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Testimone

Addio a Giovanna Marini, cantastorie dell’Italia sociale

Artista, produttrice, ricercatrice instancabile: se n'è andata a 87 anni la cantante che ha dedicato la vita alla tradizione orale

di Alessio Nisi

Giovanna Marini

Per favore no. Non la chiudete nel cassetto delle somiglianze di comodo (perché così è più riconoscibile). Giovanna Marini non è la Joan Baez italiana, come qualche anno fa produttori e pubblicitari usavano dire per trovare spazi di mercato tra gli esterofili e i cultori dell’ascolto facile facile. Perlomeno, concedo, non è solo quello. Troppo diversi i riferimenti sociali, le provenienze, il contesto, il territorio. Certo, il taglio dei capelli facilitava questa semplificazione. Certo, gli inizi al Folkstudio di via Garibaldi a Trastevere (dove narra la leggenda passò anche Bob Dylan) sono una tentazione. Ora che a 87 anni se n’è andata, fate però andare la musica e le parole. È sufficiente (ed è tantissimo). 

Dal palco alla strada e ritorno

Dalla cattedra al campo, come per il grande ricercatore Ernesto De Martino, dal palco alla strada e ritorno. Perché Giovanna da Roma è stata tante cose, ma soprattutto un’antropologa ricercatrice etnomusicale. Una cantastorie, amava definirsi. Per chi ama la musica, Giovanna ha dedicato la sua vita alla tradizione orale. Con chiarezza, è stata una delle personalità più importanti nello studio, nella ricerca e nell’esecuzione della tradizione musicale popolare italiana. Non solo. È stata anche autrice di canzoni e cantate di propria composizione. Sue. Per entrare nel mood di Giovanna dobbiamo salire sul palco insieme a lei. Accanto c’è il teatro popolare di Dario Fo, c’è il recupero del dialetto di Pasolini, ci sono le fiabe di Italo Calvino. «Un paese che è capace di uccidere un poeta è un paese malato» ebbe a dire dopo la morte di Pasolini, cui ha dedicato la struggente “Lamento per la morte di Pasolini”. Fermatevi 5 minuti.

Il rito, la tradizione popolare, le canzoni di protesta

Da una parte il rito e la tradizione popolare. Dall’altra le canzoni di protesta. “I treni per Reggio Calabria” possono bastare? Certo che no. Ma si può partire da lì. Perché quello che ha compiuto Giovanna Marini, figlia del compositore Giovanni Salviucci e allieva di Andres Segovia (negli anni Settanta ha fondato la prima scuola popolare di musica in Italia, quella di Testaccio, ancora viva, anzi vivissima), è stato un viaggio. Qualche esempio? Con il Nuovo Canzoniere Italiano ha portato in giro per l’Italia le canzoni sociali con diversi cantautori politici tra cui Ivan Della Mea, Gualtiero Bertelli, Paolo Pietrangeli, Giovanna Daffini, il Gruppo di Piadena, e i Pastori di Orgosolo con il poeta Peppino Marotto

Fino a Riace

Ma attenzione. Il viaggio di Giovanna Marini non si è mai fermato alla nostalgia di un’Italia popolare, post – contadina del dopoguerra. Del paese che fu. Ha lavorato, ha suonato con tanti e ha suonato di tanto. Anche di Ustica. Veramente si fa fatica a tirare giù un elenco. Qualche data degli ultimi 20 anni. Con Francesco De Gregori nel 2002 ha prodotto l’album “Il fischio del vapore”, un’opera che raccoglieva i classici della musica popolare italiana, rinnovandoli. Dal 1991 al 2000 ha insegnato “ethnomusicologie appliquée” all’Università di Parigi. Nel 2005 ha composto le musiche di “Le ceneri di Gramsci”, sul testo di Paolini, da cui nel 2006 viene tratto il disco omonimo.

La storia raccontata dalla gente

Nel 2016 la sua musica ha fatto da colonna sonora al documentario “Un paese di Calabria” sulla storia del comune di Riace, che da esempio di accoglienza verso i migranti diventa modello da contrastare e condannare da un certo potere politico. Il suo? Un canto necessario che ha attraversato l’Italia del secolo breve. E non si è fermato. Nel 2019 si è trasferita a Frascati dove ha continuato a lavorare con i giovani per tramandare i «segreti» della canzone popolare perché, spiegava, «la storia raccontata dalla gente è tutta un’altra storia». 

In apertura foto di Fabio Fiorani/Agenzia Sintesi


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