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Nel cuore di Palermo apre la “Casa di Giulio”, un luogo per chi prova a uscire dalla tossicodipendenza

Più che un ambulatorio, lo sportello che l'associazione "La casa di Giulio" ha aperto a Ballarò, nel cuore del mercato storico di Palermo, è un luogo in cui, chi fa uso di sostanze stupefacenti, entra convinto di non avere speranze ed esce avendo recuperato fiducia in se stesso. L'equipe che ne fa parte si caratterizza anche per il lavoro che fa in strada cercando e incontrando i giovani consumatori nelle piazze e nei vicoli del centro storico

di Gilda Sciortino

Il suo carattere innovativo non è tanto l’idea in sé, bensì il fatto che a portarlo avanti gratuitamente è un’equipe multidisciplinare di professionisti in grado di offrire un ampio ventaglio di risposte a chi fa uso di sostanze stupefacenti o è a rischio di entrare in una spirale il più delle volte mortale.

È, quindi, limitativo chiamarlo sportello di ascolto perché risponde a un ventaglio di emergenze veramente ampio grazie al team formato da due operatori, un counselor, uno psichiatra, una specialista in malattie infettive e un assistente spirituale. Una squadra decisa a fare la differenza, operando concretamente sul fronte della vera riduzione del danno, ogni lunedì dalle 11 alle 19 all’ambulatorio “Ippocrate” di via Benfratelli, a Ballarò, mentre il mercoledì e giovedì soltanto su chiamata alla Casetta della Salute di fronte la Chiesa di San Saverio, all’Albergheria. Spazi che sorgono entrambi nel cuore del centro storico, anche perché è qui che si concentra la maggior parte dello spaccio e del consumo non solo di crack.

Quando i ragazzi entrano da noi percepiamo che si sentono senza speranza, ma quando vanno via vediamo una nuova luce nei loro occhi e questo ci rende felici

– Anna Maggio, infettivologa

Un servizio multifunzionale che, in appena quattro mesi, si può ritenere soddisfatto dal punto di vista della modalità con cui riesce a entrare in contatto con tutti quei giovani le cui giornate vengono scandite dalla ricerca spasmodica della sostanza.

«La nostra esperienza ci porta a dire che la tossicodipendenza è un problema sistemico», afferma Antonio Napoli, assistente spirituale del servizio. «La punta dell’iceberg di famiglie disfunzionali che devono essere prese in carico in toto».

Una considerazione che ha portato a pensare a uno sportello, esigenza raccolta e concretizzata dall’associazione “La casa di Giulio”, dedicata a uno degli ultimi giovani palermitani morti per overdose. A fondarla il papà, Francesco Zavatteri.

«Quando Francesco mi parlò di questo progetto», spiega Anna Maggio, l’infettivologa del servizio, «mi disse “vorrei fare qualcosa di veramente utile”. La concretezza solitamente mi affascina molto perché è una delle caratteristiche del mio carattere, quindi ho accettato subito. Qui offriamo accoglienza e ascolto, rispondendo alle tante domande che ci vengono poste, facciamo visite mediche, ipotesi diagnostiche, inviamo ai servizi, prendiamo in carico in maniera totale la persona che si rivolge a noi e poi facciamo follow up sempre congiuntamene ai servizi medici, di psicoterapia individuale e di gruppo».

Una delle ultime manifestazione di Palermo contro il crack (foto Gilda Sciortino)

Ancora più particolare il fatto che si interviene su più fronti

«Uno è quello dell’outdoor in strada, dove grazie al quale gli stessi ragazzi ci cercano. Noi comprendiamo i loro bisogni primari, ma senza mai fare filosofia. Significa che provvediamo se hanno bronchiti,  ferite, lussazioni. Se non hanno il medico di medicina generale, cosa molto frequente, li accompagniamo per richiederlo; se non sono mai andati a un consultorio per fare contraccezione, pap-test, curare infezioni o malattie sesso trasmissibili, se hanno avuto rapporti promiscui o se le donne sono state stuprate. Tutto questo è il principio cardine, di base della riduzione del danno», aggiunge Maggio, «quindi posso affermare in scienza e coscienza che il nostro team è competentissimo grazie alla presenza di tutte le figure in grado di ridurre i danni, sia d’organi e d’apparati sia psichiatrici correlati all’ uso di sostanze. È una riduzione del danno informata anche su cosa non associare: per esempio, se fanno uso di crack, impedire che assumano anfetamine  oppure alcool. La riduzione del danno, poi, non si basa solo sulla fornitura di siringhe o profilattici, ma prevede anche la visita medica, l’esame ematico e l’invio al consultorio. Non temo smentita nel dire che siamo l’unico luogo del genere in città, al di fuori dei servizi offerti dalla sanità pubblica».

