Cooperazione & Relazioni internazionali

Niger, tutto è fermo eppur si muove

Il quarto giorno del diario di Daniele Biella nel Paese del Sahel crocevia di migrazioni forzate, tra lo spostamento aereo di ritorno da Agadez a Niamey e la ricerca di risposte alle dinamiche sociali in atto

di Daniele Biella

In Niger, tra le dune del deserto del Sahara, si cerca l’oro. Se me l’avessero detto da lontano, non ci avrei minimamente creduto. Ma vedere al mercato di Agadez i cercatori d’oro che mettono nel fuoco i materiali trovati – pietre, cocci e altro – nel tentativo di estrarre piccole quantità aurifere cambia tutto. Ammetto che mi lascia sgomento, perché non vedo come si possa sbarcare il lunario cercando l’oro nel deserto, ma in un Paese di 22 milioni di abitanti in cui quasi uno su due è sotto la soglia di povertà ogni tentativo è utile e, dopotutto, chi sono io per giudicarlo.

Inizia con questa immagine il mio quarto giorno nigerino, in un viaggio che oramai volge al termine dato che saranno cinque in tutto, il tempo massimo a norma di legge per non dovere fare la quarantena al rientro. A proposito, appena atterrati con il volo di ritorno da Agadez a Niamey sono andato assieme ai miei ottimi compagni di viaggio – Alganesc di Gandhy Charity, Luciana, Daniele e Oliviero di Caritas Italiana – a fare il tampone necessario per poter effettuare voli internazionali (come all’andata in Italia, del resto): siamo andati nel Centro di salute principale della capitale, e devo dire che il trattamento è stato all’altezza di ogni standard e ha spazzato qualche remora recondita nella mia mente.

Prima di partire dall’affascinante Agadez, che ammetto di avere lasciato a malincuore, ho chiesto di poter vedere dall’esterno l’ospedale più grande della regione, che si trova in città e cura ogni malattia compresi i pochi casi di Coronavirus. Eccolo.

Ne ho approfittato per chiedere al personale locale di Unhcr la situazione a livello di sanità pubblica: mi è stato raccontato che, seppur in generale le operazioni si pagano e i prezzi non sono abbordabili per la gran parte della popolazione, sono comunque previsti prezzi calmierati per alcune fasce della popolazione e prestazioni gratuite per i bambini sotto i 5 anni e le donne in gravidanza. Un’impegno non da poco, dato che qui la media dei figli che fa una donna nella sua vita è 7. Sette. L’età media della popolazione è molto bassa, non più di 30 anni, e la politica ne tiene conto. Tra l’altro siamo in piena campagna elettorale perché tra un paio di settimane avviene il ballottaggio tra il candidato appoggiato dal presidente attuale – è l’ex ministro dell’Interno e nella prima tornata di metà gennaio era in netto vantaggio, e comunque per le strade la gran parte dei mega cartelloni porta il suo volto – e uno sfidante. Se dovessero terminare senza tensioni o violenze sarebbe la prima volta per il Niger e per un Paese del Sahel che il passaggio avviene in modo democratico: il presidente attuale sta per lasciare il potere dopo due mandati e non ha cambiato la Costituzione per rimanerci, già questa è una forte novità, e lo dico senza ironia dato che in molte zone del mondo è mettendo mano alle leggi costituzionali che poi si instaura una dittatura.

Anche il tema dei rifugiati ovviamente ha un peso per le elezioni: non hanno diritto di voto, ma sono al momento 573mila – la metà dei quali sfollati interni, dati Unhcr di fine dicembre 2020 – quasi il 4 per cento della popolazione, con un loro peso socioeconomico e forti ripercussioni sulla società in termini di confronto di trattamento. Trattare con rispetto la loro richiesta di aiuto (che come ho scritto nei giorni precedenti è un dato di fatto, poiché il Niger tiene aperte le frontiere nonostante tutte le difficoltà) significa comunque non lasciare in secondo piano la popolazione locale e questo ogni politico lo tiene a mente, come confermano le loro dichiarazioni sul tema. E la stampa? Tendenzialmente libera, mi viene detto. «Se un giornalista fa un errore, ne paga le conseguenze», è la frase che mi resta più in mente. Frase giusta, del resto, se le conseguenze sono giuridiche. Anche in Italia. L’importante è che ci sia la tutela della libertà di stampa: in effetti, secondo l’ultimo rapporto 2019 dell’associazione Reporter senza frontiere, il Niger è al 66mo posto mondiale (l’Italia è al 43mo), che è indice di libertà media ed è tra i valori più alti rispetto a tutti i Paesi del continente africano.

Giornata di spostamenti e ragionamenti, quindi, questo giovedì 29 gennaio. Sull’aereo dell’Onu viaggiavo con delegazioni governative straniere e personale locale ed espatriato, cercando di non distogliere lo sguardo dal panorama sotto di me – compreso l’avvistamento di una carovana di cammelli quando siamo ripartiti dallo scalo nella città di Tahoua – mentre verso sera ci siamo riuniti con un’altra delegazione italiana in visita al Paese (di cui parlerò domani, ultimo giorno del diario) e con un gruppo di cooperanti italiani da più o meno tempo nel Paese – Filippo di Cisv, Alessandra e Marco di Intersos, Diego di Terre Solidali – che è stato molto utile nel darci uno sguardo ancora più diretto sul Niger di oggi. Finendo, come è giusto che sia, in un dignitoso ristorante locale sulla riva del fiume Niger, con poche luci ma una pazzesca, ammaliante luna piena.


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