Cagliari
Marina, il quartiere sotto “assedio” risponde con la cura del bello
Un progetto che mette insieme molte realtà del Terzo settore con i fondi della Cei e di Fondazione Con il Sud. Altre iniziative delle associazioni di promozione sociale, della Caritas e della parrocchia. Ma il disagio non è soltanto economico e non riguarda esclusivamente questa porzione di città
La città del sole, come la definì sessant’anni fa l’antropologo e letterato Francesco Alziator, appare in sofferenza. La povertà continua a estendersi, come testimoniano le lunghe file alle mense Caritas e di altre realtà religiose, ma anche all’Exmè di Pirri gestito dalla Fondazione Domus de Luna. Per non parlare dei dormitori Caritas, tutti al completo e sempre in emergenza. Ma non è attribuibile soltanto a questo il dilagante malessere che scuote il centro storico di Cagliari che si affaccia sul mare. A ridosso del porto, il quartiere della Marina da un po’ di tempo a questa parte registra quotidianamente episodi che spesso vengono frettolosamente etichettati malamovida, cioè problemi di ordine pubblico in qualche modo legati all’elevata presenza di locali che di sera richiamano migliaia di persone da tutta l’area metropolitana.
Il sociale in campo
La bellezza salverà il mondo, scrisse Fëdor Dostoevskij. Il capoluogo sardo, dunque, ha la possibilità di superare questo difficile momento. Ma c’è chi non riesce ad aspettare che gli eventi si risolvano da soli. Ed ecco che corrono in soccorso alcuni progetti in ambito sociale, a cominciare da “Custodi del Bello”. Si tratta di un progetto nazionale attivato in 12 città italiane, tra cui appunto Cagliari, promosso dal Consorzio Communitas, dall’associazione Extra Pulita e dalla Fondazione Angeli del Bello Onlus, che nelle regioni del Sud Italia è sostenuto dalla Caritas Italiana (attraverso i fondi 8xmille della Conferenza episcopale italiana – Cei) e dalla Fondazione Con il Sud.
Custodi del Bello
Per ritrovare dignità e speranza occorre creare nuova occupazione e coinvolgere l’intera comunità, puntando sull’inserimento di cittadini con fragilità in percorsi formativi e lavorativi che li vedano impegnati in un processo di rigenerazione urbana. Allo stesso tempo, è indispensabile rendere i quartieri più belli e vivibili, con una vera sinergia tra amministrazione locale, Terzo settore, Chiesa e imprese. “Custodi del Bello Cagliari”, in virtù del partenariato locale costituito dalla Caritas attraverso la Fondazione San Saturnino, in queste settimane ha visto l’avvio della squadra pilota composta da quattro persone in situazioni di difficoltà e impegnata (dopo aver concluso i tirocini di inclusione sociale promossi dall’Agenzia sarda per le politiche attive del lavoro – Aspal) che si sta prendendo cura e restituisce decoro ai luoghi pubblici nel quartiere della Marina. Nei prossimi giorni partirà la seconda squadra, composta da altre sei persone, che sarà impegnata nel quartiere di Sant’Elia. Il primo step del progetto terminerà nell’aprile 2026: entro questa data si prevede l’attivazione di circa 50 tirocini finalizzati all’inserimento lavorativo per una durata di quattro mesi ciascuno. Le squadre sono accompagnate e monitorate da un tutor, da un formatore territoriale e da un coordinatore che, in sinergia con i Servizi sociali e le Caritas parrocchiali, sarà impegnato anche nella selezione degli altri destinatari.
L’arcivescovo di Cagliari
«È uno di quei progetti che dimostra la verità dell’intuizione del Papa circa la connessione dei diversi aspetti dell’agire sociale», sottolinea monsignor Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei. «Il tema del lavoro è correlato con la necessità di prendersi cura della fragilità di tanti nostri fratelli che hanno bisogno di sentirsi inseriti nella nostra società attraverso un impegno operativo. Al tempo stesso, quest’iniziativa è finalizzata a incrementare la bellezza che appartiene alla qualità della nostra vita, di cui prendersi cura e da trasmettere. Essa ci mostra che con l’impegno di tutti è possibile realizzare un’opera di custodia del Creato, che risponda a un bisogno sociale ed esistenziale primario, come quello del lavoro».
Il Comune di Cagliari
«L’obiettivo dell’amministrazione comunale è quello di superare le criticità che ci sono state con il reddito di cittadinanza, con il Reis sardo, creando politiche attive di inclusione», precisa Anna Puddu, assessora alla Salute e benessere delle cittadine e dei cittadini. «Si tratta di un progetto sperimentale che potrebbe essere utilizzato come modello di contrasto alla povertà e come forma di emancipazione delle persone in condizioni di indigenza».
