Scuola e lavoro
Tre proposte concrete in risposta all’aumento dei Neet
Uno studio di Gi Group Holding e Fondazione Gi Group presenta tre grandi linee d’azione per ridurre quello scollamento tra scuola e lavoro che nel nostro Paese ha raggiunto livelli drammatici. Uno: rafforzare la specificità professionale dei percorsi educativi. Due: decentrare in misura crescente il nostro sistema scolastico, dando alle scuole maggiori autonomie. Tre: introdurre un approccio innovativo ai percorsi di orientamento
I Paesi che investono sulla specificità professionale dei sistemi educativi riescono meglio degli altri a ridurre la distanza scuola-lavoro, contrastare il fenomeno Neet e sostenere l’ingresso e la permanenza dei giovani nel mondo del lavoro. È il caso di Germania, Svezia o Paesi Bassi, dove – a livello complessivo – misure chiave risultano la creazione o rafforzamento di un sistema duale, la costruzione di programmi di formazione professionale insieme alle aziende, la differenziazione dell’istruzione superiore attraverso percorsi professionalizzanti e un’attenzione focalizzata ai percorsi di orientamento.
Funzionale in questi Paesi è anche la presenza di un sistema scolastico decentrato, dove le scuole, pur finanziate dallo Stato, hanno ampie autonomie nella gestione delle risorse, nella definizione dei curricula e nella costruzione dei percorsi educativi.
È a partire da queste politiche che l’Italia dovrebbe lavorare in misura crescente per ridurre il drammatico scollamento tra scuola e lavoro e contrastare il fenomeno Neet – che riguarda il 20,8% dei giovani tra 15 e i 34 anni-, come emerge dallo studio internazionale “Insieme per un futuro sostenibile: giovani e lavoro” di Gi Group Holding e Fondazione Gi Group. (Si scarica da qui)
Tre grandi linee d’azione
Per ottenere anche in Italia questi risultati ci sono almeno tre grandi linee d’azione su cui si potrebbe investire sempre di più, spiega Stefano Colli-Lanzi, CEO e Founder di Gi Group Holding : «rafforzare la specificità professionale dei percorsi educativi, con un vero sistema duale o percorsi professionalizzanti costruiti insieme alle aziende (punto su cui sembra intervenire la manovra); decentrare in misura crescente il nostro sistema scolastico, dando alle scuole maggiori autonomie nella costruzione dei percorsi – un sistema decentralizzato promuove il confronto con le aziende e sostiene l’innovazione dei programmi agevolando la loro modifica in base ai cambiamenti del mercato del lavoro, come avviene in Olanda o Svezia, Paesi che anche grazie a questo hanno un bassissimo numero di NEET; infine, un approccio innovativo ai percorsi di orientamento, focalizzandoli sulla maturazione dei ragazzi in un contesto in continuo cambiamento. Riteniamo cruciale il tema dell’orientamento in Italia e proprio per questo ci stiamo impegnando con iniziative che si rivolgono agli studenti, ma anche a famiglie e docenti, per dar loro il giusto supporto in una fase delicata della costruzione dell’identità e del futuro dei giovani».
La ricerca, attraverso un’approfondita analisi che ha coinvolto alcuni dei massimi esperti in Italia di temi macro-economici, demografici, educativi e occupazionali[1] – ha mappato la condizione dei giovani in sette paesi rappresentativi del 70% del PIL dell’UE (Francia, Germania, Italia, Olanda, Polonia, Spagna, Svezia) e nel Regno Unito.
Quattro gli ambiti analizzati – demografia, rapporto tra scuola e lavoro, Neet, mercato del lavoro – con l’obiettivo di identificare le strategie messe in atto in ciascun Paese, analizzare il loro impatto nel favorire l’occupazione giovanile e quindi aprire una riflessione sull’applicabilità delle esperienze più virtuose al contesto Italia.
Focus su rapporto scuola-lavoro
Se esiste un’associazione diretta tra Neet e organizzazione del sistema formativo, lo studio evidenzia come non solo gli investimenti nella quantità di formazione ma anche nel tipo e nella qualità di formazione siano fortemente legati ai dati occupazionali. Investimenti virtuosi nell’istruzione terziaria portano infatti alla riduzione del fenomeno dei Neet e all’aumento dell’occupazione giovanile.
