Parigi 2024
Sulla pista hightech che prepara i velocisti paralimpici
Manca poco all'inizio dei giochi paralimpici che a fine agosto vedranno riuniti nella capitale francese i migliori atleti del mondo. VITA ha potuto visitare Olympia, l'innovativo impianto sensorizzato progettato dall'Inail e dall'Università di Padova. Qui si allenano campioni come Alessandro Ossola e Martina Caironi
«Questa tecnologia in carbonio mi permette di riprovare emozioni bellissime che solo la corsa sa darmi». Dice Alessandro Ossola mentre si sfila la sua protesi sulla pista di atletica del Palaindoor di Padova dove si trova, insieme ad altri atleti paralimpici, per testare, insieme a un team multidisciplinare di ingegneri, tecnici e ricercatori del Centro protesi Inail e dell’Università, le protesi con cui gareggeranno ai prossimi Giochi paralimpici estivi di Parigi.
Dallo scorso novembre, infatti, il Palaindoor della città veneta è dotato della pista sensorizzata, che è stata battezza significativamente Olympia, risultato di un progetto biennale che ha coinvolto Inail, Comitato italiano paralimpico, Comune e Università di Padova. «Olympia è fra le pochissime installazioni permanenti in Europa», spiega Andrea Cutti, responsabile ricerca applicata del centro protesi Inail, «sette metri di pedane di forza, un primo sistema per la misura del movimento, simile a quello utilizzato nei film di animazione, un altro per la lunghezza del passo e la frequenza degli appoggi. Quando gli atleti corrono su questa pista gli ingegneri dell’Università di Padova misurano le sollecitazioni sia sugli atleti sia sulle loro protesi. I dati raccolti servono per sviluppate nuove ausili o migliorare quelli già in uso. Il tutto, anche, allo scopo di definire metodi standard per garantire la sicurezza degli atleti nella corsa e nel salto in lungo».
Gli olimpionici corrono sul tappeto blu, gli ingegneri elaborano i dati al computer e tutto intorno i tecnici smontano, avvitano, calibrano ogni pezzo. Un’officina di meccanica di precisione tra gli attrezzi della ginnastica artistica. Questo è il Palaindoor in questo caldo martedì di luglio.
Alessandro Ossola si siede e si sfila quella che lui chiama «la mia zampa». Sta dando il meglio di se in questi allenamenti ma non è la giornata migliore per lui. Gli hanno da poco comunicato che ad agosto a Parigi lui sarà fra le riserve.
«Serve rispettare le decisioni prese dall’alto», dice, «in questo momento sto solo pensando che ho un dovere non solo verso la mia squadra ma, anche, verso gli italiani. Perché credo che noi atleti saremo lì oltre che per portare a casa dei risultati, anche, per trasmettere dei messaggi importanti. In quei giorni saremo uniti, impegnati e pronti a metterci in gioco. Le paralimpiadi sono l’occasione per far capire al mondo che tutti possiamo andare oltre i nostri limiti».
Torinese, classe 1987, Ossola ha perso la gamba sinistra in un incidente stradale al quale, purtroppo, non è sopravvissuta la moglie. Un ragazzo solare, sportivo, pieno di voglia di fare e di vivere che, anche per queste sue caratteristiche, è stato recentemente nominato advocate della Andrea Bocelli Foundation.
«La vera ricchezza che abbiamo è il tempo», prosegue, «l’ho capito in quell’attimo del 29 agosto del 2015 in cui ho rischiato di non esserci più. A causa dell’incidente ho riportato un grave danno alla gamba sinistra. E dopo un mese di ospedale, di comune accordo con i medici, si è optato per un’operazione dopo la quale ora posso camminare e correre grazie a una protesi. Ho dovuto ricominciare tutto da zero. Mi piaceva giocare a calcio. Ho dovuto rinunciarci. Ho dovuto imparare di nuovo a camminare, a muovermi perché il mio equilibrio e la percezione del mio corpo erano cambiati. Lo sport è stato per me un forte stimolo. Ho iniziato con il golf, per poi passare allo snowboard e ora all’atletica».
Da quando ha iniziato a correre è stato un susseguirsi di vittorie. Alla sua prima Paralimpiade di Tokyo 2021, Ossola si classifica terzo in semifinale e sesto alla finale dei 100 metri. Nel 2022 conquista il record sui 200 metri e l’anno dopo il primo posto e record italiano sui 60 metri ad Ancona. Sempre nel 2023, ai Campionati mondiali di Parigi, è settimo ai 100 metri.
«Lo sport è una sfida e un’opportunità perché ti mette davanti a delle prestazioni che diventano l’occasione per porti obiettivi sempre più ambiziosi», spiega, «a me ha dato l’opportunità di ritornare a essere felice. Certo i sacrifici non mancano. Io lavoro tutto il giorno in un’azienda. Mi alleno in pausa pranzo, la sera e nel tempo libero. I primi mesi dopo l’incidente sono stati duri perché ho impiegato quasi mezzo anno prima di riuscire a vestire una protesi. La ferita era troppo profonda e faceva male».
Smette di parlare per un attimo. Risponde al saluto di un collega e prosegue: «quando entri nel mondo della “diversità” puoi averne paura perché non la conosci. Ma oggi considero la mia condizione come un’opportunità nuova. Un valore rispetto a un limite». Fa un’altra pausa. Si guarda intorno e cerca con lo sguardo qualcuno. Poi alza il dito e dice: «la prima protesi per correre me l’ha prestata lei» e indica la campionessa Martina Caironi che, pochi metri più in là fa stretching.
Lei per Parigi è stata convocata. E queste prove al Palaindoor servono proprio per affinare i movimenti della sua protesi. «Sarà la mia quarta paralimpiade» dice sorridendo. Nel 2007, all’età di 18 anni, a causa di un incidente in motorino, ha subito l’amputazione della gamba sinistra all’altezza del femore. Tre anni dopo ha iniziato a gareggiare.
«Gli atleti di solito hanno in comune una passione, noi abbiamo anche una disabilità. Quindi condividiamo soprattutto una condizione», spiega Caironi, «per noi la cooperazione è una cosa spontanea. Io so come si sente un atleta che non può correre perché non ha lo strumento giusto. Quindi se posso gli presto il mio. Ognuno di noi sa cosa vuol dire svegliarsi dopo un incidente e vedere tutto nero. Per questo, quando possiamo, ci aiutiamo. Ridiamo indietro il bene che abbiamo ricevuto noi quando eravamo in difficoltà».
Intanto le si avvicina un tecnico del suo team, le chiede di provare un’altra protesi, iniziano a parlare di numeri, oscillazioni, movimenti. Martina Caironi prova le sue protesi. Si inginocchia per spostare dei grossi materassi poggiati sulla pista e farsi spazio per provare a saltare sui suoi arti bionici.
«Parigi sarà un grosso test per tutti noi che abbiamo lavorato al progetto Olympia», conclude Cutti, «fin ora abbiamo sempre studiato gli atleti basandoci sulle loro sensazioni. Ora, con questa nuova pista, possiamo capire cosa succede all’interno del loro corpo quando corrono o saltano. Possiamo progettare protesi più performanti. Inoltre, il lavoro di ricerca che facciamo con questi atleti, è molto utile al centro protesi Inail, anche, per fornire tecnologie con prestazioni migliori ai cittadini che non sono atleti ma che hanno bisogno di una protesi».
In apertura Martina Caironi e Alessandro Ossola a Padova in un momento di pausa (foto dell’autrice per VITA)
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