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Direttive

Ue, luci e ombre della filiera responsabile

Arriva l'accordo europeo sulla Corporate Sustainability Due Diligence Directive - Csddd, la direttiva che promette di tutelare ambiente e diritti umani nella catena del valore di alcune aziende (150 milioni di fatturato, 500 dipendenti che scendono a 250 in agricoltura, minerario e costruzioni). Accadrà con la trasparenza e il dialogo nei confronti degli stakeholder. Il possibile impatto sul Codice degli appalti e l'esclusione del settore finanziario (su richiesta francese e appoggio italo-ispanico-slovaco), dove peraltro insistono diverse direttive simili delle autorità di vigilanza continentali

di Pietro Negri*

Sulla Corporate Sustainability Due Diligence Directive – Csddd, è stato recentemente raggiunto l’accordo tra Parlamento e Consiglio Ue. Si tratta della direttiva in materia di responsabilità sociale e ambientale nella cosidetta “catena del valore”, vale a dire nella filiera che parte dagli acquisti e arriva fino alla distribuzione dei prodotti. Sarà davvero in grado di proteggere l’ambiente e i diritti umani? Lo abbiamo chiesto all’avvocato Pietro Negri, sustainability advisor, nonché segretario dell’Associazione italiana broker di assicurazione e riassicuraizone – Aiba. Negri ha presieduto il Forum per la Finanza sostenibile dal 2017 al 2020.

In molti si sull’efficacia e il potenziale in termini di difesa dei diritti umani e dell’ambiente dell’accordo provvisorio che, il 14 dicembre scorso, Consiglio e il Parlamento europeo hanno raggiunto. Si tratta di un’intesa sulla bozza di direttiva che introduce obblighi per le grandi imprese di fornire informazioni e garantire un dialogo costante con gli stakeholder in merito agli impatti negativi, effettivi e potenziali, sui diritti umani e sull’ambiente, generati dalle proprie attività, dalle filiali e dai loro partner commerciali, nell’ambito dell’intera filiera economica.

Pietro Negri

Le nuove norme si applicheranno alle grandi imprese europee con più di 500 dipendenti e un fatturato netto a livello globale di almeno 150 milioni di euro; alle aziende con più di 250 dipendenti che operano nel settore tessile, nell’agricoltura, nel settore dei minerali e nelle costruzioni, considerate particolarmente impattanti sui fattori di sostenibilità ambientale e sociale. Decorsi 3 anni la normativa verrà applicata anche nei confronti delle imprese extra-Ue, ma solo se verrà generato un fatturato netto di almeno 300 milioni di euro in ambito Ue.

Sanzioni fino al 5% del fatturato netto

Il testo impone alle imprese l’adozione di piani strategici e di sviluppo del business compatibili con l’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici e definisce il quadro sanzionatorio (che può arrivare fino al 5% del fatturato netto !!) e di responsabilità civile – semplificando l’accesso ad azioni giudiziarie, anche di tipo inibitorio, nei loro confronti da parte dei soggetti lesi o dei loro enti esponenziali (sindacati, associazioni dei consumatori, ecc..).

È previsto, inoltre, che se le imprese rilevano comportamenti non in linea con i principi della direttiva imputabili a imprese fornitrici o che si collochino a valle del proprio processo produttivo (distributori, ecc..), devono intervenire tempestivamente anche ponendo fine al rapporto commerciale, qualora non sia possibile fare altrimenti.

Il rispetto della direttiva, infine, potrebbe essere considerato un criterio per l’aggiudicazione di appalti pubblici e concessioni, come già oggi previsto in Italia dall’art. 108 del d.lgs. n. 36/2023 il cosiddetto Codice degli appalti[1].

Tafazzi e noi

Nella stesura definitiva dell’accordo – con una mossa che ha suscitato il malcontento di alcuni Stati membri – il Governo francese (con l’appoggio di quello italiano, spagnolo e slovacco) è riuscito a inserire l’esclusione del settore finanziario dall’applicazione per almeno tre anni, lasciando ai singoli Stati la possibilità di  includerlo a livello nazionale in sede di recepimento (sic ! …Tafazzi non avrebbe potuto fare di meglio! Perchè nessuno estenderà l’applicazione alle proprie banche nazionali, che altrimenti verrebbero penalizzate in termini di maggiori oneri rispetto alle altre, n.d.a.) e di rivedere tale decisione, a livello collettivo Ue, sulla base di una futura valutazione d’impatto.

L’esclusione è stata giustificata spostando “a monte” (upstream) l’attenzione sul concetto di “catena del valore” e concentrandosi più sulla catena di approvvigionamento delle imprese piuttosto che non sulle conseguenze generate “a valle” (downstream) rendendo in tal modo – di fatto – poco significativa la rendicontazione rilasciata da un’impresa finanziaria rispetto alle attività finanziate.

Nel settore finanziario già presenti iniziative simili

Tale soluzione ha suscitato preoccupazioni da parte di diversi stakeholders dal momento che i rischi di due diligence più importanti per gli intermediari finanziari di solito risiedono in ciò che accade con il denaro che prestano e che impiegano attraverso i propri investimenti. Diversi Stati europei hanno manifestato perplessità proprio in considerazione dell’enorme rilevanza che le istituzioni finanziarie rivestono nell’implementazione della transizione in atto – ribadita in tutti gli atti della Commissione, a partire dal Green Deal – verso un sistema economico libero dalle fonti fossili e più inclusivo e rispettoso dei diritti. La decisione appare, peraltro, anche un po’ fuori tempo visto il proliferare di iniziative, da parte delle Autorità di vigilanza di settore, che considerano sempre più rilevanti i rischi di sostenibilità (in particolare, quelli climatici e di “transizione”) nella definizione dei requisiti di stabilità: è di fine novembre l’iniziativa del Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria per capire quale formato di reporting renderà più facile valutare il «rischio di concentrazione» o quanto sono esposti gli istituti a un particolare gruppo o gruppi di clienti; oppure l’analoga iniziativa avviata dalla European Insurance and Occupational Pensions Authority – Eiopa per quanto concerne le imprese di assicurazione.

La finanza dell’acquedotto

Il sistema finanziario va considerato, volendo utilizzare un’immagine evocativa, come un gigantesco sistema paragonabile a un acquedotto in grado di trasportare risorse per alimentare attività e iniziative economiche ovunque possa spiegare i suoi effetti. È importante conoscere la sorgente, le sue caratteristiche e la sua purezza, ma molto più rilevante, per gli stakeholder, è conoscere come la risorsa venga utilizzata “a valle”, da chi e come e, soprattutto, se essa venga utilizzata e distribuita nel rispetto dell’ambiente e di tutti coloro che ne beneficiano.

  • sustainability advisor

    Foto di apertura di Cecilia Fabiano/ LaPresse.


[1] Sul punto di recente cfr. Consiglio di Stato Sez. III, 26 settembre 2023, n. 8512 che si è espresso favorevolmente su criteri premiali delle stazioni appaltanti nei confronti di offerte migliorative che si basino su fattori ambientali e sociali presentante dalle imprese partecipanti alla gara.


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