Povertà educativa
Catania, San Cristoforo: dalla tragedia del 1976 al patto per il futuro
Un patto educativo e di sviluppo sociale che punta a combattere la povertà educativa che da sempre piega la comunità di San Cristoforo, nella periferia catanese. È stato siglato nella sede de "La Città dei Ragazzi", scegliendo come data simbolo quella in cui 49 anni fa vennero uccisi dal clan Santapaola quattro adolescenti

È la notte del 7 luglio 1976, quando quattro adolescenti – Giovanni La Greca e Lorenzo Pace (14 anni), Riccardo Cristaldi e Benedetto Zuccaro (15 anni) – vengono brutalmente assassinati dal clan Santapaola, ritenuti colpevoli di aver scippato la madre di Nitto Santapaola che, nella caduta, si frattura un braccio. Un pluriassassinio che ha come sfondo San Cristoforo, quartiere della periferia catanese nel quale il disagio è sempre stato presente e, oggi come ieri, colpisce i più giovani, gli adolescenti, ma non solo.
Non esistono bambini cattivi che commettono reati. Esistono adulti che non sono stati in grado di accompagnarli nel loro percorso di crescita
Marco Barbarossa, presidente de “la Città dei ragazzi”
Ecco anche perchè la scelta della stessa data, a 49 anni di distanza, per sancire ufficialmente il Patto Educativo Territoriale e di Sviluppo Sociale della Comunità di San Cristoforo. Un impegno condiviso da scuole, famiglie, istituzioni, associazioni e cittadini per ricucire il tessuto educativo e sociale del quartiere. A ospitare questo importante momento di coesione “La Città dei Ragazzi“, luogo simbolico fondato subito dopo la guerra da padre Santo D’Arrigo e oggi tornato a essere punto di riferimento grazie all’impresa sociale Keras e all’ente I.C.A.M.
Un’iniziativa frutto di un percorso partecipato e di mesi di confronto, che ha come obiettivo quello di non lasciare più nessun bambino indietro. Ed è come un filo rosso quello che lega passato e presente, sottolineando l’importanza che la memoria possa essere il giusto stimolo per un’azione condivisa e lungimirante.
«Oggi parliamo di povertà educativa», afferma Marco Barbarossa, responsabile de “La Città dei Ragazzi”, «ma sbaglieremmo se parlassimo solo di bambini. Siamo davanti a una povertà educativa diffusa, perché parte assolutamente dai genitori, che molto spesso sono giovanissimi, ragazzi anche di 25-30 anni. Sovente, poi, le famiglie sono monogenitoriali, perché o il papà è in carcere o non c’è neanche il nonno, quindi a volte si ritrovano a vivere insieme mamma, nonna e figli. Sono delle famiglie un po’ particolari, molto allargate, in cui credo che sia difficile, per un genitore che non ha né un’educazione, né una forza economica importante, sostenere i figli, educarli a vivere la vita, a poter affrontare un contesto sociale come quello di San Cristoforo, che sicuramente è più facile che ti indirizzi verso la devianza che verso le buone pratiche. E la scuola, che dovrebbe un po’ sopperire alla mancanza dei genitori, non ce la fa, perché è trincerata dentro le sue mura, al cui interno si verificano sempre episodi negativi».
Un isolamento neanche tanto metaforico perchè i 20mila abitanti di San Cristoforo si potrebbe dire che vivano dentro un ghetto, in quanto il quartiere è circondato da mura.
«Che le persone ci stiano anche bene qui dentro è facile da capire», prosegue Barbarossa, anche presidente dell’associazione “Spazio 47” e di “Keras”, l’impresa sociale che 3 anni fa ha rifondato “La Città dei Ragazzi”. «La tendenza è quella di fare quel che si vuole perchè la legge non esiste e le poche realtà sociali presenti faticano a contrastare questo fenomeno. Perchè questo? Ma perchè è un quartiere abbandonato, un quartiere in cui la presenza delle istituzioni è praticamente nulla. Prova ne è che hanno spostato da poco anche il centro territoriale che era nel cuore del quartiere e l’hanno portato non dico lontanissimo, ma più vicino alle vecchie fabbriche che stanno ai bordi del quartiere. Era fondamentale in quanto il primo punto in cui si poteva andare a chiedere informazione per qualsiasi cosa, c’era anche la sede del primo municipio. Un contesto importante anche perchè a San Cristoforo i luoghi pubblici non esistono, non ci sono parchi, piazze, punti di ritrovo. Quei pochi esistenti, poi, sono stati distrutti o vandalizzati. Avevano anche provato a spostare l’unico commissariato di Polizia che abbiamo sul territorio. Di cosa parliamo, dunque?».
«Diciamo che le fragilità di questi territori, penso a Librino, sono molto similari. Si tratta principalmente di una grave crisi sociale», aggiunge l’assessore comunale alla Pubblica Istruzione, Andrea Guzzardi, «che sporge in una povertà educativa importante. Si sta cercando, con il tantissimo lavoro di tutti, di far diminuire quel gap con i più piccolini, che comunque hanno una voglia di riscatto. Proprio a San Cristoforo, grazie al Caivano bis, stiamo investendo sui giovani. Nel progetto vi sono la creazione di due nuove palestre in alcune scuole dove le palestre non esistevano, come anche di un centro culturale. Si sta cercando di ripartire dai ragazzi, creando spazi per loro, per cercare di colmare quel gap che si crea e aumenta con l’alto tasso di povertà educativa. Perché un patto funzioni davvero, però, deve nascere da relazioni autentiche, da un ascolto reciproco che diventi fiducia. Solo insieme possiamo auspicare un vero cambiamento».
Lo pensa anche Maria Pia Fontana, direttrice dell’Udepe, sottolineando come «educare significhi anche imparare a contenere e modulare le emozioni, per affrontare rabbia, violenza e odio con strumenti diversi». Proprio l’Udepe ha attivato percorsi che trasformano l’esperienza del carcere in un percorso educativo, promuovendo una cultura che va oltre il conflitto.

Fondamentale, quindi, la nascita e stipula di un patto che punta a potenziare la presenza e il lavoro nel territorio
Due gli assi strategici del patto: da un lato, la formazione dei minori attraverso il contrasto alla dispersione scolastica, la promozione della legalità e l’inclusione; dall’altro, lo sviluppo del territorio, con azioni mirate a combattere l’illegalità, la povertà educativa, l’abbandono e il degrado urbano.
Il tutto, guardando con una visione che mette al centro la partecipazione civica, la collaborazione tra pubblico e privato e la valorizzazione dei luoghi educativi, culturali e sportivi. Tenendo sempre ben presente che il Patto non impone vincoli economici: è un accordo aperto e volontario, basato su risorse condivise e su una governance articolata in due organismi – uno di programmazione e uno di gestione – che si riuniranno periodicamente per monitorarne l’attuazione.
«Devo essere sincero», conclude Barbarossa, «non so che effetto potrà avere nel concreto, però è un passo, secondo me importante, in cui ci si dice, in qualche modo, che non basta investire denaro, ma bisogna riconoscere i presidi sociali, crearne degli altri e affidarsi a chi, ripeto, il quartiere lo vive da sempre».
Le foto sono state fornite dall’ufficio stampa de “La Città dei Ragazzi”
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