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Editoriale

Zamagni: «Il sociale non si occupi solo del sociale»

Uno stralcio della riflessione che il professor Zamagni firma sul numero di VITA magazine di novembre: «Nell’emergenza è ovvio che il Terzo settore debba farsi carico di un tale compito, ma poi deve adoperarsi per ripensare le regole del gioco, vale a dire per ridisegnare l’assetto istituzionale»

di Stefano Zamagni

Il mondo del Terzo settore, nato storicamente per occupare quel luogo idealtipico che è il sociale, oggi non può accontentarsi di questo ruolo, deve mirare anche ad altri obiettivi. In primis, tra questi, la difesa della democrazia e della libertà —oggi seriamente minacciate. I soggetti del Terzo settore non possono sottrarsi a questo compito. È evidente a tutti che il modello di democrazia competitiva fondato sulle élites teorizzato prima da Max Weber e poi da Joseph Schumpeter sia ormai obsoleto. Non smetto di meravigliarmi nel notare come tanti scienziati della politica raramente sollevino la questione. Il fine cui tendere è di muovere passi verso il modello di democrazia deliberativa. La nostra classe politica fa finta di non sapere cosa sia, ma basterebbe digitare su Google deliberative democracy per scoprire non solo di che si tratta, ma anche quanto se ne parli all’estero. Secondo questo modello chi è portatore di visioni del mondo diverse ha certamente il diritto di difenderle ma deve accettare il dialogo interculturale: se tu riesci a convincermi delle tue argomentazioni io devo accettare che tu prevalga.

Ai soggetti sociali spetta il compito di cambiare le regole del gioco, non solo quello di tamponare le emergenze


Si tratta di una sfida importante per il Terzo settore, che deve comprendere che il suo compito non può limitarsi a lenire le ferite che registra nella società, ma deve anche aggredirne le cause. Tamponare le emergenze è bensì utile ma non sufficiente.

Stefano Zamagni

Nell’emergenza è ovvio che il Terzo settore debba farsi carico di un tale compito, ma poi deve adoperarsi per ripensare le regole del gioco, vale a dire per ridisegnare l’assetto istituzionale. Le istituzioni, infatti, non sono un dato di natura ma qualcosa che è prodotto dagli uomini che vivono in società.


Il 22 e 23 settembre del prossimo anno a New York si terrà l’assemblea generale delle Nazioni Unite con l’obiettivo specifico di arrivare a un Pact for the future (Patto per il futuro). Il mondo dell’economia sociale e del Terzo settore, (non solo italiani ovviamente), sono invitati a far sentire la loro voce, unitamente a quella di coloro che hanno interesse a mantenere lo status quo istituzionale. Si pensi, per fare solo alcuni esempi, all’urgenza di chiudere i paradisi fiscali e di negare la possibilità di praticare il land grabbing (accaparramento delle terre). Del pari, si pensi alla necessità di passare dall’unilateralismo, oggi importante, al multilateralismo nelle relazioni internazionali e alla grande opportunità di dare vita ad una seconda assemblea delle Nazioni Unite che veda i rappresentanti dei tanti mondi vitali presenti a livello globale giocare il ruolo che è loro proprio: quello di ispirare e, in parte, controbilanciare l’azione dei rappresentanti degli Stati aderenti. E così via.


Nelle ultime Giornate di Bertinoro si è parlato di neomutualismo. Come molti sanno, sono stati i francescani, prima in Toscana e in Umbria, poi nel resto dell’Italia e dell’Europa, nel XIV e XV secolo, a “inventare” l’economia di mercato. L’obiettivo era chiaro: mettere l’economia al servizio del bene comune. Il mercato era visto come il luogo del mutuo vantaggio — e non tanto del mutuo aiuto — il che significa che il singolo opera per cercare certamente un vantaggio economico personale, ma né contro, né a prescindere dal vantaggio dell’altro, bensì insieme. (Si rammenti che 1+1 fa due; ma 1 con 1 fa tre!).
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Foto: archivio VITA


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