Beppe Caccia

Se l’Europa dice ai mercantili nel Mediterraneo, “voltatevi dall’altra parte”

di Alessandro Puglia

Beppe Caccia, 52 anni, armatore di Mediterranea, studioso del pensiero politico, da sempre in prima linea nella difesa dei diritti, racconta a Vita.it da capomissione a bordo della Mare Jonio la risoluzione e i retroscena del più grande standoff della storia marittima internazionale. Il caso della Maersk Etienne, in mare per oltre 4 settimane con 27 naufraghi a bordo. Fino al momento in cui è arrivata Mediterranea

Beppe Caccia, 52 anni, armatore di Mediterranea, veneziano, studioso del pensiero politico, da sempre in prima linea nella difesa dei diritti, racconta a Vita.it da capomissione a bordo della Mare Jonio la risoluzione del più grande standoff della storia marittima internazionale. Il caso del mercantile Maersk Etienne che il 5 agosto 2020 – su richiesta del centro di coordinamento dei soccorsi maltese – ha soccorso 27 naufraghi in pericolo. Persone che sono poi rimaste a bordo della petroliera per 37 giorni, oltre un mese, con appelli da parte del colosso del trasporto marittimo danese e da parte della società civile. Un caso internazionale a cui Mediterranea ha messo fine trasbordando i naufraghi sulla Mare Jonio e successivamente con lo sbarco di sabato a Pozzallo. Un caso che al tempo stesso lancia un chiaro messaggio ai mercatili in transito nel Mediterraneo: «Se vedete gente in pericolo, voltatevi dall’altra parte». Beppe Caccia ci ricorda però, ancora una volta, che siamo tutti sulla stessa barca.

Ci voleva la Mare Jonio di Mediterranea per porre fine al caso della Maersk Etienne?

«Evidentemente sì. Dopo le missioni che abbiamo portato a termine questa estate in cui abbiamo assistito a diverse intercettazioni, catture e deportazioni da parte di quella cosiddetta guardia costiera libica (un nome così importante speso per queste milizie) che viene finanziata dai governi europei, in particolare dall’Italia, abbiamo affrontato il periodo di quarantena al porto di Augusta e, il 29 agosto, due giorni prima del previsto, siamo intervenuti in assistenza della Louise Michel, la nuova motovedetta finanziata da Bansky. Quel caso si è poi risolto con l’intervento della SeaWatch4 e ci siamo fermati al porto di Licata in attesa di un miglioramento delle condizioni meteo per poter ritornare in acque internazionali. Il pomeriggio del 10 settembre siamo partiti da Licata per far rotta in quel pezzo di Mediterraneo che è diventato il mare più letale del mondo. Mentre eravamo in rotta verso Sud è arrivato la mail in cui il comandante della Maersk Etienne, da ormai 36 giorni a largo di Malta, chiedeva urgente bisogno di assistenza medica. Dopo inutili tentativi di metterci in contatto con il centro di coordinamento dei soccorsi maltesi, d’accordo con il nostro comandante Pietro Marrone andiamo a verificare le condizioni dei naufraghi. A bordo dei nostri rib di salvataggio ABBA1 e ABBA2 (dal nome del ragazzo originario del Burkina Faso nato in Italia e morto a Milano dopo essere stato preso a sprangate dai gestori di un bar) ci avviciniamo alla sontuosa nave della Maersk. La nostra dottoressa ci mostra dal suo report un quadro drammatico, con persone che avevano addosso segni di tortura, i fori delle pistole sulle gambe e sui piedi in seguito ai tentativi di fuga dai campi di detenzione in Libia. C’era una donna incinta al quarto mese di gravidanza che durante il viaggio aveva avuto ingenti perdite. Dopo aver trasbordato i naufraghi richiamiamo Malta che ci dice di rivolgerci al nostro stato di bandiera, nonostante sia stata proprio Malta a coordinare i soccorsi il 5 agosto. A quel punto, dopo aver informato l’MRCC di Roma ci dirigiamo verso Nord e aspettiamo a una quindicina di miglia a largo di Pozzallo, dove nel frattempo era già arrivata la donna in stato di gravidanza con un’evacuazione medica da parte della Guardia costiera italiana. Lo sbarco avviene in tempi brevissimi».

Uno sbarco che straccia di fatto l’ordinanza di Musumeci?

«Abbiamo assistito a una prassi assurda. Se i migranti non vengono trasferiti su una nave quarantena aspettano per terra, assistiti com’è possibile dalla Protezione civile, in attesa dell’esito del tampone che viene fatto al momento dello sbarco. Rimangono lì per terra in attesa che non arrivano gli esiti dei tamponi e questo per non turbare il Presidente della Regione. L’indomani, domenica 13 settembre, sono arrivati i risultati dei tamponi, tutti con esito di negativi e i 27 naufraghi sono stati trasferiti in un centro di accoglienza in provincia di Siracusa».

Quali sono le precise responsabilità di questo standoff durato oltre un mese?

«Sicuramente c’è una condotta criminale da parte del governo maltese che abbiamo già visto durante il periodo del lockdown, ma c’è anche una grande responsabilità del governo danese in prima fila insieme a quegli esecutivi sovranisti come Polonia, Ungheria e altri paesi Ue nel rifiutare qualsiasi meccanismo automatico e solidale di distribuzione degli arrivi nel Mediterraneo. Una situazione che la Danimarca poteva risolvere già dal secondo giorno, quindi c’è una grave corresponsabilità maltese-danese».

E il governo italiano chiude la vicenda non appena Mediterranea entra in acque internazionali?

«Sicuramente il Governo italiano davanti al nostro intervento ha fatto la cosa giusta perché ha aperto il porto di Pozzallo a queste persone».

E i porti non si possono chiudere come invece sostiene Matteo Salvini?

«Sono tra quelli che pensano che non sia sempre tutto uguale. Apparentemente la politica di Salvini si fondava sui porti chiusi e come abbiamo visto l’ex ministro dell’Interno non è riuscito a chiuderli a Lampedusa con i costanti arrivi spontanei dalla Tunisia e dalla Libia, ma nemmeno alla Mare Jonio, alla Sea Watch e all’Open Arms. Il consenso di Salvini si fondava però su un messaggio più terribile: ai suoi elettori raccontava che preferiva far morire la gente in mare».

Perché i media italiani hanno in gran parte ignorato questa vicenda?

«Perché non suscita quella eccessiva spettacolarizzazione a cui assistiamo quotidianamente, come nel caso di Lampedusa come teatro dell’invasione. Oggi si cerca di mettere la polvere sotta al tappeto, come nel caso della Maersk Etienne, con uno standoff che non è servito a nessuno».

Qual è il messaggio dei governi europei davanti a un caso come quello della Maersk?

«Un messaggio preciso e terribile ai mercantili e alle compagnie che navigano nel Mediterraneo: se vedete dei naufraghi voltatevi dall’altra parte. Fare finta di niente. Altrimenti sarete voi stessi a pagarne le conseguenze, anche da un punto di vista economico. Quindi si sta dicendo di lasciare morire la gente in mare. Il ricatto delle autorità maltesi, danesi ed europee è stato proprio questo. Invece, quel signore da solo in piazza San Pietro durante la pandemia ci ha ricordato che non bisogna lasciare nessuno indietro perché nessuno si salva da solo. E quindi per me è importante strappare queste persone dai loro aguzzini in Libia o da un destino sicuro di naufragio».


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