La sanità del futuro
Telemedicina, quei polmoni sotto osservazione
Studio della pneumologia degli Istituti clinici Maugeri di Lumezzane mostra la fattibilità di nuove forme di organizzazione del lavoro in cui la gestione clinica del paziente resti in capo all'ospedale ma alcuni servizi a domicilio vengano appaltati a provider privati
Monitorare a domicilio l’andamento dei parametri respiratori in chi ha la necessità della ventilazione meccanica non invasiva consente di individuare in tempo reale, anche con il supporto dell’intelligenza artificiale, dei cambiamenti nei pattern respiratori del paziente e, quindi, di intervenire prontamente. Poter affidare a un provider privato la gestione del macchinario e della piattaforma di condivisione dei dati, e la fornitura di servizi nella fase di adattamento del paziente porta a un risparmio per le casse dell’ospedale. Lo mostra uno studio di fattibilità relativo alla collaborazione pubblico-privato, pubblicato sulla rivista Healthcare e condotto su 19 pazienti anziani, la maggior parte dei quali con broncopneumopatia ostruttiva Bpco in cura presso gli Istituti clinici maugeri di Lumezzane (Bs).
Le riacutizzazioni sono i peggioramenti repentini dei sintomi respiratori che sono responsabili della progressione della malattia e del peggioramento della qualità di vita. «Sappiamo che i dati raccolti al ricovero possono indicare in quali di questi pazienti mi dovrò aspettare una riacutizzazione, ma ci sono altri dati robusti che suggeriscono il valore predittivo dell’andamento respiratorio, capace di segnalare una incipiente acutizzazione, tanto che ne prevedo l’entrata nella pratica clinica in un futuro non lontano» spiega Michele Vitacca, capo del dipartimento di pneumologia riabilitativa degli istituti Maugeri e responsabile dello studio, nel quale «abbiamo affidato a un provider esterno all’ospedale la fase di adattamento del paziente alla macchina e l’aspetto logistico e tecnico di manutenzione dell’apparecchio e della piattaforma online di condivisione dei dati, mantenendo il controllo sull’intera gestione clinica del paziente, incluse le attività del fisioterapista respiratorio del provider, che opera al domicilio nella fase di adattamento. Questo ha comportato una riduzione del carico di lavoro, precisamente del 60% del tempo precedentemente speso dal personale sanitario ospedaliero, e del numero dei posti letto occupati».
Spiega lo pneumologo che in questo modo, appaltando al provider la gestione della macchina e alcuni servizi clinici, si ottiene, al contempo, «un’ottimizzazione dell’appropriatezza delle prestazioni: il monitoraggio mi restituisce l’aderenza del paziente e in caso di campanello d’allarme, a seconda della gravità, posso richiamarlo a visita in ospedale, senza dover attendere l’appuntamento ambulatoriale di controllo già fissato, o indirizzarlo in un pronto soccorso».
Lo studio ha preso in considerazione i primi tre mesi trascorsi dal paziente con insufficienza respiratoria cronica al domicilio, periodo di tempo necessario all’adattamento. L’homecare provider in questo studio è stato Vivisol, ma ce ne sono almeno quattro in grado di fornire i servizi (servizi forniti e affitto del macchinario sono pagati dall’ospedale). I pazienti si sono detti soddisfatti, non da ultimo grazie alla possibilità di stare al domicilio, soprattutto quando si abita in zone remote. Simili soluzioni di medicina a distanza sono realizzabili non solo al domicilio ma anche in strutture di social housing, sempre più frequenti in futuro considerata la trasformazione demografica di molti paesi.
L’assistenza a domicilio al momento esiste a macchia di leopardo e viene in alcuni casi erogata dal sistema sanitario. Lo studio è la prova di principio della fattibilità di questa nuova organizzazione, di cui esistono singoli casi simili di telemonitoraggio di alcuni parametri realizzati attraverso la collaborazione di più attori diversi, messi in atto attraverso convenzioni specifiche da parte in particolare da associazioni di pazienti con malattie neurodegenerative, sulle quali c’è tradizionalmente più attenzione che sulla Bpco. La gestione al domicilio estesa sarebbe opportuna per moltissime condizione, dalla nutrizione clinica, alla dialisi, alla cardiologia tanto nel monitoraggio, quanto nella riabilitazione.
È opportuno iniziare a indagare nuove vie di organizzazione sanitaria, dove non tutto può essere svolto nelle strutture ospedaliere, destinate a diventare hub in cui molto si imposta e si forniscono consulenze di secondo livello ai vari centri o strutture spoke sul territorio, spiega Vitacca, che aggiunge: «Analoghe forme di partenariato pubblico-privato sono state già introdotte in Francia, «dove da anni società di servizi private operano con un sistema di incentivi e disincentivi statali», Portogallo e Olanda, si stanno diffondendo in Spagna e nel Regno Unito. Oltre al vantaggio economico, otterremmo una standardizzazione del percorso, che smette di dipendere dal cap di residenza del paziente o dalla buona volontà di alcune persone, sanitari o meno, ricchi di iniziativa, e appropriatezza delle cure» ragiona Vitacchia, ribadendo più volte «l’assoluta necessità, che è proprio condizione senza la quale queste forme di collaborazione non posso esistere, che il controllo e il coordinamento rimanga all’ospedale per evitare qualunque dannosa deriva verso servizi di scarsa qualità o per pochi, contrariamente alla missione del sistema sanitario nazionale. Servirebbe una riorganizzazione completa del lavoro ospedaliero, mi immagino nuove figure professionali dedicate alla medicina a distanza e interi reparti virtuali nel senso che invece di posti letto ci siano postazioni dove i clinici si dedicano ai pazienti non fisicamente presenti».
Foto di Mockup Graphics su Unsplash
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