Il Terzo settore
«Il bello nasce quando il bene si intreccia con l’impegno della comunità», commenta Giovanna Corbatto di Caritas Italiana. «Restituire dignità alle persone significa restituire bellezza alla società. Un ambiente curato è il simbolo di una cura reciproca, di una città che accoglie, che si prende a cuore il destino di tutti, nessuno escluso».
«Custodi del Bello è l’esempio di come sia possibile unire le forze e lavorare insieme per un obiettivo condiviso e più grande, capace di generare fiducia e rafforzare la coesione sociale. Prendersi cura del bene comune e contestualmente offrire opportunità a persone con maggiori vulnerabilità significa far crescere le comunità», spiega Stefano Consiglio, presidente della Fondazione Con il Sud.
«Custodi del Bello è una concreta misura di politica attiva del lavoro, da diffondere in tutto il Paese, che offre una risposta a due grandi problemi: l’esclusione sociale delle persone più fragili, in costante aumento, e il degrado urbano che genera malcontento, insicurezza e illegalità», è il parere di Luciano Marzi del Consorzio Communitas, portavoce nazionale del progetto Custodi del Bello.
In questo contesto, ma slegato da Custodi del Bello, opera anche l’associazione di promozione sociale Efys, che porta avanti attività di animazione e aggregazione sociale, formazione, intercultura e promozione dei diritti civili, soprattutto a favore di infanzia e adolescenza. «Educazione e conoscenza sono i nostri strumenti principali», spiega Valeria Ligas, rappresentante legale di Efys. «Dallo scorso anno, nella Marina, stiamo portando avanti il progetto “Accresce” dell’impresa sociale Con i Bambini, nell’ambito del Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile. «La seconda annualità è cominciata la scorsa settimana. Puntiamo al rinforzo della comunità educante, in collaborazione con altri enti del Terzo settore. Noi siamo capofila e abbiamo coinvolto anche la vicina scuola Satta-De Amicis e il dipartimento di Pedagogia dell’Università di Cagliari. Abbiamo aperto molti tavoli per gli adulti: genitori, docenti e operatori del sociale. Con la “Bottega dei sogni”, invece, gestiamo uno spazio del Comune per offrire strumenti di crescita a bambini e ragazzi, offrendo opportunità a chi vive nel disagio. Questo è storicamente un quartiere di passaggio, sin dall’antichità; dunque, alcune problematiche non sono legate esclusivamente al degrado sociale di questa porzione di città».
Il quartiere
I risultati di questi progetti si vedranno nel tempo. Il presente parla di un quartiere che è meno sicuro e vivibile rispetto al passato. La presenza delle forze di polizia non copre le 24 ore, in alcune fasce orarie la Marina diventa terra di conquista dei balordi. A volte di gruppi di adolescenti, altre di adulti che non lavorano e non sembrano intenzionati a farlo. Per lo più sbandati che vivono di espedienti, spesso immigrati. Niente a che vedere, per intenderci, con le comunità storiche di senegalesi, filippini e cinesi, che qui sono ben integrate, e nemmeno con quelle giunte da Pakistan e Bangladesh. «Sono soprattutto maghrebini, e neppure numerosi», spiega un commerciante del quartiere, finito più volte nel mirino dei borseggiatori, che chiede di non citare le sue generalità «per non avere altri guai».
«È inutile che polizia e carabinieri passino a controllare alle 18, quando in queste strade passeggiano famiglie e turisti. I problemi veri li abbiamo alla chiusura, verso le due di notte: ogni volta che esco dal locale con l’incasso della giornata, temo di essere rapinato da qualche balordo», commenta un ristoratore a denti stretti. Un barman che lavora a pochi metri di distanza annuisce e spiega: «Ormai, da alcuni mesi, chiudiamo il locale prima del solito per evitare di trovarci coinvolti nelle risse che, quasi ogni giorno, stavamo registrando qui di fronte. Non lasciamo più monopattini e scooter parcheggiati con le catene: più volte li hanno rubati, salvo poi chiederci una sorta di riscatto per riaverli. Non erano italiani, ma non ho niente contro gli extracomunitari perché molti di loro si comportano in maniera ineccepibile. Qui, comunque, passa di tutto. I giovani si scatenano in serata, gli adulti di notte. Abbiamo chiesto aiuto alla Polizia e ai Carabinieri ma, sinché non c’è una vera denuncia, hanno le mani legate. E le denunce contro ignoti non servono a nulla».
