci dai luoghi della strage, emerge un tema politico che riguarda lo scollamento profondo tra gli enti locali e le istituzioni nazionali. Vincenzo Voce, sindaco di Crotone, ne è un esempio: è grazie al suo impegno che le salme delle vittime sono potute restare all’interno della camera ardente del Palamilone e poi rimandate nelle rispettive terre d’origine. «È una tragedia che ha colpito tutti», commenta il sindaco. «Ma la Calabria in generale ha sempre risposto bene, così è stato anche in questa occasione. Non abbiamo registrato episodi di intolleranza, anzi abbiamo avuto la collaborazione da parte dei cittadini che si sono stretti attorno alle vittime e ai familiari. A livello istituzionale invece è diverso. Non è pensabile governare le migrazioni inasprendo le pene e costringendo le persone a vivere in clandestinità. Non dobbiamo togliere la protezione umanitaria, ma favorire l’integrazione». 

«Si parla spesso di programmazione dal basso e di gestione dei territori. Perché allora gli enti locali non vengono ascoltati quando si tratta di varare decreti e promulgare leggi?», fa eco Alessandra Mesoraca, responsabile delle Politiche Sociali del Comune di Crotone. «Una norma che impedisce l’ingresso dei richiedenti asilo nel Sistema accoglienza e integrazione – Sai, ad esempio, rappresenta un problema di ordine pubblico da gestire per un ente locale». Quando è arrivato l’allarme del Comune di Crotone, Mesoraca si trovava al ristorante con la famiglia. Una chiamata, poi l’uscita di corsa dal ristorante. Uno sguardo verso il mare dove stavano passando già le prime navette con le salme delle vittime. «Non dimenticherò mai», racconta, «i volti di quelle persone. Ricordo la disperazione di un ragazzo che non era riuscito a salvare il fratello più piccolo, una donna arrivata dagli Stati Uniti certa che sua madre fosse tra i sopravvissuti. Dopo un viaggio così lungo, l’ha invece trovata morta. In questo territorio non abbiamo mai vissuto una tragedia del genere, ma siamo stati testimoni di diversi sbarchi. Vedendo soprattutto i bambini piccoli, da soli, scendere dalle barche, mi sono chiesta spesso: per quale motivo un genitore dovrebbe affidare alla sorte la vita di suo figlio, se non per disperazione?». 

Proprio uno di questi figli è stato recuperato da Vincenzo Luciano, pescatore di mestiere, il primo soccorritore sulla spiaggia di Steccato di Cutro. «Quando l’ho preso in braccio aveva ancora gli occhi aperti. Credevo fosse ancora vivo, di averlo salvato. Un attimo dopo ho notato la schiuma alla bocca: ho capito che era già morto». Quella mattina Luciano stava andando in spiaggia per mettere al riparo le nasse della sua barca dal mal tempo. «Quando ho puntato i fari della macchina verso la spiaggia ho visto delle persone che mi chiedevano aiuto: dietro di loro, sulla battigia, le onde forti  stavano accatastando già i corpi». Insieme ai soccorsi, si è ritrovata anche l’intera comunità di Steccato di Cutro, con cornetti e tè caldo per rinfrancare i sopravvissuti. Insieme ai soccorritori, i cittadini di Steccato hanno cercato corpi tra le onde. «Sono rimasto lì anche nei giorni seguenti», racconta Luciano, «fino al 94esimo morto».  

A distanza di un anno, la comunità di Cutro e Crotone non ha dimenticato le vittime del naufragio, anzi ne porta avanti la memoria: attraverso percorsi conoscitivi dedicati alle scuole, un modo per spiegare ai bambini chi sono i migranti e perché scappano dai loro paesi, con una fiaccolata sulla spiaggia, con eventi sportivi solidali, con i convegni sul tema. In questa vicenda allora forse esiste anche una notizia positiva: sono proprio loro, i cittadini comuni, la loro fraternità. I servizi sociali, come racconta Mesoraca, hanno notato un incremento delle segnalazioni di condizioni di disagio dei migranti, non come atto di denuncia ma di responsabilità. «Per fare politica occorre maggiore umanità», commenta Luciano. «Meglio avere qualche medaglia in meno e salvare qualche bambino in più. Io non ho figli, ma se quel bambino che ho ripescato dal mare fosse stato vivo e avesse perso i genitori, avrei voluto tenerlo con me». 

Credit foto Giovanni Isolino/LaPresse


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