Fenomeni

“Vivere da Boaters”: così a Londra le barche sui canali diventano case naviganti

Per molti un modo per affrontare l’aumento degli affitti. Ma non c’è solo questa motivazione a spingere verso le caratteristiche barche ormeggiate o in navigazione sui canali londinesi. Ad attirare i boaters sono il contatto con la natura e la vita comunitaria. Non mancano però i problemi, a partire dal costo delle licenze

di Chiara Ludovisi

Si chiamano “boaters” e a Londra (e non solo) sono sempre di più: sono gli abitanti delle barche, navigatori sempre in movimento, oppure residenti fissi, che hanno scelto un’imbarcazione come casa e un canale come luogo in cui vivere. Dietro questa scelta, le motivazioni possono essere diverse, ma due su tutte prevalgono: la necessità economica e lo stile di vita. 

Alcuni sono attratti dal costo ridotto di queste abitazioni, rispetto all’acquisto o l’affitto di un appartamento, per molti divenuti inaccessibili. Altri invece sono affascinati dall’aria che sui canali si respira, intrisa di relazioni, socialità e senso di comunità. Ancora, c’è chi sceglie di vivere in barca e magari di essere sempre in navigazione perché ama la vita nomade e il contatto con la natura. Di fatto, seppur i numeri non siano altissimi, gli abitanti dei canali londinesi – specialmente Regent’s Canal e Grand Union Canal – sono sempre di più. 

Come funziona e quanto costa

Innanzitutto, ogni barca che navighi o sia ormeggiata su un canale deve essere registrata al Canal and River Trust – Crt, che rilascia due tipi di licenze: la prima è la Continuous cruiser license, la quale richiede di spostarsi ogni 14 giorni; la seconda è la Residential mooring, più costosa, che permette di ormeggiare sempre nello stesso punto e di fruire di tutti i servizi. Un’imbarcazione, o meglio una narrowboat (una barca stretta adatta ai canali-ndr.),  può costare, usata, tra le 30mila e le 80mila sterline (circa 35mila – 93mila euro). L’ormeggio da 300 a mille sterline (350 – 1.200 euro) al mese, a seconda della zona e dei servizi. A questi costi vanno aggiunti quelli del gasolio per il riscaldamento, oltre che manutenzione, assicurazione, licenza Crt, svuotamento dei serbatoi delle acque nere.

È necessaria anche una forte motivazione

Una scelta economica, quindi, ma neanche troppo. Senza contare che per chi ha una continous cruiser licence può essere difficile o impossibile accedere a servizi di base (medico, scuola, banche, perfino voto), perché non viene riconosciuta loro la residenza. La scelta, insomma, come sempre avviene in questi casi, deve essere dettata da una forte motivazione, anche per far fronte alle difficoltà che indubbiamente una vita del genere comporta. 

Eppure, questa scelta attira un numero sempre maggiore di persone: secondo il Crt, il numero totale di barche sui 160 chilometri di canali nell’area metropolitana di Londra è aumentato del 73% dal 2012 al 2024.

La “gentrification” e le tensioni

Insieme ai numeri, crescono le tensioni: in particolare, tra i residenti delle barche – rappresentati dalla National Bargee Travellers Association-Nbta – e il Canal and River Trust-Crt.
Negli ultimi anni, infatti, i canali londinesi sono diventati luoghi di interesse commerciale e turistico. Alcune aree (come King’s Cross o Paddington Basin) sono state trasformate in zone chic con ristoranti, hotel e uffici galleggianti. Il Crt ha quindi inasprito prezzi e regole, rendendo sempre più difficile e costosa la vita in barca. Per questo, le associazioni dei boaters – Nbta in testa – accusano il Crt di discriminazione sociale e di tentativi di “ripulire” i canali dagli abitanti storici.

Foto da Nbta di un evento comunitario

Abbiamo interpellato le due associazioni, per osservare dall’interno questo piccolo mondo in cui si incontrano e si scontrano vecchi, nuovi e diversi bisogni.

Il punto di vista del “Trust”

Fran Read è responsabile della comunicazione del Canal & River Trust. A lui abbiamo chiesto di spiegarci il funzionamento dell’ente.

