Idee Visioni

L’Europa alla prova del caos mondiale

«Il presidente Trump sta minando l’affidabilità degli Stati Uniti come partner internazionale», scrive il presidente emerito di Intersos Nino Sergi. «L’Europa ha davanti a sé una scelta decisiva: restare ai margini, in una passività crescente, oppure assumere un ruolo da protagonista nella costruzione di un nuovo ordine internazionale, più giusto e sostenibile»

di Nino Sergi

“Dai nemici mi guardo io, dagli amici mi guardi Dio”. Di fronte alla spavalderia di Donald Trump, la saggezza di questo proverbio assume oggi una evidente attualità politica e richiama la necessità di una maggiore attenzione nella definizione e gestione delle alleanze nel contesto internazionale.

Canada come 51° Stato degli Usa, Groenlandia come proprietà statunitense, Europa definita parassitaria, America great again grazie a un ordine mondiale fondato sul potere e la forza, lo smantellamento delle interdipendenze, l’esclusione del diverso, la sofferenza dei più: questa è la narrazione proposta da Trump. Con la sua retorica dell’America First, gli attacchi agli organismi multilaterali e il disimpegno finanziario nei loro confronti, la visione utilitaristica delle alleanze, lo smantellamento di Usaid e di ogni forma di solidarietà, il disinteresse per i conflitti ereditati dai predecessori, considerati “guerre degli altri”, il presidente Trump sta minando l’affidabilità degli Stati Uniti come partner internazionale. 

Pur senza mettere in discussione la solidità di alleanze consolidate nel tempo, tutto ciò impone una riflessione più ampia sul significato stesso di alleanza, tra “amicizie” politiche formali e reali convergenze strategiche. Alla deriva nazionalista, sovranista e predatoria, la risposta più efficace non può consistere in un ritorno a nazionalismi speculari, che alimenterebbero tensioni e conflitti. La risposta sta invece in un internazionalismo moderno, consapevole delle sfide del XXI secolo, capace di accogliere la complessità del presente, aperto a collaborazioni e coalizioni, orientato a cause comuni per il bene comune. 

Un internazionalismo che, nonostante ogni evidenza contraria, attribuisca valore politico alla solidarietà tra i popoli, ai movimenti sociali, agli ideali di cooperazione oltre i confini nazionali. Da rilanciare attraverso un multilateralismo ripensato e rivitalizzato, fondato su meccanismi istituzionali efficaci, in grado di costruire un ordine mondiale più equo e sostenibile. Un sistema basato su regole condivise, capace di regolamentare, mediare e risolvere i conflitti. È la via più efficace per affrontare le sfide globali e promuovere interconnessioni planetarie guidate da principi condivisi, equilibrio tra diritti e doveri, apertura dei mercati, libera espressione delle idee, circolazione delle persone libera, ordinata e sicura, giustizia distributiva, stabilità e pace.

Non è un’utopia. È già accaduto. Dopo l’apocalisse delle dittature e l’orrore della seconda guerra mondiale, si posero le basi di una governance internazionale basata su libertà, diritti, istituzioni multilaterali e mantenimento della pace. Purtroppo, i decisori politici tornarono ben presto a focalizzarsi su interessi immediati e logiche elettorali miopi, rinunciando a coinvolgenti visioni lungimiranti. In questo vuoto si è affermato Trump, trovando una strada già in parte spianata. 

Di fronte a questo scenario, l’Europa non può limitarsi a difendere un ordine liberale sempre più fragile. Deve riuscire ad elaborare e proporre un modello proprio, coerente con i suoi principi fondativi, capace di agire in modo proattivo e strategico nel nuovo equilibrio globale. L’Unione Europea ha il potenziale per giocare un ruolo centrale, forte della sua economia, tra le più rilevanti al mondo. Ma servono chiarezza di visione, coraggio politico e una coesione molto più solida. E serve fedeltà ai suoi valori: dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, stato di diritto, senso del dovere per il bene comune, solidarietà tra i popoli, relazioni internazionali rispettose, pacifica convivenza. Rischiano di restare principi astratti, come spesso già accade, se non si traducono in una effettiva capacità di azione politica e istituzionale; soprattutto in un mondo in cui le sfide globali, a partire da quella climatica e migratoria, richiedono risposte coordinate e credibili.

Nel suo percorso costruttivo, l’Unione Europea, oltre ad accogliere le sollecitazioni provenienti da Est, potrebbe oggi considerare aperture anche verso Ovest, nell’ambito dell’area euro-atlantica: verso il Canada, oggi “minacciato” dagli Usa e già strettamente legato all’Europa; e persino verso la Groenlandia, in previsione di uno Stato indipendente. Tali prospettive, per quanto inusuali, trovano fondamento in affinità culturali, valori democratici condivisi e accordi economici e strategici già in essere. Includere nuovi partner transatlantici in un disegno europeo avanzato non significa solo estendere lo spazio geografico, ma rafforzare una comunità di valori capace di esercitare un’influenza significativa nel mondo multipolare. Del resto, la distanza tra le coste orientali del Canada e quelle occidentali dell’Irlanda è simile a quella che separa la Lapponia finlandese dalla Sicilia. 

È tempo di rilancio, per uscire dalla logorante incertezza. Occorre rimettere in moto un’Unione di Paesi liberi e aperti, anche oltre i confini territoriali dell’Europa. Non tutti vorranno o potranno partecipare a un progetto federale pienamente integrato. Sarà quindi necessario delineare un’architettura istituzionale in cui coesistano Stati federati e Stati associati, con diversi livelli di integrazione ma pieno rispetto reciproco, e con lo sguardo sia ad Est sia ad Ovest. Una simile struttura multilivello comporta dei rischi: potrebbe accentuare disuguaglianze e fratture. Ma tali rischi possono essere gestiti con adeguati meccanismi di solidarietà, un quadro giuridico solido e una governance differenziata, attenta e lungimirante.

Da molti anni si parla di un’Europa “a due velocità”. È il momento di darle finalmente forma, innovando visione, strumenti e istituzioni; favorendo l’unione di chi desidera contribuire alla rigenerazione europea. Anche per difendere e rafforzare i sistemi democratici, prevenendo derive autoritarie. L’Europa ha davanti a sé una scelta decisiva: restare ai margini, in una passività crescente, oppure assumere un ruolo da protagonista nella costruzione di un nuovo ordine internazionale, più giusto e sostenibile. Potrà farlo rafforzando le alleanze storiche e sviluppando al contempo un dialogo rispettoso e paritetico con i Brics e il Sud globale. Per riuscirci, deve ritrovare entusiasmo, credere in se stessa, nei propri valori e nella capacità di unirsi per rafforzarsi e incidere davvero sui cambiamenti globali in atto. Il tempo della prudenza è finito. È ora di convincersene, prima che sia troppo tardi.

Foto: jakob-braun-unsplash

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