Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Giornata internazionale della donna

Aida, che lotta per una vita lontana dal campo rom

Il regista Giovanni Princigalli ha realizzato un documentario, "La canzone di Aida", sulla vita di Aida, da quando era piccola all’età adulta, mentre lotta per una nuova vita, fuori dal campo di Bari in cui vive. Dallo stesso regista, un corto sull'olocausto rom

di Emiliano Moccia

«Nel 2002 ho girato il mio primo film in una famiglia di rom rumeni che viveva in un campo di baracche alla periferia di Bari. Vent’anni dopo, questa famiglia vive ancora in una baracca». Il primo lungometraggio di Giovanni Princigalli muove i suoi passi da lontano, perché è il frutto di oltre venti anni di conoscenza, frequentazione, presenza, durante i quali il regista è entrato nelle dimore altrui e nelle loro vite. In particolare, di quelle della comunità che vive nel campo rom di Bari. «La loro figlia, Aida, nel 2002 era un’adolescente sorridente, innamorata di Leonardo Di Caprio e che sognava di diventare una modella e una cantante. Oggi è madre e moglie, ma vive un forte malessere e disagio personali e sociali. Vuole divorziare e per questo è in conflitto con la sua famiglia. Ha anche avuto problemi con la legge. Questo film è soprattutto la storia della sua lotta per l’emancipazione, l’indipendenza e una nuova vita fuori dal campo».

A destra Aida mentre parla con sua madre

Nel documentario, della durata di 98 minuti, le immagini del passato si intrecciano con quelle del presente, raccontando sempre lo stesso campo rom, gli stessi problemi, gli stessi disagi, quasi ascoltando sempre la stessa storia. Aida nel 2002 è piccola. Ascolta la musica, coltiva i suoi sogni, vuole fare la fotomodella, poi le immagini si spostano verso il presente ma il degrado del campo resta come immutato. Fermo nel tempo. «Il futuro mi inquieta» confessa Aida ad un’amica «sono sull’orlo della depressione». A scuoterla, è il difficile rapporto con suo marito Zeus, in quel momento emigrato in Romania in cerca di lavoro. «In 20 anni da questo posto tutti sono andati via, tranne io e la mia famiglia, anche le mie sorelle e mio fratello sono andati via, ed io sono rimasta qui, a badare a miei genitori. Ma non ho fatto la cosa migliore a rimanere. Ogni famiglia che fa i soldi ed ha la possibilità se ve va via, perché trova una casa in Inghilterra, Francia, Germania. Mio padre invece dice di essere il capo del villaggio ed ha responsabilità, quindi non se ne può andare».

I bambini nel campo rom di Bari

Nel documentario si vede proprio il padre di Aida ammonire gli altri genitori perché anziché mandare i loro figli piccoli a scuola, preferiscono mandarli a fare l’elemosina. Di qui, il racconto da parte degli uomini rom su come sia difficile per loro trovare lavoro. «Si spaventano. Hanno paura. Gli zingari, gli zingari… Sono intimiditi» dice uno di loro nel corso di una riunione. La vita scorre lenta nel campo, tra ricordi e aneddoti. Ma cosa vuole Aida, cosa cerca, cosa desidera, pare non importare a nessuno. Anche perché separarsi e divorziare dal marito non è cosa facile, c’è prima lo scoglio del consiglio degli anziani da superare. Aida lo sa bene. E intanto sogna una vita normale, lontana dai campi nomadi, in una casa vera, distante dai pregiudizi e le paure che prova sulla sua pelle. E sogna anche l’amore, quello vero. Perché in qualche modo la canzone di Aida e la stessa dei tanti rom e sinti perseguitati causa dell’odio, del razzismo, della violenza.

Il padre di Aida e sua madre in una scena del documentario
Il regista Giovanni Princigalli durante le riprese

Una voce, quella de “La Canzone di Aida”, presente fino al 30 aprile all’Agora Doc Market del Festival del documentario di Salonicco, attraverso una piattaforma cinematografica online, gestita dal Marché du Film del Festival di Cannes. Non solo, il documentario sarà presentato al “Bif&st” – Bari International Film Festival– con una proiezione ufficiale al Teatro Puccini, giovedì 21 marzo, alle ore 21.30 in memoria dell’olocausto dei rom e dei sinti e in replica al Teatro Kursaal, il giorno seguente, sempre alle ore 21.30, in entrambi i casi con ingresso gratuito.