Alcune persone vivono in barca come ultima possibilità prima dell’homelessness, oppure perché faticano a vivere nella società tradizionale. (…) vivere in barca può essere uno stile di vita fantastico, che molti amano, ma in cui non mancano comunque le difficoltà

Fran Read, Canal & River Trust

Di cosa si tratta e qual è il suo scopo?

Il Crt è un ente benefico che si prende cura di 3.200 km di canali e fiumi in Inghilterra e Galles, garantendone la sicurezza e l’accessibilità per i visitatori, i residenti e per la flora e la fauna che qui trovano il proprio habitat naturali. Parte di questa sfida consiste nel mantenere i canali aperti alla navigazione e gestire le imbarcazioni che li percorrono. 

Quante persone vivono attualmente lungo i canali di Londra? Questo numero è aumentato negli ultimi anni?

I dati ci dicono che il numero totale di barche sulle nostre acque a Londra (160 chilometri di vie d’acqua nell’area metropolitana) è aumentato del 73% dal 2012 (anno della fondazione del Trust) al 2024: esattamente, da 2.326 a 4.021. Nello stesso periodo, le barche senza ormeggio fisso sono aumentate del 252%: da 638 a 2.246. Bisogna precisare che quando qualcuno acquista una licenza, non chiediamo per quale uso sarà impiegata l’imbarcazione – se per viverci, o per svago. Tuttavia, a livello nazionale, secondo il nostro “Boater Census”, nel 2022 il 35,5% dei proprietari di barche si definiva “liveaboard”, ovvero dichiarava di vivere a bordo. 

Quali sono, secondo voi, le principali difficoltà di questa vita?

Alcune persone vivono in barca come ultima possibilità prima dell’homelessness, oppure perché faticano a vivere nella società tradizionale. Può essere una situazione molto precaria, con un alto rischio di isolamento. I boaters senza indirizzo fisso, per esempio, hanno difficoltà ad accedere a servizi come medici di base, sussidi, banche ecc. La nostra organizzazione ha un team dedicato al welfare che aiuta i soggetti più vulnerabili.
Diversamente, per chi non è in una situazione di vulnerabilità, vivere in barca può essere uno stile di vita fantastico, che molti amano, ma in cui non mancano comunque le difficoltà: rifornirsi d’acqua, svuotare i wc, fare manutenzione e, se non si ha un ormeggio fisso, spostarsi ogni 14 giorni. Questo può diventare un secondo lavoro! Alcuni restano sorpresi, soprattutto d’inverno, rendendosi conto che non è semplicemente una “casa galleggiante”. Per questo consigliamo di trasferirsi a bordo solo se si ama davvero questo stile di vita.

Recentemente, ci sono stati disaccordi tra la vostra associazione e rappresentanti dei residenti: quali sono le cause? E quale potrebbe essere una soluzione per ridurre i problemi, pur permettendo di vivere lungo i canali?

Nel 2024 abbiamo introdotto un nuovo tariffario, con una sovrattassa per le imbarcazioni senza ormeggio fisso. Questo perché lo sfruttamento crescente dei canali e delle strutture da parte di queste barche costa di più alla nostra organizzazione. La sovrattassa verrà introdotta gradualmente, arrivando al 25% entro il 2028. Inoltre, l’aumento massiccio delle barche ha messo a dura prova il sistema: spendiamo circa 2 milioni di sterline l’anno per fornire strutture ai boaters. Per quanto riguarda le possibili soluzioni, nel dicembre 2024 abbiamo istituito una nuova Commissione indipendente per rivedere il quadro legale della licenza, verificando se sia adatto al futuro della rete. I lavori proseguiranno fino a settembre, con ampio coinvolgimento dei boaters. Speriamo possa emergere una soluzione per ridurre le criticità e permettere una vita sostenibile sui canali.

Il punto di vista dei boater

Jack Saville vive in una narrowboat su un canale londinese ed è tra i portavoce di Nbta. Proviamo a capire, insieme a lui, quali siano le ragioni che spingono sempre più persone a compiere questa scelta e se questa possa essere una risposta all’aumento dei costi della vita e in particolare degli affitti. 

