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Napoli, quando il Carnevale diventa sociale

di Anna Spena

È nato 30 anni fa a Scampia e poi si è diffuso negli altri quartieri della città. Ad organizzare la manifestazione nel Rione Sanità è l'associazione Traparentesi Onlus, il tema scelto per la nona edizione è il diritto alla cittadinanza. «Il carro di apertura quest'anno sarà un grosso stivale rovesciato», dice il presidente dell'associazione Luigi Salerno. «Come simbolo di un'Italia che continua a ribaltare e rimandare la discussione sui diritti di cittadinanza. La mancata approvazione della legge sullo ius soli testimonia nuovamente il ritardo, culturale prima ancora che normativo, che caratterizza il nostro Paese su questo argomento»

Oltre 30 anni fa a Napoli è nato il “Carnevale sociale”, una pratica di cittadinanza attiva che si è sviluppata per la prima volta a Scampia grazie all'intuizione del Maestro Felice Pignataro e di altri artisti e intellettuali napoletani che restituiscono al carnevale la sua dimensione di festa popolare in cui, almeno per un giorno, i poteri costituiti sono messi "sotto sopra" in maniera creativa.

Nel corso degli ultimi dieci anni sono nati in città numerosi comitati di quartiere e gruppi di attivisti che organizzano cortei carnevaleschi nei luoghi simbolo di Napoli. «È diventato una sorta di "nuova tradizione" popolare», spiega Luigi Maria Salerno, presidente dell’associazione Traparentesi onlus, «che mette in luce istanze di rivendicazione sociale, dando voce ai soggetti che normalmente ne hanno di meno: i bambini nati in contesti vulnerabili, gli stranieri, e sostenendo il protagonismo di comunità territoriali che sperimentano una carenza diffusa di politiche e servizi di welfare».

Anche quest'anno ci saranno oltre dieci cortei in numerosi quartieri da Scampia a Materdei; dal Centro Storico a Bagnoli. Ed anche il Rione Sanità avrà il suo Carnevale sociale arrivato ormai alla nona edizione; ad organizzarlo l’associazione Traparentesi Onlus.

«Fin dalla prima edizione», racconta Luigi Maria Salerno, abbiamo raccolto subito consensi e adesioni da scuole e altre associazioni del territorio che oggi ne compongono il variegato Comitato promotore. Nel 2018 si svolgerà la nona edizione del Carnevale Sociale alla Sanità, che quest'anno ha scelto di concentrarsi su un tema particolarmente attuale come quello del diritto alla cittadinanza»

Il carnevale alla Sanità è un percorso partecipativo che nasce dal basso fin dalla scelta del tema, che viene deciso nelle assemblee pubbliche di preparazione. Una volta deciso il tema gli educatori e gli insegnanti del quartiere lo condividono e lo analizzano con i bambini e i ragazzi che frequentano le scuole e i centri educativi del territorio. Vengono quindi realizzati laboratori artistici e di manipolazione per tradurre il tema scelto in prodotti visuali, principalmente maschere e costumi ma anche pensieri, poesie, strumenti musicali o performance teatrali.

«Noi di Traprentesi storicamente ci occupiamo di preparare il carro di apertura, che quest'anno sarà un grosso stivale rovesciato, simbolo di un'Italia che continua a ribaltare e rimandare la discussione sui diritti di cittadinanza», continua Salerno, «La mancata approvazione della legge sullo ius soli testimonia nuovamente il ritardo, culturale prima ancora che normativo, che caratterizza il nostro Paese su questo argomento. a mancanza dei più elementari diritti civici, la carenza di adeguati servizi pubblici di base e l’assenza di politiche sociali a livello statale colpiscono "democraticamente" le persone e le comunità più vulnerabili, indipendentemente dal paese d’origine, dal ceto sociale o dal credo religioso. Non è però casuale che il rovesciamento dei principi che dovrebbero essere alla base dei percorsi di inclusione e partecipazione alla vita sociale colpisca soprattutto i nuovi italiani, stranieri nati e cresciuti in Italia o arrivati più o meno recentemente a seguito di un’esperienza migratoria. Anche a Napoli una visione folkloristica delle migrazioni e del dialogo interculturale sembra lasciare il passo ad una concezione dell’altro e dello straniero ispirata ad esclusione ed odio razziale».

Al corteo finale partecipano tutte le realtà che fanno parte del Comitato promotore, associazioni, centri educativi scuole e membri della società civile. La comunità territoriale ha oramai adottato l'iniziativa e ogni anno ci sono circa 2.000 persone in piazza. I protagonisti della sfilata sono sicuramente i più piccoli ma vi partecipano anche tantissimi adulti.

«I primi anni», racconta Salerno, «gli abitanti ci guardavano come alieni, perlopiù infastiditi dal traffico bloccato. Poi man mano hanno cominciato a capire il senso di quello che stavamo facendo e oggi ad esempio ci sono tantissimi commercianti che regalano dolci e coriandoli durante il tragitto».

I bambini e i ragazzi del quartiere hanno l'opportunità di vivere un’esperienza positiva di socialità e riappropriazione di luoghi e strade spesso "privatizzate" dalle organizzazioni criminali o abbandonate al degrado dalle istituzioni.

«La magia del carnevale sociale», afferma Luigi Maria Salerno, «sta anche nella possibilità di liberare la propria creatività e di lavorare in gruppo, partecipando ad un percorso collettivo dal forte impatto sociale ed educativo. Oltre a ragionare sul tema i ragazzi "devono sporcarsi le mani", non con qualcosa di pericoloso ma con la cartapesta o con la pittura. Al carnevale sociale non si partecipa con maschere già fatte e costumi stereotipati».

Così, mentre Napoli è tornata alla ribalta mediatica dopo i fatti delle baby gang «la nostra associazione», dice il presidente di Traparentesi Onlus, «così come tanti altri gruppi cittadini, ha sempre contestato la stigmatizzazione mediatica che periodicamente invade Napoli, sempre secondo lo stesso copione e sempre con le stesse risposte, prevalentemente un rafforzamento momentaneo delle forze dell'ordine…ricercando ancora una volta nella "sanzione" soluzioni che invece andrebbero costruite con la "prevenzione". Non si può passare costantemente dal pietismo alla condanna, perché così facendo ci dimentichiamo che la vulnerabilità sociale di questi ragazzi non è una costante “etnica” ma una condizione che si auto riproduce a partire dalle disfunzioni del sistema politico ed economico. Noi crediamo che si debba rimettere in discussione l'intero processo educativo, a partire dal nostro vocabolario quotidiano. Non esistono bambini o territori "a rischio" ma problematiche multidimensionali che vanno affrontate in maniera integrata e innovativa. Non esiste la dispersione scolastica ma esistono disfunzioni nel sistema educativo e formativo che non consentono a tutti i bambini di avere le stesse condizioni sociali di partenza. Noi realtà del terzo settore corriamo sempre più il rischio di svolgere un'azione di protezione sociale sostitutiva e non complementare a quella dello stato».


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