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Cooperazione internazionale

Vertice Italia-Africa: poche idee, pochi soldi e poco consenso

Giorgia Meloni e il suo Governo dimostrano una certa pervicacia nel proporre idee e piani contando solo sull’esercizio del potere sulle strutture dello Stato senza accompagnare questo potere con un adeguato consenso e coinvolgimento di tutti gli attori. È anche il caso del Piano Mattei. Le critiche degli africani e della società civile

di Riccardo Bonacina

Vertice Italia - Africa nell'Aula del Senato

Una volta di più Giorgia Meloni e il suo Governo dimostrano una certa pervicacia nel proporre idee e piani contando solo sull’esercizio del potere sulle strutture dello Stato senza accompagnare questo potere con un adeguato consenso e coinvolgimento di tutti gli attori.

È stato questo il caso anche del “Piano Mattei per l’Africa”, ideona sbandierata fin nelle prime settimane di Governo e che a valle del pretenzioso vertice Italia – Africa (presenti con capi di Governo, presidenti o ministri 25 Stati africani su 54) non è ancora del tutto leggibile se non nelle buone intenzioni di una partnership “non predatoria” (da qui il nome Mattei) con il continente africano, e sul fatto che già esiste una cabina di regia che dovrà scrivere una relazione sullo stato di attuazione del piano da sottoporre al parlamento entro il 30 giugno di ogni anno e una “struttura di missione”, insediata presso la presidenza del Consiglio e composta da almeno 19 funzionari che dovrà seguire l’avanzamento dei lavori coordinata da Fabrizio Saggio, ex ambasciatore italiano in Tunisia e consigliere diplomatico di Meloni.

Cosa ci ha detto il vertice del Piano?

  • Gli interventi saranno focalizzati su 5 settori: istruzione e formazione, sanità, agricoltura, acqua ed energia. Si tratta di «aiutare il continente a crescere e prosperare partendo dalle sue immense risorse», ha detto la premier, e l’Italia interverrà con il meglio delle aziende a partecipazione statale, tra cui Enel, Eni, Terna, Cdp, Snam, Leonardo e Fincantieri, i cui vertici erano presenti al summit. Interventi che vogliono anche scongiurare le morti in mare e ridurre l’immigrazione irregolare. “Vogliamo creare più lavoro in Africa”, così “daremo un colpo decisivo ai trafficanti di esseri umani”, ha sintetizzato il ministro degli Esteri Antonio Tajani.
  • I progetti. Tra quelli citati, ci sono l’interconnessione elettrica Elmed, tra Italia e Tunisia, il nuovo corridoio H2Sud per il trasporto di idrogeno dal Nord Africa all’Europa centrale, il potenziamento delle stazioni di depurazione delle acque non convenzionali in Tunisia e il risanamento e la bonifica del sistema delle acque in Etiopia. Altri progetti pilota riguardano Marocco, Kenya, Algeria, Mozambico ed Egitto.
  • Come si finanzierà? Con «5,5 miliardi di euro tra crediti, operazioni a dono e garanzie in 5 anni: circa 3 miliardi dal fondo italiano per il clima e 2,5 miliardi dal fondo per la Cooperazione allo sviluppo», ha spiegato la presidente del Consiglio. L’obiettivo è creare un Fondo internazionale multilaterale presso la Banca di Sviluppo africana, i cui soci fondatori saranno Italia ed Emirati arabi (con 100 milioni ciascuno); dovrebbero poi seguire altri donatori, fra cui l’Arabia Saudita e forse l’Unione europea che, come ha detto la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, vuole integrare il piano italiano nello European Global Gateway, un progetto per le infrastrutture da 150 miliardi.

Che giudizio dare?

