Governo
Autonomia differenziata, perché il Terzo settore è contro
Via libera definitivo al testo sull’autonomia differenziata. Il rischio è che aumentino i divari, già profondi, tra i territori. Così cresceranno sacche di privilegio solo per alcuni. Si verrà a creare disparità nell'esercizio dei diritti fondamentali da parte dei cittadini
di Anna Spena
172 voti favorevoli, 99 contrari e uno astenuto: l’autonomia differenziata è legge. «Più autonomia, più coesione, più sussidiarietà. Ecco i tre cardini del disegno di legge sull’autonomia differenziata approvato alla Camera. Un passo avanti per costruire un’Italia più forte e più giusta, superare le differenze che esistono oggi tra i diversi territori della nazione e garantire gli stessi livelli qualitativi e quantitativi delle prestazioni sull’intero territorio. Avanti così, nel rispetto degli impegni presi con i cittadini», è questo il commento della premier Giorgia Meloni su X all’arrivo del via libera definitivo del Parlamento alla legge sull’Autonomia. Il provvedimento proposto dal ministro degli Affari regionali Roberto Calderoli (Lega), definisce le modalità con cui le regioni potranno chiedere gestire in proprio alcune delle materie su cui al momento la competenza è dello Stato centrale: tra cui sanità e istruzione.
L’occasione mancata
«Il via libera definitivo al testo sull’autonomia differenziata è, purtroppo, innanzitutto una storica occasione mancata. Dopo oltre venti anni dalla riforma del Titolo V della Costituzione, cui oggi si vuole dare attuazione, si è iniziato a lavorare per la definizione di alcuni Livelli essenziali di prestazioni (Lep) in modo da garantire stessi servizi e diritti in tutto il Paese, senza però contemplare minimamente ambiti sociali come la povertà, la disabilità, l’emarginazione sociale. Poteva essere l’occasione per realizzare un obiettivo atteso da tempo, per attuare finalmente una maggiore uguaglianza sostanziale e far progredire l’Italia sul piano dei diritti, della coesione e dell’inclusione sociale, ma non è stato considerato», dice Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Terzo settore, che rappresenta 100 reti nazionali e oltre 120mila realtà territoriali di Terzo settore. «Peraltro», prosegue, «il testo approvato oggi si concentra sulle procedure per stipulare le intese tra Regioni e Governo, mentre rimanda a un futuro indefinito la decisione sulle modalità di finanziamento degli stessi Lep, e non tiene conto della necessità di prevedere adeguati meccanismi perequativi per impedire l’aumento delle disuguaglianze e dei divari territoriali, lasciando così in bilico la concreta realizzazione delle intese differenziate. Il Terzo settore ogni giorno intercetta e tocca con mano i bisogni delle persone e gli ostacoli che incontrano nel vedere garantiti dei propri diritti».
La contrarietà del Terzo settore non nasce oggi: «Il Terzo settore ogni giorno intercetta e tocca con mano i bisogni delle persone e gli ostacoli che incontrano nel vedere garantiti dei propri diritti. Sin dall’inizio dell’iter del provvedimento, proseguito peraltro con scarso coinvolgimento delle parti sociali, ha espresso forti perplessità: alla luce delle criticità evidenziate, temiamo che le disuguaglianze multidimensionali e i divari già profondi tra territori si cristallizzeranno o, peggio ancora, aumenteranno. Piuttosto che un’autonomia differenziata, si apre la strada a un regionalismo delle disuguaglianze».
Senza Lep aumenteranno divari e poveri
«L’autonomia differenziata rappresenta l’ennesimo ostacolo nella lotta contro la povertà. Senza Lep, i divari territoriali aumenteranno e cresceranno i poveri», dice Antonio Russo, portavoce di Alleanza contro la povertà. «Senza il riconoscimento di diritti universali in tutto il Paese, cresceranno sacche di privilegio solo per alcuni. Alleanza contro la Povertà ha più volte lanciato l’allarme sul rischio che la povertà assoluta in Italia aumentasse e si cronicizzasse. Questo rischio è diventato realtà ed è sotto i nostri occhi, fotografato anche dagli ultimi dati Istat. In questo contesto, abbandonare il principio dell’universalismo nei servizi del welfare, dopo aver abbandonato il medesimo principio nelle misure di contrasto alla povertà, non può che allargare ulteriormente la platea dei poveri, riducendo invece ancora più drammaticamente quella dei beneficiari di strumenti di sostegno».
«Quella dell’autonomia differenziata è una legge voluta da una Lega che riscopre, con la bandiera della Serenissima esposta in Parlamento, la sua natura separatista ed egoista, basata sull’idea che chi ha di più tutela la propria ricchezza abbandonando chi ha di meno ed è più indietro», aveva scritto in questo pezzo “Autonomia differenziata: le prime vittime saranno il diritto alla salute e all’istruzione”, Andrea Morniroli, del Forum Disuguaglianza e Diversità. «E una legge che si innesta in un quadro dove la presidente del consiglio Meloni afferma in conferenza stampa, in pieno stile neo-liberista: “Preferisco tagliare la spesa pubblica che aumentare le tasse”, facendo leva sul senso comune, alimentato anche da molte delle retoriche del campo progressita, che da tempo invece di rivendicare la progressività fiscale come strumento democratico per la parità di accesso al sistema pubblico dei servizi, propone la tassazione come insieme ingiusto di vessazione dello Stato nei confronti dei poveri contribuenti».
Una legge senza prospettiva
«C’è un clima pericoloso, non lo diciamo da oggi, e ci rivolgiamo al Governo per chiedere che fermi questa macchina secessionista con sfumature peroniste che ha messo irresponsabilmente in moto, e che sta guidando a tutta velocità mentre il Paese è a pezzi già di suo», dice Walter Massa, presidente nazionale Arci. «Mancano evidenti risorse già oggi, alla vigilia della prossima legge di bilancio, manca una prospettiva di sviluppo capace di far crescere l’intero sistema Paese, mancano soprattutto le risposte ai bisogni crescenti a causa di economie di guerra e di un pauroso indebolimento europeo. In tutto ciò la visione del Governo pare ridursi ad alimentare uno scontro ideologico tra Regioni e territori, utile solo per distrarre l’attenzione dai problemi veri delle comunità e dei cittadini. L’autonomia differenziata, siamo seri, non porterà benefici per tutti i cittadini, è evidente, così come il premierato non porterà nessuna maggiore stabilità, come già dimostrato dalle precedenti riforme costituzionali. Mentre noi continuiamo a tenere unito il Paese, prendendoci cura delle comunità territoriali e dei cittadini, non esiteremo a contrapporci a questa ennesima deriva che spacca il Paese, ridimensiona il ruolo del Parlamento e del Presidente della Repubblica, modifica sostanzialmente la nostra Costituzione, invece che attuarla, e crea disparità nell’esercizio dei diritti fondamentali da parte dei cittadini».
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Foto di apertura: il ministro per gli Affari Regionali e autonomie Roberto Calderoli durante i lavori parlamentari alla Camera dei Deputati su Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario/foto Mauro Scrobogna /LaPresse
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