Regno Unito, Svezia e Paesi Bassi sono Paesi di riferimento: spendono di più nell’istruzione superiore – rispettivamente il 1,9%, 1,5% e 1,6% del PIL– e hanno una ridotta incidenza di giovani che non studiano e non lavorano. In particolare,
Paesi Bassi e Svezia sono quelli in cui vi sono meno Neet tra i 15 e i 34 anni (5,4% e 5,8%), fenomeno principalmente di breve termine. Inoltre, presentano i più alti livelli di occupazione – 88,3% e 86,1% contro il 71,1% italiano – e i più bassi livelli di inattività nella fascia 30-34 anni
Per ottenere effetti positivi, questi investimenti nella formazione – evidenzia lo studio – devono tuttavia essere indirizzati verso quei campi di studio che sono più legati al mondo del lavoro (come i percorsi universitari Stem) e alla differenziazione dell’istruzione terziaria, organizzando percorsi tecnici (e quindi non accademici) che forniscano competenze immediatamente spendibili e si avvalgano del coinvolgimento diretto delle aziende nella progettazione di corsi e materie.
Ma c’è di più: se in Germania è il 46% dei giovani 25-34anni ad avere un diploma professionale (vocational degree) e nei Paesi Bassi uno su tre (30%), in Italia la percentuale non è molto dissimile, al 35%, ma qui (come in Francia e Polonia) la formazione professionale avviene nelle scuole, senza il sostanziale coinvolgimento delle aziende, il che porta ad ampi mismatch con le competenze richieste poi dalle imprese.
Decentrare il sistema scolastico
La ricerca sottolinea inoltre come la profonda distanza tra scuola e lavoro in Italia abbia alle radici anche la centralizzazione del nostro sistema scolastico. Un sistema decentrato, al contrario, favorisce l’innovazione nei programmi e agevola il confronto e la contaminazione con le aziende, risultando meno statico, e quindi più facilmente e velocemente modificabile per tener conto delle evoluzioni di contesto e di mercato.
I Paesi con sistemi meno centralizzati sono, infatti, anche quelli con un più alto tasso di occupazione e una minore presenza dei Neet.
È il caso di nuovo dei Paesi Bassi, così come – pur nelle loro differenti specificità – dell’Inghilterra, dove 2 decisioni su 3 in materia educativa sono in capo alle scuole, e della Svezia, che da un sistema centralizzato a partire dagli anni ’90 ha avviato il passaggio a uno decentralizzato quale quello odierno.
Il fattore età
Per un’evoluzione in positivo del quadro italiano anche l’età rappresenta un fattore da considerare. Se nel nostro Paese la scelta del percorso scolastico degli alunni avviene
a 14 anni, in Germania e Paesi Bassi è tra i 10 e i 12 anni e avviene sulla base dei risultati scolastici e delle valutazioni degli insegnanti, con il rilascio di un consiglio di orientamento scolastico “vincolante”.
«Ritengo positivo il fatto che il Governo abbia messo mano a una riforma degli istituti tecnici e professionali e il Ddl presentato lunedì nel Consiglio dei Ministri denota la volontà di lavorare per ridurre quello scollamento tra scuola e lavoro che nel nostro Paese ha raggiunto livelli drammatici», afferma Colli-Lanzi – «Se guardiamo ai Paesi esteri che prima e meglio di noi sono riusciti nell’intento, scopriamo – come dimostra il nostro studio internazionale appena pubblicato – che esiste una correlazione diretta tra l’organizzazione del sistema formativo e il sostegno all’occupazione giovanile». Riferimenti in questo senso sono per esempio Paesi Bassi e Germania.
Ritengo positivo il fatto che il Governo abbia messo mano a una riforma degli istituti tecnici e professionali e il Ddl presentato lunedì nel Consiglio dei Ministri denota la volontà di lavorare per ridurre quello scollamento tra scuola e lavoro che nel nostro Paese ha raggiunto livelli drammatici
Stefano Colli-Lanzi, CEO e Founder di Gi Group Holding
«La limitata partecipazione dei giovani al mondo del lavoro è un problema serio e complesso, che in particolare nel caso dei Neet, come rivela la fotografia scattata in questo studio, può generare ricadute molto negative e portare fino alla disaffezione al lavoro e a fenomeni di esclusione sociale e perdita di identità», aggiunge Chiara Violini, Presidente di Fondazione Gi Group.
Foto in apertura, Bruce Mars by Unsplash
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