Il documentario di Princigalli è dedicato alla memoria del deputato e sociologo Franco Cassano, che fu direttore della sua tesi di laurea in Scienze Politiche all’Università di Bari e supervisore del suo primo documentario che fu girato nel 2002 in questa stessa comunità di rom rumeni. Il film è stato prodotto da Héros Fragiles (Montréal )con la partecipazione del centro culturale Abusuan di Bari.

Una scena del corto “Porajmos

Ad anticipare il lungometraggio c’è un altro lavoro del regista, un cortometraggio di tre minuti, montato da Emma Bertin, che narra come la vita della comunità rom e sinti sia sempre stata complessa, piena di ostacoli e troppi pregiudizi. Lo racconta bene anche questo lavoro più piccolo, ma molto forte. Le immagini si aprono su una comunità rom e sinti. Ballano, ridono, scherzano. Sono felici. Sorridono. Mostrano con fierezza i loro abiti tradizionali. Si mettono in posa. Viaggiano a bordo delle loro carovane. Ed anche se le immagini del video sono in bianco/nero e raccontano un mondo così distante, in quei movimenti scorre tutto il loro orgoglio di appartenenza alla comunità rom e sinti. La stessa che fu vittima di genocidio durante gli anni della seconda guerra mondiale, anche se non se ne parla mai abbastanza. Nella loro lingua la chiamano Porajmos, che vuol dire “grande divoramento” o “distruzione”, perché seppur non si conosce il numero esatto di quanti furono i rom e i sinti ad essere uccisi (si stima che furono tra 500.000 ed 1 milione), sta di fatto che nel 1938 il regime nazista iniziò a perseguitare anche rom e sinti e a deportarli nei campi di sterminio, seguito dall’autorità fascista tra il 1940 ed il 1943.

Immagini tratte dal corto “Porajmos” sulla deportazione di rom e sinti

“Porajmos. In memory of the Roma and Sinti Holocaust” prova a restituire la memoria a queste vittime dimenticate, forse troppo trascurate dalla storia, benché anch’esse contrassegnate con il triangolo nero degli asociali quando furono imprigionate nei lager. Adulti, anziani e bambini. Le immagini del cortometraggio di Princigalli procedono lente, ma inesorabili. La deportazione sui treni della morte, l’arrivo al campo di sterminio, le foto-segnaletiche, i cadaveri lasciati per terra, il numero di prigionia tatuato sul braccio ed un uccello nero che vola sopra i camini accesi del campo di concentramento con una lettera stretta nel becco, unica invenzione di una storia realmente accaduta. Il cortometraggio è senza parole, montato con immagini e musiche del Museo dell’olocausto degli Stati Uniti.

Una donna rom deportata in un campo di concentramento

In occasione dell’80° anniversario della terribile tragedia che toccò i rom e sinti ad Auschwitz, Princigalli rende omaggio a quando, il 16 maggio 1944, i prigionieri si ribellarono alle SS, che per vendetta, in una sola notte sterminarono tutti i rom che si trovavano ad Auschwitz in quel momento. La maggior parte di loro finì nelle camere a gas e poi nei forni. Testimone di quel tragico evento fu l’ebreo italiano Pietro Terracina, che all’epoca aveva 15 anni: «Fu sufficiente dare uno sguardo alle ciminiere dei forni crematori per capire che tutti i Rom e Sinti, quelli che noi chiamiamo zingari, del lager erano stati, tutti, assassinati per gas e dati alle fiamme». Sono passati 80 anni, ma questa volta non è possibile voltare la testa da un’altra parte. Perché il vento del Porajmos soffia ancora molto forte e in qualche modo arriva fino ad Aida, spostando verso l’ignoto i suoi sogni e la sua voglia di farcela.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA