Inclusione sociale
“Le mani in pasta”, così le detenute di Cagliari imparano un mestiere e sognano un lavoro
Un gruppo di donne della sezione femminile della Casa circondariale di Cagliari-Uta ha imparato le tecniche per la preparazione della pasta fatta a mano. Un’esperienza professionale e umana che la stessa chef Laura Sechi, che ha seguito il corso, definisce «arricchente ed entusiasmante. Mi piacerebbe proporre un secondo step più strutturato e non escludo che le migliori allieve possano diventare fornitrici di fiducia di una serie di prodotti di qualità, sia per il mio ristorante e sia per altre realtà del territorio»

Ravioli campidanesi con la pasta all’uovo, ripieni di ricotta e spinaci; culurgiones ogliastrini con ripieno di patate, menta e Pecorino romano; raviolini dolci di ricotta e limone; panadas di Oschiri; torta al cioccolato. Un menu di tutto rispetto, alla base del buffet proposto dalle detenute della Casa circondariale di Cagliari-Uta “Ettore Scalas”, che hanno terminato il corso “Le mani in pasta”. Un modo di dire piuttosto comune, negli ambienti giudiziari, ma che stavolta era un titolo quanto mai azzeccato perché il percorso compiuto da cinque detenute ha permesso loro di imparare a preparare piatti a base di pasta fresca e dolci. Numeri piccoli, è vero, ma dovuti agli spazi ristretti della cucina piuttosto che alle poche adesioni delle donne che stanno scontando le rispettive pene in carcere. Le partecipanti hanno conseguito anche l’attestato Haccp, spendibile sul mercato del lavoro.

Il progetto, proposto dalla chef cagliaritana Laura Sechi in collaborazione con l’associazione “Socialismo diritti e riforme – Sdr” e sostenuto in maniera convinta dalla direzione dell’istituto, è durato cinque mesi circa. «È stato un corso che offrirà concrete possibilità di lavoro, una volta che le detenute usciranno da questa struttura», sostiene Pietro Borruto, dallo scorso mese di maggio direttore della Casa circondariale. «Si inserisce nel dettato costituzionale italiano: la Carta, all’articolo 27, precisa che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. In accordo con la presidente del Tribunale di sorveglianza di Cagliari, cercheremo di incrementare questa tipologia di tirocini e offrire concrete opportunità ai nostri detenuti, uomini e donne, per il momento in cui torneranno alla piena libertà».

«Era un sogno che avevo nel cassetto da tempo», confida la chef Laura Sechi, titolare del ristorante “Vitanova” nel centro storico di Cagliari. Lei, insieme alla sua collaboratrice pasticcera Luisa Deligia, ha curato in ogni dettaglio questa esperienza tra le mura della sezione femminile che accoglie 34 detenute (gli uomini sono 674). L’amicizia di lunga data con Maria Grazia Caligaris, presidente di Sdr (una realtà del Terzo settore che, da decenni, è molto attiva in tutta la Sardegna), ha consentito di presentare una proposta al precedente direttore della struttura, Marco Porcu, e partire con una sperimentazione che ha dato un enorme entusiasmo alle partecipanti.
«Siamo pienamente soddisfatte dei risultati ottenuti», sottolinea Sechi. «La bontà delle pietanze servite oggi, al termine della conferenza stampa, credo che sia la migliore testimonianza della qualità raggiunta durante questi mesi di lavoro. Hanno imparato a lavorare la pasta fresca, utilizzata sia per i primi, sia per alcuni secondi e i dolci: un valore aggiunto, non tutti i ristoranti possono vantare personale che prepari piatti fatti con la pasta fresca. E questo requisito potrà essere presentato durante la ricerca di un lavoro. Inoltre, hanno ricevuto l’attestato Haccp di autocontrollo e sicurezza degli alimenti, ormai indispensabile per poter operare in questo settore».

Un’esperienza professionale e umana che la stessa chef Sechi definisce «arricchente ed entusiasmante, perché fatta in un contesto speciale. Mi piacerebbe proporre un secondo step più strutturato, ancora tutto da elaborare, ma non escludo che le migliori allieve possano diventare fornitrici di fiducia di una serie di prodotti di qualità, sia per il mio ristorante e sia per altre realtà del territorio. Possono infatti avviare una impresa alimentare domestica, vale a dire una via imprenditoriale che non comporta ingenti investimenti ma che può dare enormi soddisfazioni. Da questo punto di vista ritengo importante la lezione teorica sull’autoimprenditorialità tenuta dalla commercialista aziendalista Cristina Decortes, la quale ha fornito utili elementi per potersi muovere con le adeguate competenze nel mercato del lavoro».
In questo senso si sono spese anche le rappresentanti della Crai Supermercati Sardegna, Maria Giovanna Ibba e Francesca Ledda, una società benefit che insieme alla Grendi Holding Spa e alla Fondazione di Sardegna ha sostenuto l’iniziativa. «Queste ragazze (quattro sarde e una napoletana, donne intorno ai 40 anni di media, ndr) si sono rivelate fortemente motivate e attente, hanno seguito la parte teorica prendendo appunti e scambiandosi impressioni, a volte in maniera vivace ma sempre appassionata», rivela Sechi. «Quella passione che anima chi non apprende una tecnica solo per se stessa ma perché sente di condividere con altre persone il frutto del suo lavoro».

Le partecipanti, nel ricevere gli attestati dalle mani della responsabile dell’area educativa della Casa circondariale, Giuseppina Pani, non hanno voluto rilasciare dichiarazioni per motivi di comprensibile privacy. Ma l’emozione era evidente, nei loro occhi. A volte, nei contesti carcerari basta poco per dare un protagonismo positivo a chi ha commesso un errore, ne sta pagando le conseguenze ma attende di tornare presto in libertà. A testa alta. «Non si è trattato semplicemente di far apprendere le tecniche per confezionare malloreddus, ravioli, culurgiones o lorighittas», commenta Caligaris. «Abbiamo voluto promuovere nelle detenute una mentalità imprenditoriale per un futuro di emancipazione, lontano dalle sbarre e carico di prospettive. Le ragazze hanno imparato a lavorare in team, a rispettare i ruoli e utilizzare la manualità secondo i protocolli molto rigidi previsti dalle norme vigenti».
Credits: foto di Luigi Alfonso (con l’autorizzazione della direzione della Casa circondariale di Cagliari-Uta)
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