Chi si trasferisce in acqua semplicemente per risparmiare, probabilmente non rimarrà sull’acqua a lungo. Questa scelta è dovuta piuttosto all’attrazione delle persone verso una vita nomade, a contatto con la natura e all’interno di una comunità accogliente e solidale

Jack Saville, portavoce di Nbta

Perché in tanti scelgono di diventare boaters?

Credo che l’aumento delle persone che vivono in barca sia un problema più complesso della semplice crisi immobiliare. Vivere su una barca, soprattutto come navigatore itinerante, è più costoso di quanto si pensi, in termini di costi di manutenzione, riparazione e, ovviamente, acquisto dell’imbarcazione stessa, ma anche in termini di tempo ed energie necessarie per mantenere questo stile di vita. Chi si trasferisce in acqua semplicemente per risparmiare, probabilmente non rimarrà sull’acqua a lungo. Questa scelta è dovuta piuttosto all’attrazione delle persone verso una vita nomade, a contatto con la natura e all’interno di una comunità accogliente e solidale.

Quali sono i vantaggi di vivere in barca? E quali le principali sfide?

La maggior parte dei boaters apprezza il senso di connessione con gli altri che la vita sui fiumi e sui canali, soprattutto itinerante, regala. Le persone sono generalmente molto generose le une con le altre e impegnate socialmente nella comunità, in un modo che può sembrare raro in gran parte del Regno Unito. Le persone sono anche molto attratte dalla possibilità di sentirsi più vicine alla natura, di interagire con la fauna selvatica e con il cambio delle stagioni. Per quanto riguarda le sfide, quella principale è rappresentata dall’incertezza e l’ansia derivanti dalla gestione delle vie navigabili da parte del Crt.
Abbiamo assistito a un aumento dei controlli, al degrado delle strutture, all’incremento dei costi e delle tariffe applicate alle nostre licenze. Abbiamo visto la chiusura di strutture in tutta la rete, la svendita di enormi quantità di terreni e infrastrutture pubbliche e il moltiplicarsi di tentativi, ingiusti e costosi, di far rispettare politiche come “zone di divieto di ormeggio” o “ormeggi a pagamento”. Il tutto accompagnato da una crescente ostilità nei confronti dei boaters. Ora il Crt sta conducendo una revisione del quadro giuridico delle licenze nautiche, che minaccia di sventrare completamente questo stile di vita: molti saranno costretti ad abbandonare l’acqua, rischiando di ritrovarsi senza casa.

Quale ruolo svolgono i servizi sociali e il sistema di welfare nel sostenere le persone che vivono sulle barche?

I boaters hanno diritto a usufruire dei servizi sociali e all’assistenza sociale, ma spesso ci sono problemi di accesso a questi servizi a causa della mancanza di un indirizzo fisso. Nbta si è impegnata a fondo per mettere in contatto i boaters con i servizi, anche facendo pressione sugli enti locali e su altre istituzioni pubbliche affinché rendano disponibili servizi ai boaters in difficoltà: per esempio, sussidi per il carburante invernale, indennità di disoccupazione, assegni di invalidità e, in una lunga campagna avviata nel 2022/23, l’Energy Bills Support Scheme

Come associazione, quali servizi offrite ai diportisti e cosa chiedete alle istituzioni pubbliche?

Nbta è un’organizzazione comunitaria basata sul sostegno reciproco. Siamo diportisti che si organizzano e condividono competenze a beneficio dell’intera comunità di diportisti itineranti. Parte di questo impegno consiste nell’organizzare la tutela della nostra comunità, in collaborazione e dialogo con le istituzioni che sono disposte a collaborare con noi, attraverso la protesta e la resistenza della comunità, ove necessario.
Mettiamo inoltre a disposizione un team di assistenti sociali che offrono supporto e consulenza legale ai boaters rispetto ai loro diritti e ai servizi che spettano loro. Ciò che chiediamo è di essere lasciati liberi di vivere la nostra vita. Meglio ancora: di essere visti e riconosciuti come una risorsa per le vie d’acqua. 

In apertura un’immagine del Canal & River Trust-Crt. Tutte le fotografie sono fornite da Crt e Nbta

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