Guglielmo Micucci, direttore generale di Amref Italia già alla vigilia del Vertice aveva colto il problema «Quel “per” ti mette già nella posizione in cui sarai tu quello che dovrà aiutare. E quindi ritorniamo a quell’approccio di assistenzialismo e da ex colonialisti che ormai gran parte del mondo occidentale ha superato perché ci si è resi conto che bisogna lavorare insieme e costruire relazioni paritarie. E mi pare che con il Piano Mattei non ci siano ancora i presupposti, infatti: nella cabina di regia o nelle interlocuzioni fatte finora per la costruzione del Piano, l’Unione Africana è stata coinvolta? Qualcuno dei ministri degli esteri dei Paesi africani è stato coinvolto? Tra due giorni il Piano sarà presentato: ma è stato costruito con gli africani oppure no?» (leggi l’intervista)

Domande a cui in modo diretto e franco ha risposto il chadiano Moussa Faki Mahamat, presidente della Commissione dell’Unione Africana, «Signora presidente del Consiglio, sul piano Mattei avremmo auspicato di essere consultati – ha detto al Senato Faki dopo aver ascoltato le parole del governo italiano -. L’Africa è pronta a discutere contorni e modalità dell’attuazione. È necessario passare dalle parole ai fatti, non ci accontentiamo di promesse che poi non sono mantenute». Faki ha ringraziato la presidente del Consiglio per «l’interesse costante per una cooperazione equa e produttiva». Ma poi ha sottolineato: «Le nostre priorità derivano dalle sfide molteplici che il nostro continente deve affrontare e dagli ostacoli alla loro realizzazione, dal debito al cambiamento climatico, alla crescita degli estremismi violenti e del terrorismo, oltre all’instabilità istituzionale, al deficit di finanziamenti adeguati». E sull’arresto dei flussi migratori, principale problema italiano offre il punto di vista dell’altra sponda. «L’Italia è il principale punto di arrivo dei flussi e l’emigrazione dei giovani nel pieno delle forze è un dramma per l’Africa, che si può affrontare creando un nuovo modello di sviluppo e non con barriere securitarie e di ostilità da parte europea. Condividiamo la preoccupazione di trovare una soluzione sostenibile a un fenomeno tragico e ricorrente. Per noi la strategia per prevenire le partenze è trasformare le aree di povertà in uno spazio di prosperità e di realizzazione»«L’Africa – ha concluso Faki – non vuole tendere la mano, non siamo mendicanti. Noi peroriamo un cambiamento di paradigma per un nuovo partenariato che possa aprire la strada ad un mondo più giusto se vogliamo costruire pace e prosperità».

E le Organizzazioni della società civile che dicono?

Sono molte le preoccupazioni espresse in una lettera al presidente della Repubblica, alla premier Meloni e al ministro degli esteri Tajani, da un cartello di organizzazioni africane inquiete anche per l’intitolazione del piano a Enrico Mattei (fondatore dell’Eni, major italiana del petrolio e del gas controllata dallo Stato), avvertono, non lascia dubbi sul fatto che il suo obiettivo principale sia quello di espandere l’accesso dell’Italia al gas fossile dall’Africa all’Europa e di rafforzare il ruolo delle imprese italiane nello sfruttamento delle risorse naturali e umane dell’Africa (qui la lettera).

Dalle Osc italiane segnaliamo due voci, quella di Gianpaolo Silvestri Segretario generale dell’Avsi che dice: “Il PianoMattei può rappresentare un’opportunità a condizione che non sia un piano del governo ma sia coinvolta tutta la società civile italiana, dalle università, alle imprese agli enti territoriali”.  

Richiesta ribadita anche da Ivana Borsotto, presidente della Focsiv (Federazione degli organismi di volontariato internazionale di ispirazione cristiana): «Con la legge 125 del 2014, il legislatore ha affermato che “la Cooperazione allo sviluppo è parte integrante e qualificante della politica estera dell’Italia”. Parte vuol dire che non è separata, avulsa. Integrante vuol dire che senza la cooperazione la politica estera non è completa. Qualificante vuol dire che la cooperazione le aggiunge significato e valore. Politica estera che oggi più che mai, dice chi siamo e come vogliamo stare al mondo. Per questo auspichiamo sinceramente un effettivo coinvolgimento della rappresentanza del sistema della cooperazione internazionale italiana per affiancare al vertice le politiche dal basso. Riguardo poi i 2,5 miliardi di finanziamento del Piano che la premier ha detto venire dai soldi per la cooperazione allo sviluppo chiediamo che tali risorse siano aggiuntive e non sottratte a quelle esistenti».  

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