Idee Giornali e infanzia
Wild schooling, perché no? E i bambini fantasma presero le virgolette
Sulla vicenda di due fratellini di 9 e 6 anni, ritrovati nel Torinese, sconosciuti all'anagrafe, senza pediatra e senza scuola, il Corriere presenta le ragioni del padre, quasi fosse un singolare pedagogo del bosco. Nella versione online, compaiono anche rispettose virgolette attorno all'espressione usata per spiegare che i piccoli fossero sconosciuti a ogni autorità. È l'ora di una nuova Carta di Treviso

Due fratellini di nove e sei anni vengono evacuati, nell’aprile scorso, da un podere di Lauriano nel Torinese dove vivono coi genitori. La piena di un torrente minaccia la loro abitazione. Solo che i Carabinieri che li hanno recuperati, si accorgono, nel disbrigo della verbalizzazione, che i bimbi sono sconosciuti all’anagrafe comunale. Quindi scoprono che, pur vivendo lì da tempo, non vanno a scuola e che non hanno un pediatra. Scatta la segnalazione ai servizi sociali, quindi l’allontamento dalla famiglia e la collocazione in una comunità protetta.
La versione del padre. Su carta e online
Il fatto fa ovviamente breccia fra le cronache per un paio di giorni: li si definisce “fantasmi”. Senonché, ieri sul Corriere, compare un’intervista al padre, un artista 54enne olandese, che prova a spiegare: provvedevano loro, i genitori, all’istruzione, attraverso dei siti internet (sigh) e poi quei piccoli vivevano sani in campagna, felici, all’aria aperta, e via “bucolicheggiando”.
Titolo del quotidiano di Via Solferino nella sua versione online: I ‘fratellini fantasma’ tolti ai genitori. Il padre e i sogni della vita isolata nel cascinale: “Qui avevano tutto, sbagliano i giudici”. Non ci vuole la laurea in semantica per scorgere nel titolista, o il digital media manager visto che l’edizione cartacea è più netta – I fratellini fantasma tolti ai genitori. Il papà nel cascinale: “Qui avevano tutto” – non ci vuole la laurea in semantica, dicevamo, per capire che si vuol rappresentare la spiegazione del padre “naturalista” come un’opzione educativa possibile.
Sullo sfondo, il ciclopico “non detto” che ci accompagna, da Bibbiano a questa parte, ma che vive da sempre nell’Italia deamicisiana: i figli sono di chi li fa.

Una concezione proprietaria dell’infanzia che ormai ha fatto strame della stagione in cui i bambini erano soggetto di diritto, tutelati addirittura da una Convenzione dell’Onu, recepita anche dall’Italia.
I doveri dell’informazione e il caso Bibbiano
Una concezione che ha invaso ovviamente anche il mondo dell’informazione che ne ha fatto a lungo un tormentone. La stessa cronaca giudiziaria del caso emiliano potrebbe diventare un manuale da far adottare all’Ordine dei giornalisti, da rendere obbligatorio per l’esame professionale, tali e tanti sono stati gli errori e gli orrori di quei resoconti, d’altra parte cominciati in un afoso sabato di giugno del 2018 con una nota di agenzia che parlava di «bambini sottoposti all’elettroshock», senza che nessuno dei cronisti che partecipavano alla conferenza stampa dei Carabinieri ritenesse deontologicamente necessario fare la domanda: «Scusi, maggiore ma siamo sicuri?». O chiamare uno psichiatra per capire se fosse possibile applicare la terapia elettroconvulsivante su un bambino, senza ammazzarlo.
Dovette intervenire il capo della Procura, Marco Mescolini, due giorni dopo, per smentire, con un’altra conferenza stampa, in cui si specificava, non senza imbarazzo, che si trattava di elettrostimolazione Emdr, una tecnica terapeutica che usa corrente elettrica blandissima. Ormai, era fatta, e la smentita non avrebbe impedito al vicepresidente del Consiglio, Luigi Di Maio, di lanciare il suo j’accuse al Pd, «che toglie i bambini ai genitori, con l’elettroshock».
Ma per tornare a Torino, anche nel titolo del Corriere, si scorge una qualche eco della Carta di Treviso che l’Ordine dei giornalisti sottoscrisse nel 1990, insieme alla Federazione della Stampa, grazie al contributo e all’impulso del professor Ernesto Caffo e del suo Telefono Azzurro: sta in quelle virgolette in cui viene posta l’espressione “bambini fantasma”. Semrba infatti una remora dinnanzi all’ennesima categorizzazione troppo strillata. Peccato che, invece, finisca per tutelare soprattutto la bizzarria di questi genitori, che praticavano lo wild schooling anziché l’home schooling.

I diritti autentici dei bambini
Una bambina, un bambino hanno infatti diritto alla salute, all’istruzione, alle relazioni coi pari. A ben vedere, tutti compatibili con la vita in un bosco, basta registrarli all’anagrafe, vaccinarli, portarli dal pediatra quando stanno male. Si può persino provvedere in proprio alla loro istruzione, esiste pur sempre la “scuola paterna”, che l’ordinamento prevede in una denominazione dell’altro secolo, ma comunicandolo alla scuola di riferimento e sottoponendosi alle verifiche previste, secondo un percorso prestabilito.
Fare un giornalismo rispettoso dei bambini e dei loro diritti non significa solo oscurarne l’identità quando la cronaca, di cui sono al centro, nuocerebbe loro, ma anche ricordare con chiarezza, anche nelle vicende drammatiche che li riguardano, il loro essere persone e soggetti di diritti inalienabili. Poi si potrà anche dare la parola a chi ritiene opportuno e alle sue particolari teorie educative, nei boschi o in città, all’aria aperta o al chiuso.
L’ora di una nuova Carta di Treviso?
Forse c’è bisogno di una nuova Carta di Treviso, positiva e non solo incentrata nelle esclusive tecnicalità della cronaca nera (verrebbe da dire che dopo 35 potremmo darle per acquisite ma purtroppo, ogni anno, c’è materia per affermare il contrario).
Magari la Garante per l’infanzia, Marina Terragni, che nella vita fa la giornalista, potrebbe promuoverne l’aggiornamento.
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