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Sanità e Lea: la lezione da imparare prima di fare l’autonomia differenziata

Il Ddl Calderoli sull'autonomia differenziata mette i Livelli essenziali delle prestazioni a garanzia dei diritti fondamentali dei cittadini. Per Maurizio Motta, dell’Istituto per la ricerca sociale, questo correttivo per essere efficace deve far tesoro delle criticità dei livelli essenziali di assistenza in sanità

di Rossana Certini

manifestazione contro l'autonomia differenziata

Il Ddl Calderoli porterà a un’Italia più autonoma ma unita. Tuttavia dopo l’approvazione del Ddl Calderoli, passato in prima lettura al Senato lo scorso 23 gennaio, non sono pochi i timori che l’autonomia differenziata possa generare disparità tra gli italiani solo perché residenti in un luogo piuttosto che in un altro.

«Che dei rischi di diseguaglianza possono verificarsi, credo ne abbia consapevolezza anche il Governo», spiega Maurizio Motta, docente a contratto presso della facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino, già dirigente dei servizi sociali del Comune di Torino e collaboratore dell’Istituto per la ricerca sociale, «infatti definisce i Livelli essenziali delle prestazioni-Lep come quadro normativo che assicurare un livello minimo di interventi in ogni regione. Un correttivo alla possibilità che si generino disparità».

Professore Motta, come facciamo a essere sicuri che definire i Livelli essenziali delle prestazioni eviterà le diseguaglianze?

Difficile prevederlo. Ma possiamo iniziare a vedere i limiti degli attuali livelli essenziali di assistenza-Lea, che esistono già, per capire quali aspetti migliorare. Per prima cosa andrebbe cambiato il linguaggio con cui sono descritti. Ci sono interventi essenziali ben definiti, come le forniture di protesi o la presa in carico entro il primo mese di vita dei nuovi nati. Mentre altri non spiegano abbastanza o si prestano a qualunque interpretazione. Un esempio sono le cure domiciliari rivolte ai non autosufficienti che devono essere, si legge nel testo: «integrate da interventi sociali»: è dire tutto e niente. Inoltre i Lea dovrebbero essere dei diritti esigibili, magari minimi ma comunque fruibili. Invece tutti possiamo constatare che l’esigibilità reale degli interventi descritti nei Lea è molto indebolita non solo perché il Servizio sanitario nazionale ha risorse insufficienti ma anche perché si prevede che i Lea siano subordinati alle risorse disponibili degli enti che li gestiscono (lo prevede l’art. 1 del Lgs. 229/1999). Questo significa che diventano dei diritti finanziariamente condizionati, quindi con una esigibilità del tutto incerta.

Quali sono le conseguenze dei diritti finanziariamente condizionati?

Per esempio, ci sono regioni nelle quali le persone non autosufficienti ricoverate in residenza sanitarie assistite devono pagarsi tutto il costo della retta, circa 90 euro al giorno, perché le loro Asl non pagano il 50% che, invece, deve essere a loro carico in base ai Lea vigenti. Oppure ci sono regioni nelle quali l’assistenza domiciliare a non autosufficienti gravi consiste al massimo in 3 ore settimanali di un operatore sociosanitario. In altre, invece, la famiglia può scegliere tra un mix di interventi connessi a un budget di cura significativo. Disparità evidenti.

Ci sono altre criticità che si dovrebbero evitare nei futuri Lep?

Si dovrebbe essere in grado di aggiornali frequentemente. Anche i Lea devono essere rivisti in ragione dell’evoluzione dei bisogni, delle capacità di intervento, delle risorse: eppure dopo essere stati emanati nel 2001 hanno ricevuto il primo aggiornamento solo nel 2017. È essenziale predisporre un dispositivo che permetta revisioni più adeguate al mutare delle condizioni della realtà. Per non parlare del sistema di monitoraggio del ministero della Salute che annualmente verifica se le singole regioni adempiono alla messa in opera dei Lea: su diverse tematiche non ci sono adeguati indicatori. Per esempio per verificare il livello di interventi domiciliari per i non autosufficienti, oppure per valutare se l’assistenza sanitaria territoriale evita ricoveri ospedalieri non appropriati.

Quindi tornando alla riflessione iniziale possiamo dire che per avere dei Lep capaci di essere correttivi al rischio di diseguaglianze è importante tenere a mente quanto di imperfetto abbiamo già riscontrato nei Lea?

Sì. E aggiungerei che per ridurre le differenze improprie tra territori è importante riguardare le modalità per programmare la distribuzione delle risorse finanziarie statali. Questo vuol dire superare i finanziamenti basati sulla spesa storica e definire come si individuano, e si monitorano nel tempo, i fabbisogni regionali. Non basta prevedere che i finanziamenti statali siano erogati alle regioni solo sulla base dei “costi standard” dei servizi essenziali da garantire. Il sistema dovrebbe sia definire i costi standard delle prestazioni e servizi da garantire ovunque, quindi i livelli essenziali, sia valutare le differenze dei “bisogni” di ogni regione, ossia monitorare dove rischi e situazioni di deprivazione richiedono risorse più adeguate.

Foto Roberto Monaldo / LaPresse


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