«In generale, non posso lamentarmi», racconta Stefano Trudu, titolare del ristorante Sa Panada. «Sono arrivato qua nel 2020. Allora questa piazza era in mano agli spacciatori. Poi, piano piano, abbiamo iniziato a portare i nostri clienti, a mettere i tavolini all’esterno, a posizionare bene i punti luce. E d’incanto è tornata la tranquillità, quella gente è andata via in maniera naturale dopo appena 20 giorni. Quando siamo presenti noi, non accade niente. I problemi nascono centro metri più giù, nella parte bassa del quartiere: i market gestiti da alcuni immigrati vendono alcolici e superalcolici ai minori. I controlli ci sono ma, appena multano o chiudono uno di questi esercizi commerciali, ne aprono un altro. Aperto 24 ore su 24. Il fatto è che questi adolescenti si muovono in branco. È sempre accaduto, forse oggi si dà più risalto mediatico. C’è un gruppetto di algerini che mi sembra un po’ più sbandato, ma credo che queste cose accadano anche in altre piazze».
Di notte non è infrequente assistere a risse tra venti-trenta adolescenti ubriachi e scatenati, a volte impasticcati, che quando si ritirano lasciano sul posto un tappeto di bottiglie e bicchieri tra vomito e urina. «L’alcol scorre a fiumi, dopo le 21. E l’odore di marijuana è talmente forte da essere percepito a distanza di metri», spiega un barman. «Non citi il locale, sono un dipendente e non voglio perdere il posto di lavoro. Ma guardi che il problema non è legato soltanto ai ragazzi: da una certa ora in poi arrivano gli adulti, che ripetono le stesse scene: alcol a fiumi, risse, urla, musica a palla».
Facciamo una ricognizione alle 20 di un qualunque giorno della settimana (ma nel week end la “temperatura” sale di botto). Una ragazzina di non più di 15 anni è seduta per terra, sorseggia una bevanda che non sembra esattamente un analcolico. Ci spiega che è un cocktail a base di gin, vodka e uno sciroppo che gli conferisce una colorazione inconfondibile. Lo chiamano “Angelo azzurro” e lei ha già terminato il secondo. Quando ripassiamo, mezz’ora più tardi, il bicchiere è di nuovo pieno. Da alcuni market gestiti da giovani asiatici entrano ed escono decine di adolescenti che acquistano bottiglie di birra, vino e vodka in grandi quantità. All’improvviso, si accende una rissa che coinvolge pure un gruppo di ragazzine: se le danno di santa ragione, incitati da altri coetanei su di giri. Il motivo? «Ci divertiamo così», ci confida un bulletto sui 14 anni, prima di lanciarsi nella mischia.
Noia? Teppismo? Le cause sono tante e sembrano non bastare il presidio della polizia e il lavoro degli operatori dell’Ifos, psicologi ed educatori esperti in bullismo e problemi dell’infanzia e dell’adolescenza. È una delle risposte che il Comune sta cercando di dare attraverso il progetto “ComuniTeen”, con un presidio durante i week end per arginare il disagio giovanile. «Vogliamo potenziare questo intervento con unità operative sociosanitarie integrate, il fenomeno è preoccupante», rivela l’assessora comunale Anna Puddu, una psicologa prestata alla politica. «Questi ragazzi hanno notevoli risorse e potenzialità nella maggior parte dei casi, però emergono in maniera evidente anche le criticità legate a molteplici forme di povertà. L’alcol, per loro, è uno strumento di socializzazione gruppale, ecco perché i Servizi sociali portano avanti un progetto con gli esperti che trattano le dipendenze».
«Dopo la pandemia, sono saltati tutti gli equilibri», commenta amareggiato Aldo, un uomo di 72 anni che abita da una vita in questo quartiere. «Capisco che i ragazzi vogliano riprendersi gli spazi sociali negati per mesi, soprattutto durante il lockdown, ma così non si riesce più a vivere. Ho cambiato gli infissi, per contenere i decibel durante le ore notturne, ma non c’è niente da fare».
Il parroco
Ha una grande esperienza in materia perché è sempre stato in prima linea, dapprima nel quartiere Sant’Elia e poi alla guida della parrocchia di Sant’Eulalia, nel cuore della Marina. Don Marco Lai conosce tutti, e tutti lo rispettano per il suo impegno. Lui dirige anche la Caritas diocesana e ogni giorno deve dare risposte concrete a chi chiede aiuto. «Stiamo attraversando un periodo delicato», riconosce. «La situazione durante il giorno è notevolmente migliorata ma di notte le strade sono abbandonate. Abbiamo avviato un dialogo con l’amministrazione comunale per trovare soluzioni efficaci. In più di un’occasione ci siamo svegliati trovando sul sagrato cumuli di rifiuti e bottiglie, molte delle quali spaccate per puro divertimento. I miei parrocchiani hanno ripulito accuratamente, per evitare che qualcuno potesse ferirsi. Di notte la piazza principale è fuori controllo. Occorre intervenire, anche con soluzioni un po’ drastiche, per esempio chiudendola nelle ore notturne. Ma la sola repressione non può risolvere i problemi, ecco perché sono fondamentali le iniziative sociali e culturali, come “Custodi del bello”. Qui vivono tante persone perbene, ma a volte bastano pochi individui per minare la serenità».
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