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Cooperazione & Relazioni internazionali

L’inferno dell’aeroporto di Donetsk

Lo chiamano aeroporto, ma è un ammasso di macerie. Tutto è stato distrutto, bombardato, fatto a pezzi. Fino a pochi mesi fa, ci si arrivava in tre ore, dall'Italia, partendo da Orio al Serio. Oggi, un cimitero di blindati e rottami circonda le piste. Le bombe inesplose conficcate nel terreno ci ricordano dove siamo: nell'inferno di Donetsk. Un reportage in presa diretta di Eliseo Bertolasi

di Redazione

Sono riuscito a entrare all’interno dell’aeroporto di Donetsk. Ottenere l’autorizzazione è stato difficilissimo, è diventato uno dei luoghi più proibiti di tutto il fronte del Donbass. Ci sono arrivato dalla parte della Repubblica Popolare di Donetsk.

Eliseo Bertolasi all'Aeroporto di Donetsk

Lo chiamano ancora “aeroporto”, ma di fatto, ora, è solo un ammasso di macerie. Tutto è stato distrutto, bombardato, crivellato di colpi: gli hangar, i capannoni, il terminal.. Tutta l’area circostante è disseminata di carcasse di automezzi, di blindati, rottami.. ci sono crateri ovunque, bombe inesplose di mortaio conficcate nel terreno…

Attraversare gli spazi aperti è come sfidare la morte. I cecchini da ambo le parti sono sempre sui loro fucili da precisione. L’ambiente non può non evocare i tremendi scenari della battaglia di Stalingrado.

Era un aeroporto modernissimo, costruito da poco in occasione dei campionati  europei di calcio; personalmente lo ricordo molto bene. Fino alla scorsa primavera era addirittura collegato con voli diretti con Bergamo Orio al Serio. Tre ore dall’Italia. Ora solo macerie  e distruzione.

Nell’aeroporto scorre la linea del fronte. Il terminale è in mano ai combattenti della Repubblica Popolare di Donetsk (i cosiddetti filo-russi), qualche decina di metri più avanti, tra gli hangar, già iniziano le linee delle forze ucraine. È il punto più caldo di tutto il fronte. 

Tra le sue macerie da mesi si combatte aspramente. È una guerra di postazione, logorante, snervante, dove in ogni momento può arrivare una granata o il colpo di cecchino. Dove le esplosioni delle bombe e il crepitio delle armi leggere non danno tregua né di giorno né di notte.

 Tra i vari androni distrutti del terminal ho incontrato numerosi combattenti dietro le loro postazioni: adulti e ragazzi di tutte le età, persino delle ragazze, anche loro hanno lasciato alle spalle la vita civile per approdare in questo inferno. 

“Inferno” è il modo come definiscono questo incubo. Basta vedere i loro visi stanchi, provati, sporchi e anneriti dalla lunga permanenza sulle postazioni in mezzo alla sporcizia, al sangue al fumo degli incendi.. per capire il significato di questa parola.

Ma si va avanti, “davaj”, mi dicono anche: “do pobedy” (fino alla vittoria), nonostante tanta sofferenza e sacrifici. È incredibile tanta forza morale, coraggio e determinazione.

Ora, da qualche giorno c’è la tregua. C’è un silenzio strano, ogni tanto interrotto da qualche isolato colpo d’arma da fuoco. Qui sul fronte, distanti dalle sale della politica, questi ragazzi non si fanno illusioni, tutti sono convinti che la guerra ripartirà molto presto. Si parla di ingenti rinforzi di uomini e mezzi in arrivo sulle linee ucraine.


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