La manifestazione di qualche mese fa al Teatro Massimo per ricordare Giulio (foto “La Casa di Giulio”)

Un intervento che si sviluppa e si adegua anche alle esigenze delle situazioni che incontra

«Nel momento stesso in cui stiamo operando», sottolinea Antonino Enia, psichiatra, «sperimentiamo modalità di lavoro anche diverse, superando quelle classiche. Questo perchè le droghe hanno creato tantissime trasformazioni e il concetto di psicoterapia nella presa in carico è cambiato».

Importante il contatto che arriva attraverso la rete

«Abbiamo una grande risposta dal web», racconta Vincenzo Zavatteri, operatore e coordinatore del progetto, «perché da noi il setting terapeutico è abbastanza confidenziale e soprattutto è apprezzato dalle fasce più basse. Ci contattatano perché non vogliono andare al Serd in quanto i servizi non sono  dei migliori, ma anche perché l’appuntamento viene dato dopo almeno venti giorni. Abbiamo ricevuto anche tantissimi messaggi da parte di ragazzi che hanno bisogno di noi perché i loro genitori fanno uso di sostanze, mentre altri chiedono di essere seguiti dallo psicoterapeuta. Arrivano anche col passaparola. Fa, infatti, tanto il fatto che due volte alla settimana scendiamo in strada. Avendo più o meno la loro stessa età il dialogo risulta più facile. Con noi c’è anche Holly Pignatone, educatrice di comunità, grazie alla quale entriamo in sintonia con le ragazze. Soprattutto quando scopriamo che hanno subito violenze o abusi di varia natura, determinati dal fatto che vivono per strada».

Ancora non si può parlare di dati perché i tempi sono troppo brevi per far sì che il lavoro condotto in questi mesi abbia valenza scientifica. Si può, però, dire che il 75 % di chi accede al servizio è costituito da maschi, mentre il restante 25 da ragazze; il 7% riguarda coloro che hanno meno di 20 anni. Quattrocento le persone che transitano nel quartiere solo per l’acquisto della sostanza. Non sono, infatti, stanziali.

«Siamo soddisfatti perché il quartiere risponde. Ci sono tutte le premesse per avere ottimi risultati in tempi abbastanza rapidi. È importante anche dire», tiene a precisare l’infettivologa, «che c’è grande differenza tra uso e dipendenza perché non tutti gli utilizzatori sono dipendenti. Per questo le azioni devono essere diversificate a seconda dei casi».

Si dice che l’età di chi assume sostanze si è notevolmente abbassata. La vostra esperienza cosa vi fa dire?

«Direi che a Ballarò non ci sono adolescenti», sostiene Lorenzo Capretta, counselor dello sportello. «Questo a meno che non vengano, comprino e vadano via. Certo, ci sono casi cronicizzati, ragazzi e ragazze che fanno uso da anni, ma non sono minorenni. I più giovani con cui siamo entrati in relazione hanno una media di 20 anni».

Che tipo di lavoro pensate di stare facendo?

«Mi piace pensare che, quando una persona entra da noi con nessuna speranza, se ne va con nessuna speranza meno uno in positivo», dice ancora Anna Maggio,«nel senso che, se arriva con un livello 10 di stress torna a casa con un livello 8; se entra con la piega labiale bassa, va via con un sorriso almeno accennato. Potere tornare a casa sapendo di avere dedicato tempo a persone care, facendo qualcosa che lenisce il loro dolore, mi rende felice».

«La cosa bella è la sintonia tra tutti noi», aggiunge Zavatteri, «e la rete che abbiamo creato. Siamo riusciti a inserire un ragazzo in un’attività di volontariato per un’associazione con cui collaboriamo.  Non è solo dare speranza, ma offrire una prospettiva futura, se anche solo per poche ore alla settimana sanno si essere utili ad altri».

Una piccola rivoluzione quella che può essere considerato questo progetto

«Spostiamo l’attenzione dalla ghettizzazione delle persone che fanno uso di sostanze», precisa Capretta, «al valore delle loro competenze, dei talenti nascosti, dei sogni che anche loro nutrono. È sicuramente una rivoluzione di valori».

«Userei la parola sollievo», afferma in conclusione Napoli, «quando ci riferiamo a dolori reiterati nel tempo che la nostra società alimenta. Credo che sia indispensabile, facendo in modo che tutto questo diventi contagioso. Un impegno che dobbiamo assumerci tutti».

In apertura l’immagine del mercato di Ballarò, luogo di spaccio e consumo di droga (foto di Vincenzo Russo – Cooperativa Terradamare)